Dei
Dieci comandamenti non troverete pubblicità, incontrerete solo persone (giovani, adulti, anziani) che, incuriosite, in ricerca, forse anche deluse da altre esperienze, hanno sperimentato il percorso che un sacerdote romano da anni propone, e che, in tale cammino, hanno ritrovato la bellezza della Parola di Dio rivolta proprio a ciascuno. E hanno riscoperto la luce di quelle vecchie, e sempre nuove, dieci parole che illuminano i nostri passi.

Lucia Lafratta

Come un link che risveglia la fede

La catechesi dei Dieci Comandamenti insegna a lasciarsi guidare da Dio

di Caterina Pastorelli
volontaria presso la “Casa Frate Leone” di Vignola

Image 196Amare o uccidere

«Uccidere significa non perdonare. Uccidere significa escludere. Uccidere significa ignorare. Uccidere significa non amare.

Non uccidere significa dare importanza. Non uccidere significa edificare. Non uccidere significa dare nuove possibilità. Non uccidere significa amare.

Chi sei? Un assassino o uno che ama? Non c’è via di mezzo: o ami o sei un assassino».

Sono queste le parole che mi accolgono quando – dopo qualche mese – mi riaffaccio alla catechesi dei Dieci comandamenti. Parole dure, che penetrano senza chiedere il permesso negli spazi più intimi della nostra coscienza e che aprono finestre attraverso le quali possiamo decidere di guardare la nostra vita. E pensare che ho smesso di frequentare gli incontri perché “non mi dicevano nulla”!

Quando a gennaio dello scorso anno è partito qui a Vignola il percorso dei Dieci comandamenti sono andata, attratta più dall’idea di una proposta di un percorso di fede impegnativo e continuativo, che dal tema in sé. Come me, tante altre persone, più di una cinquantina, di ogni età e di ogni provenienza. Non c’erano solo i soliti volti noti che frequentano abitualmente la chiesa dei frati, ma anche persone provenienti da altre realtà e da altre città, raggiunte probabilmente dal passaparola, elemento indispensabile per la diffusione di questa esperienza.

Dopo i primi tre mesi, io ho smesso di andare. Sarà stato l’inizio un po’ a “rallentatore”, prima di cominciare a entrare nel vivo del primo comandamento; sarà che tante riflessioni le avevo già sentite; sarà che vorrei delle proposte con contenuti e con riferimenti più espliciti al francescanesimo; sarà che mi infastidiva che fosse una catechesi così standardizzata e chiusa (dopo il IV comandamento è bene che non si aggiunga più nessuno di nuovo, è consigliato non raccontare cosa viene fatto); sarà che avevo troppi impegni per riuscire a dedicare una sera a settimana agli incontri… ma a me queste catechesi non lasciavano nulla. Le belle parole, le riflessioni interessanti, lo sguardo concreto sulla quotidianità avevano valore e spessore nell’ora dell’incontro ma poi, nel resto della settimana, svanivano.

Ho smesso di andare, però con la curiosità di scoprire come a tanti questo percorso sulle dieci parole stia cambiando la vita. Scrivere questo articolo è stata l’occasione per chiedere a qualcuno di raccontarmi la sua esperienza: padre Francesco, che a Vignola tiene la catechesi, e Cinzia, che la frequenta sin dall’inizio.

Image 203Ritrovare quello stile

Incontro padre Francesco un mercoledì dopo la catechesi sul quinto comandamento che conclude domandando: «Chi sei? Un assassino o uno che ama?». Gli chiedo di raccontarmi qualcosa sui Dieci comandamenti e con grande sincerità mi dice che a lui hanno dato un bell’impulso nella vita spirituale, hanno aperto uno squarcio nel suo essere frate e sacerdote.

In fondo, lo scopo di questa catechesi è vivere una relazione autentica con Dio, con il Dio vero, non con l’idea che noi abbiamo di Lui. E per fare questo è importante avere un rapporto con la Sacra Scrittura, attualizzata e arricchita di esempi, perché possa davvero essere una via di pace e sapienza che ci guida e ci fa scoprire come nei dieci comandamenti si possano ritrovare le “istruzioni per l’uso della vita”, per non farsi male.

Per padre Francesco insegnare la fede attraverso questi incontri è l’occasione per crescere lui stesso nella fede perché riscopre ogni volta la bellezza della Parola che legge e che commenta e che ogni volta lo lascia stupefatto e quasi commosso, a tal punto che ogni tanto deve prendere fiato e fare un respiro profondo.

Il coraggio di aprire alla luce

Ecco invece ciò che scrive Cinzia, felice di poter raccontare quanto e perché, dopo il primo ritiro di due giorni alla fine del quarto comandamento, era contenta e sorridente come non lo era da anni:

«I primi mesi di “rodaggio” di questa catechesi non sono stati facili, non solo per me, ma per molti altri. Non fa piacere sentire mettere a nudo le proprie debolezze, toccare nervi scoperti.

Quella dei Dieci comandamenti è una catechesi impegnativa, e va seguita con costanza prima di arrivare a capire quanto possa servire alla nostra vita. I primi mesi si è tentati di lasciare, magari dandoci delle scuse: l’università, il lavoro, le faccende serali, gli amici, i tanti “impegni di chiesa”… Io ho avuto la fortuna di avere molto tempo libero, perciò non potevo darmi neanche una scusa, tanto più che non sto vivendo un momento facile nella mia vita e mi era difficile continuare solo con la semplice “routine chiesaiola” a darmi delle spiegazioni.

Image 204Sono contenta di avere continuato, perché grazie a questa catechesi sto imparando a usare nuove chiavi di lettura per la mia vita.

Di questa catechesi mi piace che venga spiegato il contesto in cui ogni citazione biblica è inserita: dietro ogni passo c’è un mondo, quello ebraico in cui viveva Gesù, e nessuna parola nella Bibbia è scritta a caso, ma è sempre legata alla vita quotidiana e alla tradizione. Anche la traduzione è importante, perché a volte le parole hanno un significato più profondo di come vengono rese in italiano. Spesso questi aspetti non si tengono in considerazione e spesso abbiamo la presunzione di saper leggere la Scrittura, invece di lasciarci leggere dalla Scrittura… e cosa viene fuori? Che ci creiamo un Dio a nostra immagine e somiglianza, prèt-à-porter, eliminando le parti “scomode” del suo messaggio, e costruiamo un palazzo che è solo una nostra religiosità e non una fede autentica, sincera. Il risultato è che spesso ribaltiamo più o meno consciamente ciò che vuole dirci il Signore, crediamo che ci voglia dire una certa cosa, invece ci vuol dire esattamente l’opposto.

Come capire che Dio ci sta parlando, che ci sta dicendo che possiamo essere felici?

Come facciamo a sentire la sua presenza, a sentire che parola ha per me, oggi, nella mia situazione che è letteralmente uno schifo?

La Scrittura si spiega con la Scrittura”, diceva San Girolamo. Ecco perché per spiegare un comandamento vengono chiamati in causa altri passi, soprattutto tratti dai Vangeli, che rispecchiano, fino a fare venire i brividi, le nostre situazioni personali. E la Scrittura parla. Oggi. A me, a te, a tutti. A ognuno Dio vuol dire una cosa diversa e parla a ciascuno attraverso la Scrittura. È la scrutatio, proposta alla fine di ogni comandamento, che permette di farlo: si parte da un brano biblico e si “naviga” liberamente, passando da un riferimento all’altro, come aprendo dei link, con l’umiltà di lasciarsi guidare da Dio e non avere la presunzione di sapere dove si vuole arrivare. E, a un certo punto, capisci che sei arrivato: leggi proprio il passo in cui ti rispecchi, che conferma i tuoi dubbi o ti indica la strada. È Dio che ha bussato alla tua porta e tu, dopo tante resistenze, lo hai lasciato entrare».

Una porta che io, forse, non ho avuto il coraggio di aprire, accecata dalla luce che entrava da quelle finestre aperte ad ogni incontro e che io richiudevo prontamente, senza dare tempo agli occhi di abituarsi a questa nuova vista.