In dolce compagnia di frate asino

La preghiera recupera la dimensione corpo, ritrovando l’integrità della persona

di Monica Catani
insegnante di religione cattolica a Monaco di Baviera

Image 090La zavorra da recuperare

“Corpo e preghiera”, che bell’argomento per riflettere e scrivere qualcosa! Questo è il mio primo pensiero alla lettura della richiesta dell’articolo. Così parto piena di entusiasmo pensando che le parole usciranno dalla tastiera del computer veloci e spumeggianti come le bollicine che escono dalla superficie delle bevande gassate appena aperte.

Come spesso accade però, la realtà si dimostra del tutto diversa da ciò che mi ero immaginata. Mi sento un po’ indispettita. Ma come, da anni faccio esperienza quotidiana di come preghiera e corpo procedano indissolubilmente mano nella mano, di come questo regali spessore e pienezza alla mia vita nonostante tutte le turbolenze e quando voglio cercare di raccontarlo ammutolisco? Devo inventarmi una strategia. Proverò a partire dalla mia esperienza personale. Tanto tempo fa…

Da bambina e anche in gioventù il rapporto con il mio corpo non era proprio idilliaco. Tutt’altro. Quello che vedevo quando mi guardavo allo specchio era molto diverso da quello che mi veniva detto e che pensavo avrebbe dovuto essere. Questa era una realtà che pareva dovesse rimanere inconfutabile nel tempo. Di sicuro non ero l’unica ad avere questo problema, ma anche l’essere in compagnia molto numerosa non rendeva diversa la questione. Purtroppo in quel periodo non ho neanche avuto modo di prendere coscienza del mio essere corpo attraverso lo sport o il movimento in generale, dunque la coscienza attiva e positiva del mio essere carne e ossa era ridotta al minimo. Per compensare, ho iniziato a cercare di usare il cervello, cosa che in effetti, soprattutto a scuola, si rivelava utile. Su questo terreno si inseriscono i miei primi passi sulla strada della spiritualità in parrocchia. Attraverso di essi mi sembra che mi si aprano barlumi su un mondo che mi affascina. Scopro una relazione personale viva con Colui che è all’origine della mia vita e di ogni realtà circostante. E già che ci sono mi rallegro pensando di aver finalmente trovato il luogo per eccellenza che mi consente di mettere da parte tutto quello che ha a che fare con la corporeità, visto che già da tempo la considero una zavorra abbastanza inutile.

Ripensandoci oggi sorrido davanti a questo tentativo un po’ goffo di fuga da me stessa. In effetti avrebbero già dovuto essere lontani per fortuna i tempi in cui alcune tendenze della spiritualità vedevano nel corpo un impedimento alla preghiera, al raggiungimento delle vette spirituali. Un corpo da tenere buono, eventualmente da punire se faceva le bizze, che non si esitava a fare soffrire, o magari si cercava di ignorare. Ma pare che questi pensieri siano davvero duri a scomparire, c’è sempre qualcuno a cui in fondo piacciono e che si prende la briga di ravvivarli e diffonderli.

Certo, di tanto in tanto echeggiava san Paolo (1Cor 6,19) con il corpo che è tempio dello Spirito Santo, ma allora non avevo ancora ben capito che l’incarnazione ha proprio a che fare con la carne, quella del corpo umano.

Image 097Per arrivare a “Leib”

Da quando vivo in Germania ho scoperto che la lingua tedesca offre due varianti per la parola corpo: Körper e Leib. Il Körper è quello fatto di carne e ossa, mentre il Leib è l’indissolubile unione di ciò di cui è fatta la persona, carne e spirito, ossa e desideri, respiro e spirito. Il pane eucaristico è ovviamente Leib di Cristo, come anche Leib è il Corpo Mistico di cui parla Paolo. Sulle tracce di questa sottile, precisa e illuminante distinzione e dopo un po’ di lavoro su me stessa, mirato a riconciliarmi con il mio personale frate asino, ho preso coscienza di un’attrazione irresistibile per tutte le forme di preghiera che partivano dal Körper come punto di partenza per prendere coscienza di essere Leib. “Sono (anche) un corpo” e non semplicemente “ho un corpo”.

La danza sacra, il canto, la meditazione zen, l’approfondimento contemplativo dei testi della Bibbia, il percorso sulla strada del respiro, il silenzio, tutto ciò che mi conduce in profondità, verso me stessa e verso l’Altro, passa attraverso tutta la mia persona, che è unità di corpo, anima e spirito. Lo stesso si può dire anche della “preghiera quotidiana incarnata”, cioè l’incontro con i fratelli, quelli piccoli, i miei scolari (i bambini vivono spontaneamente l’unità di corpo e anima, nel gioco come nella preghiera) ma anche coloro che mi accompagnano da anni nel mio cammino o che incontro casualmente e per poco tempo. Ogni relazione vive anche di carne e ossa, di odori e di sapori, di sguardi e di parole oltre che di emozioni, di pensieri e di sentimenti e di silenzio. In questo senso fare distinzione oggi fra le cose della carne e quelle dello spirito sembra superfluo.

La conformità della carne

Il mondo occidentale, influenzato dalla filosofia greca, ha sempre molto accentuato la distinzione fra anima e corpo. Ovviamente il corpo, con i suoi limiti e le sue debolezze e col grosso problema di usurarsi nel tempo, non poteva reggere il confronto con l’anima, ritenuta ineluttabilmente e svantaggiosamente invischiata con la corporalità. Il mondo orientale invece sembra avere sofferto meno di questa dicotomia. È forse per questo motivo che al momento assistiamo qui ad una vera e propria fioritura di diverse forme di yoga, tecniche, forme di sport o arti marziali che hanno come obiettivo finale la meditazione e che tendono a diffondersi velocemente.

Anche la nostra preghiera liturgica cerca attivamente di coinvolgere il corpo, ma nel concreto molte celebrazioni sembrano soffrire di una certa rigidità. Sicuramente possiamo fare ancora molto per invitare il corpo a prendere parte in maniera ancora più attiva alla liturgia.

Cosa possiamo dire infine di Francesco a proposito di preghiera e corpo? Anche lui, figlio del suo tempo, fa uso del cilicio e chiama il suo corpo con l’appellativo poco nobile di frate asino. Però descrive il momento fondamentale della sua conversione nell’abbraccio al lebbroso come «dolcezza di animo e di corpo». Inoltre le sue biografie sottolineano sempre come sia visibilmente partecipe nel corpo della sua esperienza interiore. Quando parla dell’Amato sembra sentire sulle labbra la dolcezza di tali parole. Le stesse stigmate mostrano come egli diventi conforme anche nella carne alla sua vita interiore. E in punto di morte chiede perdono a frate asino per averlo tanto bistrattato. Un ottimo esempio da imitare al bisogno, magari anche anticipando un po’ i tempi rispetto a Francesco.