Continuiamo la nostra lettura dell’universo scuola attraverso il cinema con altri due film, entrambi con l’obiettivo puntato sulla variabile docenti all’interno di questa istituzione, verificando come le dinamiche, all’interno di essa, possano incidere sulla sfera privata e, di contro, quanto il carisma o l’insicurezza di singole componenti abbia un peso rilevante sulla formazione educativa. Lo facciamo con l’analisi dei film “Detachment” di Tony Kaye e “La scuola” di Daniele Lucchetti.

Alessandro Casadio

Image 236Detachment

un film di Tony Kaye (2011)
distribuito da Officine Ubu

Non è un documentario, anche se apre con brevi videointerviste a docenti. E non è neanche tragedia, anche se è impossibile uscire dalla sala senza un po’ di angoscia. È piuttosto un’analisi disincantata, condotta con realismo, sul sistema di istruzione americano e sui suoi corto-circuiti. Il filo conduttore per osservare l’istituto pubblico nella periferia americana è l’esperienza del supplente Henry Barthes, vero protagonista del film, interpretato da un ottimo Adrien Brody. Sulla storia, grava la sensazione di ristagno di una situazione irrisolvibile; mentre il dramma su cui indugia la macchina da presa è quello interiore, come mostra lo sguardo triste e lontano del protagonista: «Non mi sono mai sentito allo stesso tempo così distaccato da me stesso e così presente nella realtà».

Supplente per scelta, Barthes si sposta continuamente da una scuola all’altra, senza mai mettere radici, obbedendo a una natura schiva e introversa. Conduce la propria esistenza in solitudine, chiudendosi agli altri e credendo di difendersi, evitando qualsiasi coinvolgimento emotivo. Un trauma infantile non gli impedisce di comunicare, seppur per il breve tempo di una supplenza. Agli studenti riesce a comunicare la passione, accesa per i poeti immortali e assente nella vita dell’uomo che ha scelto il distacco come condizione per salvare se stesso. Ma le vite degli insegnanti, con il loro fallimento sia personale che sociale, sono indissolubilmente legate a quelle dei ragazzi, dal momento che l’insegnamento è una missione e salvare i ragazzi coincide col salvare se stessi. Essi sono senza sogni, senza motivazioni per migliorare la propria vita, in un contesto di abbandono (a cominciare dall’assenza dei genitori), senza futuro. Le speranze si scontrano con la realtà e sfociano nel senso di impotenza. Ecco allora che è necessario mettere in discussione quel distacco, quell’approccio alla realtà: accorgendosi di chi si ha di fronte e sconvolgendo il proprio mondo apparentemente controllato, “distaccato”.

Un film con immagini potenti, come l’aula vuota e sfasciata, o la fotografia-ritratto senza volto, che analizza l’esperienza umana in una realtà estrema, eppure terribilmente vera. Un abbraccio finale, tra l’insegnante e la prostituta bambina, lontano dalla redenzione del lieto fine, che lascia in sospeso non poche domande sull’insegnamento. Consigliato soprattutto a chi vuole intraprendere questa strada, non per scoraggiarsi, ma per prendere consapevolezza della sua importanza e difficoltà. (Irene Dottori)