Melodia per una piccola eco

Riesumazione della precarietà trasfigurata in amore pieno

di Fabrizio Zaccarini
Maestro dei postulanti cappuccini a Santa Margherita Ligure

Image 083Autodistruzione e ritorno

Cristina, mi sovvieni come piccola eco scandita nel ritmo ternario di Cristo: passione, morte, resurrezione. A te, mi rimandano le parole di un prete e teologo svizzero (tale Maurice Zundel): «Credo nell’uomo creatore dell’uomo». Si parte così, a rovescio, dall’uomo e non da Dio, e come vedrai, a rovescio si prosegue, perché questo prete ha scritto un’intera confessione di fede… “a rovescio” che mi aiuterà passo passo a riflettere facendo memoria grata di te. Le sue parole le riconoscerai facilmente: le scriverò in corsivo.

Da forze oscure e invincibili eri stata gettata in regioni scoscese fino all’abisso: tossicodipendenza, sieropositività, aids conclamato e, infine, il dramma di una morte evidentemente annunciata e comunque prematura. Dopo anni apparentemente consacrati ad una dolorosa autodistruzione della tua stessa persona, tu hai avuto il dono di un’ulteriore possibilità di vita, ma anche il coraggio di raccogliere da vera protagonista quella possibilità scrollandoti di dosso la dipendenza che ti aveva incatenato a gesti e situazioni devastanti. Quando qualche frammento di quei tempi nebulosi riemergeva dal profondo imponendosi alla tua memoria, tu stessa rimanevi perplessa e dicevi pudicamente: “e per che cosa poi?”. Un elegantissimo pudore il tuo! Faceva dire ad un’amica comune che tu eri uscita da eventi rovinosi conservando una tua segreta e intoccabile purezza.

Paradosso incontestabile il tuo, che lo svizzero illumina così: «Credo nella verginità dell’amore». Mi arrogo il diritto di dire che anche tu, come lui, hai creduto, nonostante tutto, alla “verginità dell’amore”. E lo hai fatto con ragione: all’amore ricevuto, all’amore donato, all’amore che ri-genera, si può attribuire il miracolo di mantenere, e poi rivelare intatto in noi, ciò che sembra perduto e per sempre irrecuperabile. D’altra parte, quanto troviamo sulla bocca di Gesù, «sono perdonati i suoi molti peccati perché ha molto amato» (Lc 7,47), non ti sembra la matrice evangelica delle parole dello svizzero?

Image 085Alla comunità di Sasso sopra Marradi eri diventata collaboratrice di don Nilo, aiutando altri che, lottando per il recupero di sé, avevano bisogno di punti di riferimento che facessero dire: “se ce l’hanno fatta loro perché io no?”. Ne deduco la legittimità di quella confessione di fede eretica che vede nell’uomo un creatore di umanità. Solo Dio crea dal nulla, ovvio! Dunque, in senso proprio questo verbo è esclusivo di Dio. Tuttavia, di fronte ad una proposta poetica originale, non si parla, per analogia, di “creazione artistica”? E tu a partire da cosa hai saputo accogliere in te la ri-creazione di quella libertà che ci rende umani? Credo di poter dire: a partire dallo sguardo di quell’uomo (don Nilo) che ha creduto in te, hai recuperato quegli ultimi residui di fiducia in te stessa che ti hanno consentito di accogliere l’azione dello Spirito Creatore.

I cooperanti di Dio

Insomma Dio sembra preferire ormai la cooperazione al lavoro in proprio. In principio Egli ha creato esclusivamente a partire da sé e senza diminuire sé stesso. Ma quella nuova creazione che è la redenzione, per volontà divina, non avviene in forza della divinità o dell’umanità, ma in forza della relazione tra i due. Lo stesso creatore, che creò dal nulla, ora si vincola alle nostre incerte risposte. Dio crea e salva tuttora, certo, non più dal nulla però, ma a partire dal sì dell’uomo. In Libano i cattolici maroniti nella notte di Natale al Dio piccolino cantano «senza Maria il mondo non avrebbe potuto vederti». Non riempie di meraviglia anche voi in cielo che, laggiù nella periferia dell’impero, l’eterno abbia voluto entrare nel mondo bussando e chiedendo “permesso?” alla porta di una ragazza?

Lasciami applicare a te ciò che ho appena scritto per Maria: la ri-creazione umanizzante operata da Dio passando attraverso di te si è diffusa ad altri nella «verginità della paternità e maternità autentiche». Dando te stessa perché altri fossero ri-generati alla libertà hai permesso al Cristo di farsi carne, di diventare storia di salvezza in te, con te, per te e per altri vicini a te. Direbbe il mio Francesco che sei diventata madre del Cristo accogliendolo nel tuo stesso corpo nel simbolo del pane e poi generandolo nelle opere sante che Lui ha compiuto in te. E risulta perciò perfettamente intonato sostenere che «il corpo umano non diventa se stesso se non dispiegando in sé la dimensione mistica, che lo rende persona ed evita qualunque forma di possesso».

Image 091A Sasso ti sei anche innamorata e coltivavi progetti di matrimonio, ma, prima di te, il male si è portato via il tuo innamorato e così l’amore rimase nell’elenco degli incompiuti. Intanto però hai potuto verificare che si può credere «nella comunione della luce nella quale le persone si generano e si riconoscono a vicenda» e che «l’amore è un sacramento che bisogna ricevere in ginocchio». Sì, l’amore che unisce gli sposi e li fa fecondi, l’amore che ci fa figli dell’Altissimo e fratelli donati gli uni agli altri, è un sacramento, un simbolo capace di unire il segno e la realtà, Dio, infatti, è amore. Non è saggio dunque separare il segno precario dell’amore umano e la realtà piena dell’amore divino (onnipotente e ferito) di Dio. Per questa via mi viene facile pensare che più velocemente hai corso le ultime tappe del tuo itinerario per nostalgia unitaria e contemporanea della favola dell’amore umano e della sua pienezza divina.

Il Dio dei corpi

La «trinità umana padre, madre e figlio» si è rivelata esplicitamente poi nella riconciliazione che dopo il tuo ritorno al cielo è stata donata ai tuoi genitori: fu tuo padre a dirmi che quello era il tuo regalo. Non so se sia giusta la mia lettura ma, ai miei occhi, la manifestazione della fecondità che è stata donata a te e anche per mezzo tuo a loro, io l’ho sperimentata quando chiesero, solo a me oltre a loro, di essere presente quando, il giovedì santo di quasi cinque anni fa, ciò che restava del tuo corpo è stato riesumato dalla terra di un cimitero. «Dio è quindi il Dio dei corpi, nella misura stessa in cui i nostri corpi sono chiamati a diventare il corpo di Dio, per dare lacrime al Suo dolore e ancor più per rendere percepibile il sorriso del suo amore». Perciò, credo, le mie omelie di Pasqua quell’anno furono tutte segnate profondamente da quell’evento e dopo poco tempo sentii l’esigenza di cantare in poesia ciò che avevo annunciato all’ambone. Lascia che ora condivida con te il canto drammaticamente gioioso di allora.

Hanno guanti di lattice

per raccogliere di te

ciò che in terra rimane

femori lunghi

cui manca ogni carne

e solo capelli sul cranio.

Che vale a noi ricordare

di te la pelle e il viso

per te ormai quale canto?

Il canto!

Di Adamo alla madre dei viventi

della Maddalena che all’alba abbraccia

l’Assente dal sepolcro.

Il canto al Cristo che già viola

la compattezza della morte

a te Cristina sua piccola eco

questo canto:

ossa delle mie ossa

carne della mia carne

tu sei.