Amor che ad ogni amato, amor perdona

La vicenda matrimoniale di Osea si intreccia con quella di Dio e del suo popolo

di Luca Mazzinghi
docente di Antico Testamento al Pontificio Istituto Biblico (Roma) e alla Facoltà Teologica dell’Italia Centrale (Firenze)

Image 016La vera novità

Il profeta Osea può essere considerato il creatore del simbolismo matrimoniale che la Scrittura utilizza a proposito del rapporto tra Dio e il suo popolo. Siamo nell’ottavo secolo a.C.: periodo di prosperità relativa, ma anche di ingiustizia sociale diffusa. Osea denuncia l’ingiustizia dilagante e insieme condanna l’infedeltà religiosa di Israele, seguace più del dio Baal che di YHWH, il Signore.

La vicenda sponsale di Osea, simbolo di quella di Dio e del popolo, costituisce la vera novità del libro. La moglie di Osea, di nome Gomer, definita nel testo “prostituta”, è una di quelle donne che nei templi di Baal si offrivano ai pellegrini in onore del dio della natura e della fecondità, vivendo il loro rapporto sessuale come un vero e proprio atto sacro.

Il vero problema del libro di Osea è dunque il dio Baal, ovvero l’idolatria di Israele, eppure l’esperienza matrimoniale di Osea è reale, concreta, e dunque ha qualcosa da insegnare anche alle coppie di oggi; è proprio da questa esperienza che il libro di Osea prende le mosse. Il testo di Osea 1-3 è dunque un testo per molti aspetti autobiografico e riflette l’esperienza personale del profeta.

«Va’ e prendi in moglie una prostituta» (Os 1,2); così si apre il libro. Il comando divino rivolto a Osea non è assurdo; l’amore è infatti possibile anche in situazioni umanamente impossibili e apparentemente irrecuperabili. E subito la donna, Gomer la prostituta sposa di Osea, diviene un simbolo che richiama una storia diversa, quella tra Dio e il suo popolo.

Analogia del rapporto coi figli

Si noti, di passaggio, che sia al capitolo 1 che al 2 vengono coinvolti nella vicenda matrimoniale anche i figli di Osea; al capitolo 1 (1,2-9) i figli sembrano rifiutati persino dal padre e ricevono nomi simbolici negativi (Non-amata e Non-popolo-mio); alla fine del capitolo 2 (cf. 2,25) essi divengono tuttavia il segno di un amore rinnovato (si veda il gioco di parole sul cambio del nome dei figli).

Tutto ciò è particolarmente importante: nella coppia spezzata, infatti, i figli non sono marginali, spesso sono proprio loro le vere vittime della separazione. Nel testo di Osea essi sono rifiutati, all’inizio della vicenda del tradimento, come figli di prostituzione; ma alla fine divengono figli amati e ritrovati, nonostante il tradimento; grazie al perdono (2,25) anche i figli ricevono una nuova esistenza, sottolineata appunto dal cambiamento del loro nome.

Il capitolo 2 - che val la pena di rileggere per intero nella propria Bibbia! - parla di un uomo tradito - Osea, appunto - che tenta di liberarsi di un rapporto d’amore ormai troppo ingombrante, ma non vi riesce. La pace consisterebbe nel dimenticare per sempre la donna una volta amata che ora si è prostituita; ma l’amore non lo permette. Osea chiama sì sua moglie Gomer “prostituta”, ma è un insulto che nasce dall’amore. Così fa Dio con il suo popolo: amante tradito, che tuttavia non può dimenticare l’amata.

Dal v. 4 al v. 15 ecco l’accusa dello sposo alla propria sposa, in tre oracoli distinti. Os 2,4-6 costituisce il primo di questi oracoli. Il testo si apre al v. 4 con una dichiarazione molto forte e decisa: «lei non è più mia moglie / io non sono più suo marito». Si tratta di una “lite”, un procedimento giuridico preciso. La parte lesa, l’uomo tradito, si erge in tribunale contro la moglie; si penta e si tolga i segni dell’adulterio; il testo si riferisce qui a segni distintivi tipici della prostituzione sacra, a noi oggi ignoti. Gomer si converta! «Altrimenti la spoglierò tutta nuda» (v. 5): siccome ella non si comporta più da moglie, posso infatti spogliarla, secondo il diritto matrimoniale del tempo; mi riprendo tutto ciò che è mio e che le avevo dato. Anche oggi, di fronte a una separazione, i primi motivi di litigio sono spesso su trite questioni economiche: la casa, i soldi, le cose di proprietà dell’uno o dell’altro…

I vv. 7-9 costituiscono il secondo oracolo. Il profeta parla adesso di sbarrare la strada alla moglie traditrice, perché essa torni, parla di toglierle il nutrimento; Osea vuole mostrare così tutta la solitudine e l’impotenza della donna, così ridotta dal suo tradimento. Ma in realtà si tratta di tentativi, duri e disperati insieme, di salvare l’amore.

Image 020Pronti a tutto

La donna smetta di correre dietro ai suoi amanti; il v. 7 è interessante: dagli amanti speravo di avere qualche vantaggio, dice la donna… proprio per questo il marito le toglie tutto! Mettere a nudo l’incoerenza e l’inutilità del tradimento: ecco la strategia dell’amato. «Allora essa dirà: “Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso”» (v. 9).

Nei vv. 10-15 ecco il terzo oracolo, con un tono negativo. Non capì (“non conobbe”) che ero io ad amarla, dice Osea… (cf. il v. 10); di nuovo appare il tema della punizione inflitta alla donna traditrice (vv. 11-12). Il tono è chiaro; si capisce che prevale qui la vicenda di Israele su quella personale di Osea. La donna “non conosce”; Gomer deve apprendere a fare una esperienza personale, diretta, del suo uomo. Si noti anche come il profeta sottolinei la reciprocità che deve caratterizzare ogni rapporto d’amore: se lei farà - io farò… L’amore è impegno dell’uno verso l’altro.

Resta qualche speranza di fronte al tradimento? I vv. 16-25 sono interamente positivi e contengono altri tre oracoli. Un cambiamento improvviso e imprevisto da parte del marito tradito. “Perciò…” (così l’inizio del v. 16); la donna si aspetta la sentenza prevista dalla Legge mosaica nel caso di adulterio: la morte. E invece… ecco un nuovo, sorprendente inizio! La donna può nuovamente vivere e l’amore può ancora fiorire.

Nei vv. 16-17 abbiamo un nuovo corteggiamento da parte del marito (primo oracolo positivo): «Perciò, ecco, io la sedurrò, / la condurrò nel deserto / e parlerò al suo cuore».

Per amore, l’amante si umilia e spera nel miracolo. E l’amore vince. Nuovo fidanzamento, nuove nozze. Un nuovo cammino nel deserto, non più visto come un luogo di solitudine e di morte, ma piuttosto di incontro.

Non più padrone, ma marito

Il linguaggio di Osea è molto audace, specialmente se applicato a Dio. Dio ha sedotto il suo popolo, e lo sa sedurre ancora. La seduzione: un’arma negativa - proprio quella che probabilmente ha distrutto la coppia - diviene adesso un’arma positiva.

«Parlerò al suo cuore». Si tratta di una terminologia propria del linguaggio amoroso; «parlare al cuore» non significa sussurrare dolci paroline, ma parlare alla coscienza della persona; risvegliarne la volontà, la ragione, la decisione…

Sedurre e poi parlare al cuore: l’amore rinasce sia sulla base del desiderio (la seduzione), sia sulla base della convinzione e della volontà (il cuore); tutto l’essere umano viene coinvolto nel cammino dell’amore.

I vv. 18-19 costituiscono il secondo oracolo positivo. Il dio Baal scompare ormai dall’orizzonte di Gomer; ma c’è di più: «non mi chiamerai più mio padrone, ma mio marito». Il testo gioca sul fatto che “padrone” in ebraico si dice appunto ba’al, che è anche il nome del dio rivale del Signore, Baal appunto. Ritrovando l’amore del suo marito la donna ritrova allo stesso tempo la fede nel suo Dio.

«Non mi chiamerai più mio padrone, ma mio marito»: non vi sarà più un rapporto di dipendenza nella coppia, ma ormai di comunione. Ma attenzione: nel dire alla donna che non dovrà più chiamarlo “mio padrone” Osea ha capito di aver anche lui sbagliato. Da buon maschio ebreo del tempo, infatti, Osea si è comportato infatti con Gomer da padrone, non da marito! Ecco, forse, perché la donna scappava per prostituirsi nel tempio di Baal: aveva in Osea un padrone, non un marito; nessuno dei due aveva ancora compreso l’amore di un Dio-sposo di Israele che non intende comportarsi da padrone con il suo popolo.

Nei vv. 20-25 ecco il testo del terzo oracolo profetico annunzia nuove nozze che saranno molto diverse, nozze fedeli ed eterne: «Ti farò mia sposa per sempre, / ti farò mia sposa / nella giustizia e nel diritto, / nella benevolenza e nell’amore, / ti farò mia sposa nella fedeltà / e tu conoscerai il Signore…».

«Tu conoscerai il Signore»: qui il testo passa decisamente dall’esperienza personale di Osea a quella del rapporto tra Dio e il popolo. Il verbo “conoscere” gioca su un doppio senso, perché in ebraico può indicare una conoscenza reale, ma anche l’avere rapporti sessuali. Una conoscenza, dunque, che sarà da parte del popolo che si è prostituito un rapporto nuovo, personale, profondo - sponsale! - con il suo Dio che lo ha perdonato fino al punto di sposarlo di nuovo.

Un’unione che rinasce perciò partendo da un amore davvero capace di perdono. Il testo allinea una serie di vocaboli (giustizia - diritto - benevolenza - amore - fedeltà) tutti relativi all’amore di Dio per il suo popolo e, partendo dall’esperienza personale di Osea, il testo si allarga all’intero paese di Israele, descrivendo un popolo intero che rinasce (cf. le bellissime metafore di Os 2,23-25).

Il simbolismo matrimoniale si amplia, in questo testo, al cosmo intero; una nuova alleanza con la creazione (v. 20), un nuovo rapporto con Dio. Finisce un’epoca di violenza e si apre un’era di amore gratuito (il testo allude a ciò che avvenne al termine del diluvio; cf. Gen 9,8-17).

Ma la storia non finisce qui: se leggiamo Os 3,1 scopriamo un nuovo invito di Dio al suo profeta: «ama di nuovo tua moglie…»; amala ancora, benché adultera e prostituta, come il Signore ama i figli di Israele: «Il Signore mi disse: “Va’ ancora, ama la tua donna; è amata dal marito ed è adultera; come il Signore ama i figli di Israele ed essi si rivolgono ad altri dei e amano le schiacciate d’uva”».

Mostra alla tua donna il tuo amore, viene detto ad Osea, come Dio lo mostra al tuo popolo. In questo versetto la vicenda di Osea e quella di Dio si intrecciano tra loro in modo molto stretto. Accogli la prostituta come Dio la accoglie, amala anche se non hai prove che essa si sia convertita davvero: un amore realmente gratuito.

In conclusione, l’amore di Dio per il suo popolo viene descritto da Osea attraverso la metafora dell’amore umano; ma l’amore umano che Osea ha in mente è una vicenda assolutamente reale - la sua stessa vicenda matrimoniale - la quale ci parla, a sua volta, dell’amore di Dio. Ora, tale amore è più forte del tradimento e della prostituzione ed è così forte da saper creare un perdono inatteso. Di fronte all’amore tradito è perciò necessario testimoniare un amore anche più grande, capace di perdono.

Dell’Autore segnaliamo:

Pentateuco sapienziale. Proverbi, Giobbe, Qohelet, Siracide, Sapienza

EDB, Bologna 2012, pp. 272