L’Etiopia e le migrazioni sono il tema della rubrica “In Missione” di gennaio. Affrontiamo l’argomento con una intervista a padre Renzo Mancini, incontrato al termine del campo di lavoro di Imola dedicato proprio ai seferà, gli “isolati” che dopo la migrazione interna organizzata dal governo nel sud dell’Etiopia popolano ora una trentina di villaggi. Altro modo per riflettere è il messaggio di Benedetto XVI per la 99a Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato, nel quale ci ricorda che «prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra».

Saverio Orselli

Qualcosa è cambiato

Intervista a padre Renzo Mancini, missionario in Dawro Konta

Image 170Padre Renzo è una piccola forza della natura, con una carica di entusiasmo capace di contagiare chiunque incontra. Ne sanno qualcosa i ragazzi dei campi di lavoro di San Marino e Imola della scorsa estate. A pochi giorni dal ritorno nel Dawro Konta ci siamo ritrovati per una nuova chiacchierata missionaria. Come già accadeva con p. Silverio, il discorso sembra semplicemente riprendere, dopo una pausa di un paio d’anni… giusto il tempo per verificare sul posto come procede la presenza cappuccina emiliano-romagnola nel sud dell’Etiopia. E non solo.

La situazione in Etiopia due anni fa era in grande e rapida evoluzione; come vanno ora le cose?

I mezzi di trasporto sono aumentati molto, sia pubblici che privati. Chi ha un po’ di soldi li investe in una specie di taxi, perché il trasporto sta diventando una cosa importante: si sta passando in modo massiccio dall’andare a piedi al muoversi con le macchine. Sembra una banalità, ma le distanze che vengono coperte sono sempre più grandi e gli interessi sempre più vari, non solo nella zona della capitale ma anche in Dawro Konta, dove abbiamo un servizio di pullman giornaliero, a cui si devono aggiungere tanti piccoli camion, che fanno da mezzo di trasporto alternativo, anche se non proprio regolare. È molto più facile viaggiare e i collegamenti con Jimma o Soddo sono assicurati, con orari certi e abbastanza puntuali.

Questo significa scambi commerciali?

Esatto, e l’aspetto più importante è che lo scambio commerciale viene fatto comunitariamente. Non si ordina da soli del materiale per poi inviare un camion a prelevarlo, ma prima di mandarlo i vari piccoli commercianti fanno insieme una lista comune per fare un viaggio unico. Nei tempi passati, dopo la località di Waka, durante il periodo delle piogge non c’era strada, per cui i materiali trasportati venivano scaricati dai camion e caricati su lunghe file di muli, in grado di affrontare sentieri stretti, mentre ora che le strade sono migliorate non succede più. Ultimamente il governo sta lavorando molto sulle strade e anche sulle nuove case. Sono migliaia i condomini che stanno costruendo e, per ora, sembrano la soluzione per risolvere il problema della residenza nelle città piccole e grandi, Soddo compresa. Questo sviluppo urbano, esteso un po’ a tutta l’Etiopia, è un richiamo a livello continentale, con delegazioni di altri Paesi che vengono a studiare una soluzione interessante per le città. Dal mio punto di vista, si tratta di insediamenti in cui manca il verde e le case, troppo attaccate l’una all’altra, tolgono ai bambini gli spazi per giocare e agli adulti i luoghi in cui ritrovarsi insieme. Sembrano purtroppo destinati a diventare una sorta di quartieri dormitorio.

Image 177In questo particolare momento, la situazione politica deve fare i conti con la morte improvvisa di Meles Zenawi, il Primo Ministro in carica: quali notizie hai?

Al di là dei personaggi che guidano il Paese - il Vice Primo Ministro, Hailemariam Desalegne, originario di Soddo, è stato incaricato di guidare il governo fino al 2015 - a livello sociale un cambiamento importante interessa gli investimenti terrieri. C’è gente che viene da fuori e che investe molto nella terra, ma chi vive di pastorizia finisce col non trovare più la terra per i pascoli. Questo ha causato qualche violenza ma il governo ha puntato molto su questo aspetto con un programma di cinque anni, che dovrebbe assicurare stabilità alimentare ed economica. Non è facile però capire se questi investimenti terrieri porteranno reale ricchezza in Etiopia o solo in occidente.

Il recente grande sviluppo si vede anche dal moltiplicarsi delle antenne dei cellulari. Telefonini e internet sono ormai diffusi: io stesso, fino a qualche anno fa dovevo andare in strada perché il cellulare prendesse la linea, lo scorso anno mi bastava andare appena fuori casa in un certo spigolo, mentre ora posso restare in casa, anche se spesso manca la corrente e i ripetitori non funzionano. Come succede a ogni latitudine, anche i nostri ragazzini sanno usare il cellulare benissimo…

Quindi ci si può trovare di fronte a capanne dotate di un buon livello tecnologico.

Capita anche questo. Di certo la situazione del Paese è molto migliorata anche e soprattutto perché c’è la pace. A parte qualche scaramuccia con la Somalia o con l’Eritrea, la pace porta vantaggi evidenti nella vita della gente. Speriamo quindi che né la morte del Primo Ministro né quella del patriarca ortodosso, avvenuta poco tempo fa, possano causare problemi.

Due anni fa l’altro interrogativo in sospeso era legato alla missione: quale situazione ti attende?

Se l’altra volta era complicata, quest’anno è ancora peggio. I frati della Viceprovincia d’Etiopia hanno celebrato il loro capitolo in maggio e ora è il tempo di cambiamenti e spostamenti. In più, ora i responsabili sono lontani, impegnati nel Capitolo generale dei cappuccini che si sta svolgendo a Roma, e così le difficoltà aumentano, non potendo chiarire in fretta eventuali equivoci che possono nascere. Le stesse scelte dei frati nel capitolo etiope sono state più di rottura che in passato, con l’elezione di un definitorio ancor più giovane del precedente col rischio che, anche solo per l’età, potrà dover affrontare qualche difficoltà in più.

Il nuovo Viceministro, padre Yohannes Wessen, è venuto al Campo di lavoro con il provinciale dell’Emilia-Romagna, padre Matteo Ghisini, un sabato pomeriggio, in una pausa dei lavori romani. Quindi, appena eletto, si è trovato catapultato al capitolo generale?

È proprio così; d’altra parte avevano anticipato l’elezione locale proprio per consentire la partecipazione al capitolo generale… Purtroppo ho avuto notizia di alcuni frati che hanno chiesto l’anno sabbatico fuori dal convento, per fare chiarezza dentro di sé. Speriamo bene. I frati ora sono oltre ottanta e la stragrande maggioranza è giovane, con meno di trentacinque anni, e la difficoltà tra coetanei è accettare che ci sia chi ha responsabilità e chi no.

Quello che sta cambiando in modo positivo è il clima di collaborazione con la missione. Ora c’è giù Marco Rossi, un volontario che ha già messo insieme quasi un anno di lavoro e anche al campo qui di Imola alcuni ragazzi mi hanno chiesto come poter fare un’esperienza di volontariato. Questo mi fa molto piacere, anche perché il lavoro aumenta sempre di più mentre noi siamo sempre gli stessi. Spero molto che già quest’anno possa arrivare un aiuto per seguire i seferà, per cui abbiamo lavorato qui al campo e, per questo avevo chiesto uno o due frati alla Vice Provincia d’Etiopia e un missionario alla nostra Provincia. Ora attendo le risposte.

Image 179Puoi spiegare chi sono i seferà?

Ecco la loro storia. L’idea iniziale è che non dovrebbe esserci problema se dove vive poca gente ne viene spostata altra da luoghi in cui invece ce n’è tanta. Anzi, si risolvono molti problemi; una storia che anche noi italiani abbiamo conosciuto in passato… Così si è mosso il governo, cercando di organizzare meglio ciò che era già stato proposto un quarto di secolo fa, quando però la migrazione interna fu un disastro. Questa volta è stata preparata bene, con i capifamiglia liberi di decidere se accettare o no la migrazione interna volontaria. La densità del Dawro è di due o tre persone per chilometro quadrato, per cui gli spazi disponibili erano tanti, e così sono sorti molti villaggi - trenta solo quelli che conosco io - di seferà (che significa letteralmente separati, isolati), ognuno con 40-50 famiglie. In tutto circa 1500 famiglie, in cui ci sono almeno cinque figli: basta questo per capire quante persone sono coinvolte. Questo programma ci avrebbe coinvolto molto relativamente, se non fosse che molti seferà li conosciamo da quando siamo in Etiopia, perché spostati dal Kambatta, dall’Hadya, dal Wolayta, le nostre prime missioni. Sono i nostri “vecchi” cristiani, che arrivati nei nuovi territori ci sono venuti a cercare e così abbiamo avviato un nuovo servizio per loro, dopo averli incoraggiati nella scelta di rimanere. La nostra presenza li ha sostenuti in questo nuovo inizio, dal coltivare i campi al costruire le case, e già oggi si vedono i primi risultati, con buone produzioni agricole, come papaya, granturco e banane, che messe in vendita permettono di mantenere quelle strade frequentate dai camion che permettono il commercio. Ma se anche un po’ di sviluppo c’è, si tratta di insediamenti lontani dalle città almeno una sessantina di chilometri e i trasporti sono saltuari. In più l’area è a ridosso di un grande parco e gli animali selvatici protetti rappresentano un pericolo per le coltivazioni, così sono necessarie ronde notturne per difendere i campi da facoceri, maiali, bufali, scimmie…

La nostra presenza in ogni villaggio è assicurata da una piccola chiesetta che in molti casi fa anche da fidel, la scuola di alfabetizzazione per i bambini. All’inizio si tratta di strutture in canne ed erba che poi, pian piano, vengono sostituite da capanne in legno e argilla, e infine con casette in lamiera più sicure e stabili. La nostra presenza è molto impegnativa resa complicata dalle distanze, anche se siamo aiutati in ogni villaggio da catechisti. Un terzo dei villaggi che seguo personalmente sono a settanta chilometri da dove abito, un terzo si trovano a cento chilometri e i restanti a duecento, così non è facile seguirli in modo adeguato, anche perché i chilometri nel Dawro non sono come quelli dell’Emilia-Romagna… Fortunatamente, nonostante gli anni passino anche per me, sono ancora in grado di adattarmi molto, per cui quando vado a visitare i villaggi mi fermo un po’ di tempo nella casetta che mi hanno preparato e da lì parto per le varie località, dove celebro la messa e i sacramenti, poi incontro la comunità, i giovani, per verificare se ci sono problemi o richieste particolari. È un impegno che costa fatica, ma per adesso sento di avere ancora la forza per affrontarlo. In un futuro non troppo distante spero possa arrivare qualche aiuto.