«E in qualunque casa entreranno dicano prima: Pace a questa casa. E dimorando in quella stessa casa mangino e bevano quello che ci sarà presso di loro», così, secondo Francesco, devono andare per il mondo i suoi frati. Che da tutta Italia si sono mossi per raggiungere, durante la scorsa estate, città e paesi emiliano-romagnoli colpiti dal terremoto. E semplicemente stare lì, da fratelli e amici, a condividere una difficile quotidianità con chi soffre, spera, lavora, impreca, canta, prega. Tra loro anche gli studenti cappuccini dell’Emilia-Romagna.

Lucia Lafratta

La mia casa sta crollando

L’esperienza di giovani cappuccini fra i terremotati

di Luca Sarto e Nicola Bello
studenti cappuccini a Scandiano

 

Image 178Logistica

Difficile pensare che a distanza di tre anni dal terremoto in Abruzzo anche la terra emiliana avrebbe tremato circa con la stessa intensità. Difficile anche descrivere la stretta al cuore e i sentimenti di profondo dolore e commozione davanti alle immagini che i vari tg, quasi ininterrottamente, ci hanno trasmesso sulle varie zone colpite dal sisma. L’iniziativa di andare nelle zone terremotate è partita dal nostro provinciale, fra Matteo Ghisini, che, dopo aver interpellato il vescovo e i parroci della zona, ha chiesto la nostra collaborazione. Il 25 giugno tutti noi dello studentato di Scandiano, insieme al guardiano fra Maurizio, abbiamo raggiunto Cavezzo.

Nel periodo del servizio, abbiamo dormito nel nostro convento di Scandiano, perché tra Cavezzo e Scandiano c’è solo un’ora di distanza, e questo ci ha permesso sia di ritemprare le forze - abbiamo pensato che dormire in tenda forse non era l’idea più saggia, anche se era la più bella -, sia di non creare ulteriori disagi nell’organizzazione dei soccorsi. Alcune famiglie di Cavezzo ci hanno ospitato con grande calore e cortesia.

Ricordiamo le prime immagini di quando siamo entrati in paese: a destra e a sinistra della strada c’erano capannoni danneggiati, con pezzi di mura staccati, cornicioni pericolanti e cancelli chiusi; ci siamo diretti dal parroco don Giancarlo, che ci ha accolto con il suo sorriso e qualche battuta scherzosa. Dopo esserci presentati, il don ci ha portati a vedere la zona di Cavezzo, Disvetro e Ponte Motta, e l’impatto con la realtà è stato ancora più forte delle immagini della tv. Da subito abbiamo cercato di organizzarci per capire quale contributo potevamo dare in base alle esigenze della gente e anche della parrocchia, perché le chiese della zona non c’erano più.

 

Image 183La rete che si allaccia

È iniziata da subito una rete di conoscenze e di amicizie, di disponibilità reciproca e di solidarietà. Poi, dopo aver ascoltato e raccolto le varie esigenze, noi frati abbiamo cercato di fare un programma in appoggio sia alla parrocchia, sia alla Caritas e ad altre realtà. Così a turno per alcuni giorni abbiamo prestato servizio al Palaverde, un palazzetto dello sport adibito a dormitorio e mensa dove le presenze erano soprattutto di stranieri. Qui, oltre a dare una mano alla protezione civile per i pasti, il nostro compito è stato quello di incontrare le persone, parlare con loro e ascoltare le loro storie.

Abbiamo poi cercato di animare anche la vita della parrocchia con la nostra presenza, insieme ai giovani che hanno organizzato il centro estivo per i più piccoli. Forte e intenso è stato il momento dell’adorazione eucaristica che abbiamo preparato e vissuto insieme alla comunità locale, riprendendo le parole del salmo 46 e il discorso che il papa aveva tenuto a Rovereto in visita alle popolazioni colpite dal sisma. Il clima è stato di coinvolgimento e di profonda preghiera. Credo che il servizio che ci ha coinvolto maggiormente sia stato quello in aiuto alla Caritas: ogni pomeriggio dovevamo raggiungere le varie zone di Cavezzo e i luoghi limitrofi per portare generi di prima necessità e questo alla fine si è rivelato il modo migliore per raggiungere tante persone lontane.

Il sole cocente dell’estate, il caldo umido, le zanzare e il saio fradicio sono stati ovviamente componenti che hanno appesantito il nostro servizio, ma il tutto è stato reso meno faticoso dagli incontri che abbiamo fatto. Ricordiamo con commozione la signora Daniela che, incrociandoci con la sua bicicletta nella campagna di Disvetro, ci ha sorriso con gioia e fermandosi ci ha detto: «Ma voi siete i frati! Benvenuti!», poi, alzando il braccio, con la mano ci ha indicato la sua casa, completamente distrutta. Ci ha invitato ad entrare nel suo terreno, abbiamo fatto subito conoscenza e lei, mettendosi a sedere, ci ha detto: «La casa è in rovina, ma, pensate, avevo una statua della Madonna sopra un mobile che con la scossa è caduta e non si è rotta; per me questo è il segno che l’unica cosa che conta non è venuta meno»; poi continuando: «Qui siamo in una delle zone più scristianizzate d’Italia, e la gente ha raggiunto un benessere mai visto prima, ma purtroppo senza Dio la ricchezza non ti rende felice e ce ne siamo dimenticati: che il Signore abbia voluto richiamarci in modo forte?».

 

Forza e fiducia

Ciò che ci colpiva mentre la signora Daniela parlava erano la forza e la fiducia che, nonostante la situazione di difficoltà, trapelavano dal suo volto: abbiamo pregato il Padre che è nei cieli e con il sorriso sulle labbra ci siamo salutati, mentre un’infinità di domande ci passavano per la testa. Ricordiamo con piacere altri incontri, come quello con Stefano che nella vita fa il musicista e convive con gravi problemi fisici; di lui ci ha colpito la ricerca della verità, la profondità con cui parlava della sua vita. Abbiamo parlato un po’ di tutto, di musica, di lavoro, delle persone, del terremoto, di Dio, della nostra scelta di farci frati. Alla domanda su che cosa desiderava di più in quella situazione, ha risposto: «Che dalle macerie possa rinascere la speranza».

Rimane in tutti noi la gioia di aver fatto qualcosa per gente in difficoltà, con lo spirito del buon samaritano e con lo stile di Francesco d’Assisi. Nel nostro piccolo, abbiamo cercato di mostrare che vogliamo continuare la bella tradizione dei frati del popolo. Ci sembrava di riascoltare rivolte anche a noi quelle parole del Crocifisso nella chiesetta di San Damiano: «Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va’ dunque e restaurala per me». (Leggenda dei tre Compagni, 13: FF 1411).

In noi resta pure un grande senso di gratitudine per tutte le persone che abbiamo incontrato, ed è proprio vero che quando doni una cosa te ne tornano indietro due. Auguriamo alla nostra terra emiliana così laboriosa, vivace e passionale di rimettersi in piedi presto, magari facendo un passettino in più verso quel Dio che in ogni occasione si fa presente parlandoci in diversi modi.