Il farsi prossimo di chi masticava salmi
Gesù, ebreo per sempre, dimostra una fede attinente al quotidiano
di Stefania Monti
biblista, Presidente delle clarisse cappuccine italiane
In relazione alle radici ebraiche
Sarebbe facile semplificare e dire: esistono due scuole di pensiero. La prima sottolinea con toni più o meno decisi le differenze; la seconda punta sulla continuità tra Gesù e la fede e la religiosità del suo tempo. Perché il nodo della questione è proprio la relazione tra Gesù e il suo essere ebreo; perché se si parla della fede di Gesù, o piuttosto di quel che credeva e come, non si può prescindere dal suo essere ebreo.
A dire la verità tuttavia non è facile definire questo rapporto. Il mondo ebraico era ed è estremamente variegato e pluralista, per cui è quasi impossibile dare dei criteri che dicano chi sia “dentro” e chi sia “fuori”. Sono invece possibili infinite variazioni sul tema, e questo porta alcuni studiosi a parlare di continuità o di discontinuità: tutto dipende dal loro punto di riferimento ebraico. Potremmo fare due nomi, per esempio, Daniel Boyarin e Jacob Neusner rispettivamente, per le due tendenze. Il primo trova radici ebraiche per qualunque dogma cristiano, Trinità compresa; il secondo indica solo punti di rottura.
La lettura degli evangeli in realtà non permette di essere categorici. Esisteva davvero quello che oggi chiamiamo “ebraismo” al tempo di Gesù? Se partiamo dalla descrizione classica di Giuseppe Flavio che parla di tre gruppi - sadducei, farisei ed esseni - stentiamo a inquadrare Gesù in uno di questi.
I sadducei sono soprattutto membri della classe sacerdotale, legati alla sola Torah scritta, negano la possibilità della resurrezione e quindi di un’interpretazione apocalittica della storia, sono inclini a cercare l’accordo con gli occupanti romani, per una politica del salvare il salvabile (cf. Gv 11,49-50). Se queste sono le loro caratteristiche principali, non pare che Gesù possa rientrare nel loro ambito.
Gli esseni, identificati da Giuseppe Flavio con un gruppo che vive nel deserto presso il Mar Morto - il che è stato decisivo per identificarli con gli abitanti di Qumran -, sono in polemica con il tempio e il sacerdozio ufficiale, stanno lontani dal potere e hanno una visione apocalittica della storia. Diversi tratti del loro modo di vivere e pensare compaiono nell’insegnamento di Gesù e, ancor più, del Battista.
I farisei invece sono un gruppo dalle origini oscure ed estremamente sfaccettato. Credono nella resurrezione e hanno una concezione apocalittica della storia; sono interessati a una costante ermeneutica della Torah perché deve essere vissuta sempre e comunque, si dedicano perciò con acribia alla sua interpretazione attraverso lo studio, la scuola e la discussione.
In senso stretto, Gesù ha molte caratteristiche del fariseo: gioca con le parole, cita costantemente
Boyarin si chiede se Gesù mangiasse kosher: credo che senza alcun dubbio Gesù seguisse tutte le regole, anche se sapeva e ha detto pubblicamente che non tutte sono importanti allo stesso modo. È un fatto che i farisei polemizzano con lui sulle trasgressioni dei discepoli (Mt 12,1ss e paralleli), senza coinvolgerlo personalmente.
La questione “prossimo”
Ci sono però alcuni tratti peculiari da considerare. Prima di tutto Gesù è galileo, e come tale non ha frequentato le accademie di Gerusalemme, e viene guardato con diffidenza, bensì le scuole e la vita di villaggio e dei campi. Le parabole mostrano come per lui la fede abbia attinenza con la vita quotidiana: gente che compra campi, donne che perdono soldi, aratori, mietitori, pescatori, mercanti e poi il passare delle stagioni e i colori del cielo. La fede è quella antica dei padri, di Abramo nostro padre e Mosè nostro maestro; il linguaggio è diverso, nel senso che come ogni maestro Gesù accentua quello che davvero gli sta a cuore.
Quando gli viene chiesto quale sia il centro della fede e della vita (Mt 19,13ss e paralleli), risponde conforme a tradizione, ma con una risposta aperta. Resterebbe infatti da definire chi sia il prossimo, tema sul quale verteva in particolare la discussione dei farisei dell’epoca. I romani, tanto per dire, erano “prossimo”? E gli erodiani? E i sadducei collaborazionisti? E il “popolo della terra” che non aveva accesso all’osservanza della Torah?
Rispondendo a questa domanda (Lc 10,29ss) Gesù dà due preziose indicazioni. Anzitutto il prossimo non è un oggetto, ossia gli altri a cui io rivolgo la mia attenzione, bensì un soggetto: io che agisco la mia prossimità verso gli altri. Secondariamente questa prossimità va esercitata verso uno straniero come un samaritano. È stato Carmine Di Sante a notare e a farci notare che nelle Scritture Ebraiche il comandamento più diffuso è quello del rispetto dello straniero, sia perché Israele è stato a sua volta straniero/profugo in Egitto, sia perché Dio resta, in forza della sua alterità, il grande ospite straniero degli uomini. Fondamentalmente è il comandamento della gratuità e di un’ospitalità generosa che non chiede contraccambio. In questo sta davvero tutta
Il mondo dei salmi
Il suo mondo è quello dei salmi. Non a caso gli evangelisti gli pongono un salmo sulle labbra al momento della morte (Sal