Le strategie di Capitan Futuro

Il ruolo dei genitori disegna un progetto di famiglia da costruire con tutti 

di Alessandro Casadio
della Redazione di MC

Image 063Le mode passano, i figli restano

La prima volta che mi misero in braccio un bimbo, il mio, si creò automaticamente un legame indissolubile, poi esteso anche ai figli successivi, come se quell’esserino così vulnerabile fosse l’insegna araldica di una nobile casata, che mi conferiva dignità, orgoglio e, siccome non ero un incosciente, anche un sacco di responsabilità. Era poco più di un topino caldo e semovente, con la testa a pera per il prolungarsi del parto, violaceo per la fatica sostenuta. 4 chili e ottanta grammi che avevano provato duramente la mamma nell’unica battaglia che vale la pena di essere combattuta. Allora, primi anni ’80, andava di moda il latte artificiale, perché si diceva che quello materno riservasse pesanti strascichi alle madri; si era timorosi di causare traumi psicologici irreversibili ad ogni gesto o contatto con l’infante, timore indotto dalla psicanalisi (Freud docet), imperativa e di moda pure lei; il cordone ombelicale si recideva istantaneamente e si era maniacalmente rigidi nell’osservanza degli orari dei pasti. Pertanto, se ti capitava un figlio amante di quella fase essenziale della giornata, le attese per la poppata si trasformavano in deliranti incubi insonni in cui ti interrogavi, con tanto di sensi di colpa, sul perché mai tuo figlio fosse conformato difformemente da quanto prescritto dalla regola.

Tra input e output, cercando di separare la pula dal grano, ho vissuto tutto il mio accompagnamento di padre stimandolo come un fiore all’occhiello della mia vita. Questo dono ricevuto, tra le normali fatiche che comporta, presenta molti aspetti piacevoli e gratificanti anche quando il termine “bimbi” acquisisce un valore puramente affettivo e l’aura di semidio onnisciente, onnipresente, onnirisolvente e onnipagante lascia il posto ad una matura e realistica lettura della realtà, da parte dei figli, configurandoti come comune mortale che ha provato a volergli bene. Affinché questa metamorfosi, però, si inveri naturalmente, bisogna salvaguardare alcune direttive fondamentali.

Image 068Visione prospettica

La presenza è il requisito principale di un genitore, che non si misura né in soldi sbolognati né in asfissiante protezionismo, non ti dipinge come padre permissivo né autoritario, semplicemente ti rende autorevole quando in te vi è una visione prospettica del futuro che riguarda tutta la famiglia. Il papà e la mamma sono i garanti dell’esistenza di un futuro bello, verso il quale si sta camminando, talmente significativo per l’esistenza di tutti, da rendere accettabili per esso qualche sofferenza e sacrificio, la fatica di aggirare e superare ostacoli, l’accettazione di un eventuale lutto. Ogni famiglia emigra costantemente verso il suo futuro e i capitani della barca non abbandoneranno questo progetto, per la sola ragione che credono fermamente in esso. Questo tipo di presenza si percepisce a pelle, nell’attenzione e comprensione del modo dei ragazzi di percepire la vita, è finalizzata a sottolineare la logica che governa le scelte, anche se non può essere sempre razionalmente compresa. Nel crescere dei figli, questa logica va sempre più condivisa, esponendosi al rischio che essa possa non essere apprezzata, possa essere contrastata con forza o addirittura abbandonata. Resterà comunque un solco profondo, concretamente sperimentato da ogni membro della famiglia, che inevitabilmente darà i suoi frutti nell’età matura. Bisognerebbe forse stimolare, nel formarsi di ogni famiglia, la presenza di un tale progetto, ampiamente condiviso dalla coppia che la costituisce: i ministri del matrimonio. Proprio perché il ruolo del genitore in una famiglia è insostituibile ed essenziale non va contaminato o ibridato con formule di pseudo-amicizia, volta perlopiù a carpire segreti e violare l’intimità dei ragazzi che ne fanno parte, o di complicità adolescenziale che nutra l’illusione dell’eterna giovinezza. Se si gioca e si scherza coi propri figli, e bisognerebbe farlo spesso, è sempre nella sottintesa consapevolezza di chi ha il polso della situazione e sa e trasmette il senso di quel giocare come elemento riconducibile al progetto.

Image 075La cappa di vetro

Una delle tentazioni più forti che abbiamo come genitori è “la cappa di vetro”, termostatica e infrangibile, che possa evitare al sangue del nostro sangue qualsiasi tipo di sofferenza, ma anche solo di perturbazione. Non è solo l’illusorietà di tale sistema a sconsigliarne l’applicazione, ma tale forma di iperprotezione, che non può non essere invasiva, priva i nostri figli di una delle forme più vere e naturali di crescita: quella sofferenza che ti mette in guardia dai tuoi errori, che ti aiuta ad interpretare la complessità della vita, che impari a leggere negli altri, avendola sperimentata su di te. È indubbio che la sofferenza dei nostri figli crea anche in noi analoga conseguenza, ma questo è un prezzo necessario per poter essere in empatia profonda con loro e col mondo.

Il nostro accompagnamento non sarà quello di esorcizzare ogni fantaproblema che loro si troveranno a dover affrontare, ma garantire la nostra disponibilità all’aiuto, nelle forme che la realtà ci consente, ben consapevoli che limiti e difficoltà non sono solo una prerogativa dei figli, ma entrano, facendo danni, anche nella nostra esistenza. Se ben guardiamo, questo atteggiamento di presenza e di ascolto nella fatica di vivere è lo stesso che Dio assume con Giobbe, a cui non dà ricette prefabbricate o miracolistiche, semplicemente ponendosi al suo fianco.

La responsabilità di rendere responsabili

Rinunciare ad un pedissequo interventismo servirà ai nostri rampolli a farsi le ossa, obbligandoli ad assumere sempre maggior responsabilità nelle scelte che la vita offre a tutte le persone, aiutati in questo dalla massiccia dose di fiducia che sapremo manifestare a loro, dove anche gli errori, riletti con saggia capacità autocritica, diverranno elemento costituente di personalità e formazione. La permanenza allo stadio di “bamboccioni” non si individua nel fatto di abitare o meno con i propri genitori, ma nel grado di capacità di assunzione di precise responsabilità e conseguenti scelte. Se poi qualcosa vogliamo veramente fare, possiamo esternare una nostra appassionata faziosità nell’identificare i nostri “bimbi” come quelli più buoni, bravi e belli del mondo, almeno in divenire, tutto filtrato dal nostro vigile, realistico, attento affetto.