Bestiario spirituale

La difficoltà di farsi accompagnare, riletta con qualche allegoria

di Pietro Casadio
della Redazione di MC

Image 102Guida spirituale nella grande distribuzione

«Numero 52», chiama con voce piatta la segretaria. «Eccomi», risponde un uomo alzandosi dai banchi laterali all’altare, quelli del coro. «Mi segua», continua perentoria la donna inforcando la porta della sacrestia. La chiesa è affollata, ci saranno quasi duecento persone, tutte lì ad aspettare, col numerino alla mano, il loro turno per un colloquio col prete. Tutte le mattine, dalle nove a mezzogiorno, la chiesa e il suo sacerdote accolgono una fiumana di gente che esige e reclama una guida spirituale: «C’ero prima io!», «ma se hai il numero dopo il mio!», «sì, perché tu mi hai superato di corsa mentre venivo a prenderlo!», «beh? Sono stato più veloce, tocca prima a me!». L’appello incede con smisurata lentezza burocratica. Chi viene chiamato si alza di corsa, sfilando con un veloce segno di croce davanti a un crocifisso un po’ perplesso. Va dietro alla segretaria che lo conduce in uno stanzino con due sedie: nella prima (la più comoda) sta un vecchio prete arcigno; la seconda è vuota. Il sacerdote saluta la sua pecorella, la invita a sedersi e aziona un cronometro: «Hai massimo dieci minuti».

Diciamolo pure, nessuno di noi vorrebbe una cosa simile. Nessuno può desiderare una Chiesa in versione ufficio postale, dove non c’è il tempo dell’incontro e la personalità delle relazioni. Tuttavia la situazione attuale è forse un po’ troppo agli antipodi: chiese vuote, dove spirano venti sahariani, con molta polvere e qualche vecchietta. Non c’è fila per parlare col prete perché quasi nessuno ha davvero voglia di avere una guida spirituale. È chiaro: accettare di essere accompagnati non è facile e tantomeno lo è per i giovani. Bisogna vincere la pigrizia, la reticenza, il riserbo. Senza contare che un giovane si pone tante domande a cui difficilmente trova risposta: perché farsi accompagnare? Che bisogno c’è? Non basta Dio? Da chi andare? Come scegliere? Tante, troppe domande. E io che le pongo non ho intenzione di provare a rispondere. Una cosa sola vorrei fare in quest’articolo: dire alcune difficoltà e alcune tentazioni che incontra chi, con le migliori intenzioni, si fa venire l’idea di una guida spirituale.

Image 104Gente, bestie e fiori

Il primo punto è questo: noi non siamo alberi. Oddio, parlo per me almeno, io non sono un albero. Ma credo di poter ipotizzare con un buon margine di sicurezza che non ci sono alberi fra i lettori di Messaggero Cappuccino (al massimo qualche Pino). Non siamo alberi, ma ogni tanto vorremmo comportarci da tali. Gli alberi hanno radici grosse e profonde, sono saldi e sicuri, ma non si muovono. Noi uomini siamo forse più alla mercé del caso, ma abbiamo la possibilità di spostarci da un posto all’altro, abbiamo la possibilità di camminare. Il primo rischio è: voler restare fermi, come gli alberi. Per accettare di essere accompagnati bisogna innanzitutto mettersi nell’ottica di chi vuole crescere e sa di avere ancora tanta strada da fare. Una banalità, direte voi, ma credo che questa sia una delle maggiori difficoltà perché significa ammettere a se stessi di essere imperfetti e incompleti. Sintetizzando in una parola il requisito contrario alla difficoltà, direi: volontà. Serve volontà.

Oltre che alberi, non siamo neanche remore. Qui penso che una precisazione zoologica sia d’obbligo per quelli che non conoscono le remore. Io, ad esempio, non le conoscevo prima di chiedere aiuto a Google, il guru del ventunesimo secolo. Avete presente quei pesciolini che si attaccano al ventre degli squali e si lasciano trasportare da loro? Ecco, quelle sono le remore. Loro si possono permettere una simbiosi con gli squali e così si fanno scorrazzare a destra e a manca senza un briciolo di fatica. Noi uomini ahimè non abbiamo questa facoltà e dobbiamo imparare a camminare da soli. La seconda tentazione è forse una delle più diffuse: pensare che lasciarsi guidare significa farsi trascinare. Significa che la fatica la fa la guida e tu fai da peso morto con la speranza di arrivare, prima o poi, da qualche parte. È la politica di chi va dal padre spirituale con le due possibilità e chiede a lui di fare la scelta. Ma, come tutti sanno, a costruire la propria vita su scelte fatte da altri c’è da guardarsi allo specchio un giorno, e accorgersi che non siamo nulla di ciò che volevamo diventare. La Provvidenza non è una scusa: la vita si deve vivere e non lasciarla scorrere senza fare nulla. Serve autonomia.

Proseguendo nel nostro bestiario di figli spirituali venuti male, troviamo gli imitatori dei muli. È stereotipica la scena in cui il mulattiere strattona la sua bestia provando in tutti i modi a farla avanzare. E invece il mulo no: ha deciso che non si muoverà, a costo di impiegare tutte le sue energie per non fare un passo. Ma perché? Lungi da me l’idea di entrare nella psicologia equina, quella la lascio a Bud Spencer o Robert Redford. In ogni caso il paragone dice questo: farsi accompagnare implica anche accettare di misurarsi con la propria reticenza e vincere la battaglia. Per far questo bisogna avere stima di chi ti propone alcune tappe nel tuo cammino. Serve fiducia.

Image 106L’automatismo delle papere

E infine le papere, che in questo articolo assumono le fattezze del male assoluto. I paperotti camminano in fila indiana, seguendo la madre, mettendo le loro zampe palmate nell’orma di chi è davanti. Il figlio spirituale-papera è quello che mi spaventa di più. È colui che, pur in autonomia, segue in tutto e per tutto la propria guida, senza mai interpellarsi su cosa sia bene per lui, diventando un po’ alla volta l’immagine di chi lo ha preceduto. La tentazione peggiore, a mio modo di vedere, è proprio quella di dimenticare la propria strada per seguire quella percorsa da un’altra persona. È indice di una relazione malsana, priva di dialogo vero, priva di dialettica e di dubbi. Una relazione che non può condurre da nessuna parte (e comunque non dalla parte giusta) perché a fare la papera si impara solo a dire «qua qua» e non si lavora sulla propria personalissima identità. È invece da considerarsi un’immensa ricchezza trovare una guida con cui discutere. A volte la paura di avere un padre spirituale dipende dalla paura di trovare qualcuno che la pensi diversamente da te, qualcuno che ti smonti le tue comode verità. Io avrei paura del contrario. Perché serve libertà.