Image 008Il “come” risveglia lo Spirito

di Dino Dozzi
Direttore di MC

Il bene sia con voi. Sembra la versione russa del saluto francescano “pace e bene”. È il titolo di un libro di Vasilij Grossman (Adelphi, Milano 2011). L’autore di quella straordinaria e drammatica epopea che è Vita e destino va a cercare nella sua memoria e presenta ai lettori le scintille di bene che ancora esistono nell’umanità: “la bontà spicciola, granello radioattivo sbriciolato nella vita, non è scomparso”. È libro da leggere per non perdere la speranza, anche in tempi cattivi o impazziti come a volte sembrano i nostri. Per conservare un occhio capace di vedere anche il bene fra noi.

Racconta Vasilij di una visita al metropolita: persona molto intelligente e raffinata, dalla conversazione brillante. Ne ricava l’impressione di non trovarsi di fronte ad un credente. Poi racconta di un viaggio nelle montagne dell’Armenia. In una povera casa incontra due vecchi di campagna. Lui si chiama Aleksej Michajlovic: «Guardando il suo viso e i suoi occhi, ascoltando le sue frasi stentate, sgrammaticate, goffe, sento quanto non ho sentito negli appartamenti del katholikòs: riconosco in lui un credente, e non grazie alle sue parole, ma grazie a un sentimento che non può ingannare. Egli non parla per convincermi; è amareggiato perché la gente non vuole seguire la legge più importante di questa terra: augura al prossimo tuo ciò che augureresti a te stesso, senza eccezione, senza distinzione fra ricchi e poveri, senza discriminazioni di nazionalità, di fede o non-fede, di partito o non-partito».

Nota Vasilij che hanno una forza particolare quelle parole, e a pronunciarle non è un prete sull’altare, ma un vecchio contadino con una giacca lisa e un carico di duro lavoro sulle spalle, un contadino che vive in una piccola izba in una terra da secoli perseguitata. Ma né la durezza della vita, né quella del lavoro hanno potuto nulla contro la forza del suo spirito. Anche parlando di gente cattiva Aleksej non esprime giudizi e si limita a dire ogni volta, triste: «Non serve a niente, non è necessario». Quella fede che Vasilij non aveva trovato nei palazzi e nelle persone in cui pensava essa abitasse, l’aveva trovata in un vecchio illetterato, una fede semplice come la sua vita e come il suo pane, senza una parola di troppo, senza sermoni ispirati. «I miei occhi si riempirono di lacrime perché l’avevo toccata quella fede, perché ne avevo capito la forza… C’è un dono superiore rispetto a quello dei geni della scienza e della letteratura, dei poeti e degli scienziati. Il dono supremo dell’umanità è il dono della bellezza spirituale, della nobiltà d’animo, della magnanimità e del coraggio del singolo in nome del bene. È il dono dei cavalieri e fanti timidi e senza nome che con le loro imprese fanno sì che l’uomo non si trasformi in una bestia».

A me è venuto da pensare alla nostra fede e alla nostra evangelizzazione e a quanto Lucia abbiamo pubblicato in MC 02, nella rubrica Via Emilia & Vangelo, in quella specie di lettera aperta ai membri della commissione per l’evangelizzazione. Non è che là si proponga di far uscire i frati dai conventi e dalle chiese, ma non dispiacerebbe vederli anche nelle stazioni ferroviarie e nei supermercati.

La lettura di Grossman mi ha fatto pensare che, certo, è importante il “dove” si trovano i frati a vivere e ad evangelizzare, ma forse è ancor più importante il “come” essi vivono ed evangelizzano. Se in ognuno di loro, istruito o no, ci fosse quella fede semplice e forte che Grossman ha trovato in quel contadino armeno, l’evangelizzazione sarebbe garantita, in qualsiasi contesto. Anche perché non sarebbe direttamente cercata.

Ci sono stati grandi evangelizzatori che hanno girato il mondo - per restare in ambito cappuccino si pensi a san Lorenzo da Brindisi o al cardinal Massaia - e ce ne sono stati di altrettanto grandi che non si sono mai spostati dal loro convento, come san Leopoldo Mandic o san Pio da Pietrelcina. Importante è il “dove”, ma ancor più importante è il “come” sono questi evangelizzatori. Perché, se sono di razza buona, la gente li scova e li va a trovare ovunque siano. Lo slogan dei nostri Festival Francescani è che, se la gente non viene più in chiesa, noi frati andiamo nelle piazze, e va bene. Ma segretamente ci domandiamo anche perché la gente non viene più in chiesa e sommessamente ci diamo anche una risposta che ci fa arrossire.

E inoltre: per evangelizzare in modo efficace non è detto che si debba parlare sempre e solo di Dio. Si può parlare anche dell’uomo - converrebbe imparare dalla Bibbia a farlo un po’ di più -, ma facendolo in un certo modo, con un certo stile, augurando sinceramente a tutti quello che desidereremmo per noi, cioè il bene. Appunto come faceva quel vecchio incontrato da Grossman in Armenia. Il bene sia con voi.