La Chiesa con le porte aperte

di Dino Dozzi
Direttore di MC
«Gaudet Mater Ecclesia»: queste le prime parole del solenne discorso di apertura del concilio Vaticano II, cinquant’anni fa, l’11 ottobre 1962 da parte di Giovanni XXIII. Se parto da qui, è perché, in tempi come i nostri, in cui la delusione e la sfiducia vorrebbero prendere il sopravvento per il dilagare di scandali regionali e nazionali, nella società e nella Chiesa, appare indispensabile andare alla ricerca di ciò che da sempre affascina e attira, la bellezza e la gioia. Di queste due realtà abbiamo bisogno più che di uno spread accettabile e di un debito pubblico sostenibile, anche se questi e quelle non sono del tutto indipendenti.
Ci troviamo in questi giorni a ricordare quel discorso e quel Concilio, per verificare che fine hanno fatto quella gioia della madre Chiesa e quell’esperienza sinodale straordinaria. Davvero ecumenico quel Concilio, con i suoi duemila vescovi convenuti da tutte le parti del mondo, e non per approvare rapidamente e formalmente i tanti documenti preparati dalle Commissioni preparatorie: fu confronto vero, ricerca lunga e faticosa, un reale cammino insieme, la cui direzione fu indicata coraggiosamente e chiaramente da papa Giovanni con quell’allocuzione che partiva dalla gioia della madre Chiesa.
«Interamente farina del suo sacco» - come lui stesso notò nel suo diario - quel discorso indicava il cammino e lo stile dei lavori del Concilio. All’inizio di ottobre di quell’anno, il Papa uscì dal Vaticano - la prima volta dopo Porta Pia - e in treno andò a Loreto e ad Assisi, ad impetrare la protezione della Madonna e di san Francesco sui lavori conciliari. La potenza dei simboli:
Con quel discorso di apertura il Papa prendeva le distanze da una visione pessimistica della realtà e della storia: «A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunciano eventi sempre infausti». Il suo era uno sguardo fiducioso nella Provvidenza che «ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani». Oggi, aggiungeva, si tratta di fare un “balzo in avanti”, distinguendo «il deposito stesso della fede, vale a dire le verità contenute nella nostra dottrina» e «la forma con cui quelle vengono enunciate». Tale forma andrà aggiornata, secondo un criterio pastorale ispirato all’ascolto e alla misericordia piuttosto che alla condanna e all’anatema.
Seguiranno i lavori conciliari, con la fatica sinodale, ma anche con la grande gioia, del “camminare insieme”. Verranno prodotti documenti di straordinaria importanza, non tanto per contenuti nuovi quanto per lo stile di rapportarsi con la realtà umana. È lo stile la grande novità del Vaticano II. Uno stile fatto di dialogo, di ascolto, di coraggio, di volontà di camminare insieme per il bene dell’uomo e di tutto l’uomo. Una Chiesa che apre fiduciosamente le porte al mondo degli uomini e dei loro problemi. Così inizia
A cinquant’anni dall’inizio di quel Concilio ci domandiamo che fine hanno fatto quei documenti coraggiosi, quell’esperienza sinodale e quello stile dialogico. Bisogna riconoscere che
Ma il Vaticano II è affidato a tutti noi, al nostro coraggio e alla nostra perseveranza. Quel “balzo in avanti” è ancora possibile farlo, tutti insieme. E allora, nonostante le fatiche e le delusioni, gli scandali e i profeti di sventura, gusteremo anche noi la gioia del camminare insieme, mano nella mano, Chiesa e uomini di oggi.
Auguri di buon Natale e di un sereno 2013.