Un segno della sua premura
La Regola è il modo di Francesco per accompagnare i fratelli
di Felice Accrocca
docente di Storia della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana
La consegna di sè
La proposta cristiana di Francesco d’Assisi trovò la sua definitiva espressione nella Regola confermata da Onorio III il 29 novembre 1223, che riassume la vita della fraternità, chiamata a osservare la povertà e l’umiltà e il vangelo di Gesù Cristo, in comunione con
Si può dire, anzi, che
L’indice del cambiamento
Il capitolo VII, sulla penitenza da imporre ai frati caduti in peccato, rivela l’evoluzione in atto. Il tono usato è diverso da quello adottato in precedenza: nel capitolo V della Regola non bollata si affermava che, qualora qualcuno si fosse mostrato incline a «camminare secondo la carne e non secondo lo Spirito», i frati avrebbero dovuto ammonirlo, istruirlo e correggerlo «con umiltà e diligenza». Nel caso in cui egli, «dopo la terza ammonizione», non avesse voluto emendarsi, avrebbero dovuto inviarlo al proprio ministro o notificargli la cosa (vv. 5-6: FF 17).
In ogni caso, tuttavia, i frati non dovevano adirarsi né turbarsi per il peccato altrui, «perché l’ira e il turbamento impediscono la carità in sé e negli altri» (VII, 3: FF 95): la vita in comune aveva le sue difficoltà e il peccato di uno finiva per scaricarsi sugli altri, che ne venivano inevitabilmente danneggiati; era facile, perciò, che in tali situazioni coloro che ne facevano le spese finissero per ribellarsi e adirarsi, o perlomeno - nella migliore delle ipotesi - fossero tentati di farlo.
Senza disprezzare e giudicare
Nel capitolo X si torna a parlare di correzione e ammonizione dei fratelli. Non si accenna alla correzione reciproca: ai ministri era chiesto di visitare, ammonire e correggere i frati umilmente e caritativamente; ai frati - i quali spontaneamente, per seguire Dio, avevano rinunciato alla propria volontà - era chiesto invece di obbedire ai ministri in tutto ciò che avevano promesso di osservare e non era contrario alla Regola e all’anima loro. I ministri dovevano rapportarsi ai frati con sentimenti di accoglienza e benevolenza, fino al punto che a quest’ultimi sarebbe stato facile poter parlare con loro come erano soliti fare i signori con i servi: i ministri, infatti, come indica il titolo che ne specifica la funzione, erano i servi (ministri, in latino) di tutti gli altri frati (cf. X, 1-6: FF 100-102).
La seconda parte del capitolo costituiva invece un’esortazione - «Ammonisco, poi, ed esorto», esordisce Francesco con espressioni incontestabilmente sue - affinché i frati si guardassero «da ogni superbia, vana gloria, invidia, avarizia, cura e preoccupazione di questo mondo, dalla detrazione e dalla mormorazione», sforzandosi di desiderare «sopra ogni cosa» «di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione», «di pregarlo sempre con cuore puro e di avere umiltà, pazienza nella persecuzione e nell’infermità», di amare i propri persecutori e calunniatori (X, 7-10: FF 103-104).
Avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, cioè acquisire le disposizioni necessarie per essere inabitati realmente dalla Trinità; quattro “opere” erano designate a mostrarlo: la preghiera di un cuore puro, cioè non superbo, vanaglorioso o maldicente (atteggiamenti, questi, da cui i frati sono messi in guardia); l’umiltà, intesa come conoscenza di sé, dei propri peccati e delle proprie abiezioni; la pazienza nelle persecuzioni e nelle infermità; l’amore per i nemici, per coloro che ci calunniano, ci riprendono e ci fanno soffrire.
I frati avrebbero dovuto vivere poveri, senza toccar denaro, senza disprezzare o giudicare nessuno, tantomeno gli uomini «vestiti di abiti morbidi e colorati» o quelli che si nutrivano di «cibi e bevande delicate»; piuttosto, diceva Francesco in un passo tutto suo, «ciascuno giudichi e disprezzi se stesso» (II, 17: FF 81).
PIETRO MARANESI-FELICE ACCROCCA (A CURA)
Editrici Francescane, Padova 2012, pp. 687