Il tempo è una delle variabili della vita, indispensabile per indicare un prima e un dopo con possibili sviluppi ed evoluzioni. Si discuterà sempre, a livello filosofico e scientifico, sulla sua oggettività e/o relatività. Noi abbiamo scelto due film che, modulandolo secondo una propria visione e un proprio arbitrio, ne evidenziano singolari opzioni narrative. Si tratta di “Pulp fiction” di Quentin Tarantino e di “Another year” di Mike Leigh, per molti aspetti pietre angolari della sintassi filmica.

Alessandro Casadio

Image 251Pulp fiction

un film di Quentin Tarantino (1994)

distribuito da Eagle Pictures

Due killer, un nero e un bianco, appena tornato dall’Olanda. Sono professionisti seri, che parlano da bravi colleghi delle cose di sempre: hamburger, donne; poi regolano i conti con una banda di pivelli, come da mandato ricevuto, ma una reazione inaspettata di questi li sorprende e un fatto razionalmente inspiegabile, che salva loro la vita, è la molla del ripensamento di uno dei due. Su questo episodio s’intrecciano le altre storie grottesche di un’umanità alla deriva. Storie pulp, il genere hard sviluppato dal vecchio melò, termine che in America designa la letteratura gialla un po’ sensazionalistica, che negli anni Quaranta e Cinquanta si stampava sulla carta più scadente, storie di overdose con siringhe piantate nel cuore, di incontri di boxe truccati e del gusto di sangue che essi solleticano, di omosessuali sado-maso, di cadaveri senza testa trasportati per la città e di professionisti della mala che risolvono a modo loro ogni problema, di feticismo patetico. Il tutto rivestito da una vena ironica che mescola le carte del bene e del male, mostrando un’umanità ammalata di vizio, ma estremamente viva e palpitante, fino a scompigliare l’unità di tempo della storia, introducendo il vero colpo di genio del film: il tempo circolare, che ruota su se stesso. Gli episodi non sono in successione cronologica e, talvolta, si incontrano i personaggi che abbiamo visto morire nell’episodio precedente: il film termina proprio là dov’era cominciato alla rapina di una tavola calda. Le situazioni paradossali si avvicendano, senza creare giudizio nello spettatore, solo invischiandolo in una complicità adrenalinica nella stessa lotta, senza esclusione di colpi, che i protagonisti stanno conducendo: sopravvivere a un mondo in decomposizione. Per quanto si cerchi e si analizzi, non si troveranno errori di costruzione e consequenzialità. Tutto fila alla perfezione e la costruzione narrativa si avviluppa su di sé quasi strangolandosi. La chicca di un twist da antologia del cinema e personaggi scolpiti, destinati a rimanere nella memoria, rendono questo film un cult irresistibile, un trancio di vita che si ricorda per sempre: sanguinante naturalmente. (AC)