Il domatore della comunicazione

L’ardente pazienza crea il dialogo coi ragazzi

di Franco Holler
formatore a Bologna

Image 076Regole farcite di rispetto

Quando accostiamo alla parola “accompagnamento” l’aggettivo “scolastico”, la nostra percezione la va a collocare in un ambito ben definito. Ma sbaglieremmo se ci fermassimo ad elementi quali aule e banchi: l’accompagnamento scolastico, anzi l’accompagnatore scolastico si rivolge a un’“aula umana”, che ha una propria anima, talvolta è una fiera da domare, o un pubblico da affascinare, altre volte un cantiere di lavoro; e il “banco” è cosa viva, ti scruta, rumoreggia, presta attenzione, disturba.

Questa aula e i suoi banchi sono fatti di tanti volti che ti osservano, che aspettano le tue mosse: è un bosco da esplorare, un insieme di diversità che pretende, ciascuna, di essere vista, di non essere confusa con nessun’altra.

Quindi, il principale problema per l’accompagnatore scolastico - che oggi si può variamente definire come maestro, insegnante, docente, formatore o tutor, magari andando a ricomprendere tutti gli adulti che formano la cosiddetta “comunità educante” - non è quello di trasmettere qualche nozione o di fornire qualche abilità, garantendo una buona qualità professionale: ma è l’accompagnamento che l’adulto scolastico di turno sa offrire a chi gli sta davanti e che ha bisogno di capire perché è lì.

A partire dalla capacità, in sé banale ma fondamentale, di stabilire una qualche forma di comunicazione, un collegamento video-audio, di occhi, orecchie e parola, verbale e non verbale; unita ad una capacità definita come “gestione aula”, perché tutto può risultare vano e inutile se non si arriva ad una condivisione di piccole regole farcite di reciproco rispetto e attenzione, a volte utilizzando tecniche copiate dal domatore di leoni e dall’ammaestratore di scimmie, perché anche loro creature di Dio.

Image 082Tutto si gioca intorno alla relazione

Ora facciamo un passo ulteriore, avviciniamo “accompagnamento scolastico” a “didattica”. Se la definiamo “scienza e arte della relazione tra l’insegnare e l’apprendere, all’interno di un contesto”, cosa mi sta a significare? Che tutto si gioca attorno al termine “relazione”.

Nel recente passato, tale relazione didattica veniva letta e somministrata solo secondo una logica lineare unidirezionale, apprendimento come risultato dell’insegnamento, sua variabile attesa obbligata e obbligatoria.

Oggi, seguendo vie pedagogiche più vicine al nostro sentire, la relazione didattica va pensata e vissuta come relazione circolare, che provoca una reazione a catena virtuosa: non a senso unico, ma comunicazione faticosa e appagante, costruzione di un dialogo effettivo, messa in gioco non solo del destinatario-alunno ma anche dell’accompagnatore-insegnante, a sua volta destinatario. Comunicare (accompagnare) quindi non è soltanto trasmettere, ma è anche ascoltare, e ascoltando modificare il proprio comportamento, ciascuno il suo.

Diceva don Lorenzo Milani, sacerdote e maestro che diede vita all’innovativa Scuola di Barbiana nell’appennino fiorentino: «Non dovrebbero preoccuparsi… di come bisogna fare, per fare la scuola, ma solo di come bisogna essere per poter fare scuola».

Ci sono altre dimensioni che favoriscono la riuscita dell’accompagnamento educativo e formativo? Una è l’accoglienza, intesa come capacità di riconoscimento e valorizzazione dell’esperienza del ragazzo, della serie “dai bambini c’è sempre da imparare”, se l’adulto è disponibile ad ascoltare. L’altra è la competenza, cioè padronanza delle arti della mediazione e della facilitazione del dialogo-apprendimento.

Non è facile prestare attenzione alle richieste dei ragazzi: le loro domande di senso il più delle volte non si manifestano esplicitamente, sono tracce spesso poco percettibili. E qui l’accompagnatore deve sapersi fare ascoltatore, a volte come un rabdomante, cercatore di domande di Assoluto in un mare di banalità (per lui).

Altro aspetto: per saper far interessare i ragazzi occorre motivarli in profondità. Se la curiosità è un ingrediente favorevole dell’accompagnamento, la sua radice profonda deve essere la motivazione. L’accompagnatore che “ascolta” si fa attento alla situazione concreta del ragazzo, alle capacità che dimostra come pure a quelle che sono ancora da sviluppare o sono solo in divenire, e qui si manifesta in pieno la bella responsabilità dell’accompagnatore che, appunto, accompagna, cioè sostiene, propone, educa, pungola, mette in dubbio, incoraggia, consiglia, dubita di sé, ci crede.

Image 083Il grande fine di essere uomo

Diceva ancora don Milani: «Cercarsi un fine. Bisogna che sia onesto. Grande. Che non presupponga nel ragazzo null’altro che d’essere uomo. Che vada bene per credenti e atei».

Il buon accompagnatore è significativo per chi lo ha come compagno di strada nel percorso scolastico, educativo e formativo, e non deve subirlo come una maledizione.

Ancora, l’accompagnamento scolastico, inteso, vissuto e proposto come relazione didattica, promuove una circolarità virtuosa tra motivazione e successo: ragazzi motivati conseguono il successo scolastico e anche lavorativo o nella vita, e il successo a sua volta alimenta e incrementa la motivazione, in una spirale positiva.

Oggi mirabolanti promesse ci arrivano dalla tecnologia e dal progresso, anche nel campo dell’accompagnamento scolastico e della relazione didattica, ma lavagne intelligenti e collegamenti iperspaziali non sono ancora così efficaci come l’accompagnatore in carne e ossa; i contenuti e la comunicazione possono essere i migliori al mondo, ma la loro efficacia è strettamente correlata al grado di coinvolgimento personale: solo chi è appassionato può appassionare, solo chi è intimamente interessato è capace di interessare.

Questa è la bella teoria, ma spesso l’accompagnatore scolastico, il mediatore didattico, o come lo si voglia chiamare, si portano dietro un fardello, ogni anno più pesante, fatto di fatica, delusioni professionali, difficoltà del presente, incertezze del futuro, colleghi insensibili, genitori arroganti… Ed è più faticoso ricominciare con rinnovata passione: ma questa è una questione vitale per l’accompagnatore e per chi è da lui accompagnato, su sentieri magari a volte aspri e severi, ma che almeno portano da qualche parte.

Anche qui, dirimente è l’Amore, che custodisce e accompagna, rafforza un senso di vocazione e di missione. E, se vogliamo vedere con i Suoi occhi, lo ritroviamo in ciascun volto che ci viene affidato.

Come suggestione finale, le parole di Martha Medeiros: «Muore lentamente chi evita la passione, chi preferisce il nero sul bianco, / e i puntini sulle i piuttosto che un insieme di emozioni (…) / Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, / chi è infelice sul lavoro, chi non rischia il certo per l’incerto, / per inseguire un sogno (…) / Soltanto l’ardente pazienza / porterà al raggiungimento di una splendida felicità».