Quando il lievito si sfarina

Rinunciare a bandiere e crociate per sciogliersi in mezzo alla gente

di Alessandro Casadio
della Redazione di MC

Image 098L’ombra corporativista

Uno dei sentimenti che caratterizzano il nostro attuale sentire cristiano è la paura. Al tanto ossessivo allarme per il calo delle vocazioni si aggiunge la scarsa affluenza alla liturgia domenicale, tutto riassumibile in una evidente disaffezione nei confronti della Chiesa, cosa resa spesso reciproca dalle difficoltà di quest’ultima di parlare alla donna e all’uomo di oggi. La reazione paura è comprensibile, ma non giustificabile: le continue lamentele dai pulpiti nelle omelie a riguardo del mondo malvagio che, perseguitando noi buoni e bravi cristiani, impone la sua iniqua morale ricordano solo quella vecchia storia dei leviti che, sentendosi impotenti di fronte al deflagrare del vizio, si isolarono per non esserne incolpati. Comodo ed inefficace. Stiamo, forse, scordando che se realmente il mondo ha preso una brutta piega - e per alcuni aspetti ragioni per affermarlo ci sono - è anche perché chi aveva un ruolo di lievito all’interno del tessuto sociale si è indurito senza sfarinarsi nella pasta comune e senza apportare quel naturale principio attivo che fa crescere la realtà in cui vive. Abbiamo anteposto valori secondari a quelli primari, bollando con un generico e ipocrita “a fin di bene” ogni nostro compromesso poco ortodosso, abbiamo strumentalizzato la Provvidenza, imputandole responsabilità e scelte a nostro vantaggio, abbiamo trasformato la nostra cattolica capacità di accoglienza in una religione corporativistica.

Image 102Brandendo verità

Abbiamo sempre troppe cose da difendere e troppi tabù da salvaguardare, troppi temi e comportamenti non negoziabili. Per di più, partiamo sempre dal presupposto che la poca fede, di cui spropositatamente ci vantiamo, ci garantisca un viatico di perenne verità assoluta, da poter usare e di cui poter abusare in ogni istante. Il nostro metro severo, adottato con le persone non cristiane, palesato in tronfi “non possumus”, diventa melliflua gelatina e, talvolta, appiccicosa ipocrisia nel dirimere questioni nelle relazioni con altri cristiani, laddove il nostro parlare si ammanta di presunta pietas e il nostro agire è sempre un arrampicarsi sugli specchi per non urtare la sensibilità di quel prelato o non far capire che non sei d’accordo con quel movimento o non alludere alla venalità di quell’opera pia. Anche tra noi cristiani, quello che diciamo è sempre il frutto di un’alchimia diplomatica, che somatizza ed esplicita la concezione di struttura corporativistica da salvaguardare, nonostante tutto, procrastinando le beghe intestine.

Questo atteggiamento e questa chiusura, anche se non dichiarata, inevitabilmente, trasformano il dialogo tra persone in conflitto, più o meno armato. Laddove non ci sarà più spazio per i distinguo, le eccezioni e le sfumature che diversifichino i concetti, tutto si trasformerà in rozze crociate massimaliste che, semplificando realtà alquanto complesse, ne brutalizzano le possibili soluzioni. Ciò ci appare sconcertantemente chiaro nei dibattiti riguardanti la bioetica, che hanno ormai aperto numerosi focolai di battaglia tra persone di fede e non, in cui l’appartenenza ad uno dei due schieramenti ti omologa integralmente a tutte le sue prese di posizione, senza possibilità di scostarsene, anche minimamente. Una massificazione che rischia di trasformare ciò che è opinabile in dottrina integralista. Nell’irrigidimento reciproco delle parti, dove il ricorso all’attenzione e alla ricerca scientifica è condizionato dall’utilitaristico apporto di acqua al proprio mulino, si perde una grande ricchezza, quale un approccio senza pregiudizi potrebbe rappresentare. Del resto, abbiamo vissuto negli ultimi decenni una contrapposizione con una realtà, chiamata in modo dispregiativo “laica”, senza alcuno sviluppo del patrimonio della coscienza, tacitata anche nel solo interrogarsi con le frettolose formule di cui sopra. Patrimonio che, di fronte alle nuove sfide, rimpiangiamo perché il dibattito annichilito non ha generato pensiero e, in esso, ricerca dell’attualizzazione dei valori cristiani. Di esso ci rimane solo il vacuo ricordo di chi ha vinto o perso quella battaglia, come si faceva con le guerre d’indipendenza, e il malcelato recriminare degli sconfitti di turno.

Image 108Postfazione cristiana

Io credo che il nostro impegno e il nostro agire, come comunità e come singoli, prima di agghindarsi dell’etichetta cristiana da sbandierare come alternativa al mondo, debbano compiere un atto di estrema umiltà, riconoscendo che quello sforzo è solo un tentativo di adesione a quel percorso che ci prefiggiamo coerentemente di seguire, aiutati in questo dall’esempio di Gesù, che non si è mai vergognato delle sue frequentazioni, e dalla grazia dello Spirito Santo che vive in noi e che la nostra coscienza dovrebbe cercare senza intermittenza di capire. È un cammino che implica mille incertezze e gravi cadute e non è certo l’unico percorribile. Inoltre, dobbiamo imparare a confidare nella Provvidenza, la quale ci aiuta mettendoci accanto persone, diverse da noi e con sensibilità differenti, in grado di rappresentare per noi un confronto e un aiuto, se sappiamo leggere la realtà senza pregiudizi. Il riconoscimento del nostro agire cristiano verrà, semmai, dalla possibilità che le nostre scelte germogliate possano offrire buoni frutti, come ricorda anche Gesù nel vangelo: dalle nostre opere ci riconosceranno. Un riconoscimento postfazione del libro della vita di chiunque, anche se non battezzato o praticante, che abbia fatto del dono di sé un principio di vita.

Allora mentre proclamo il diritto alla vita di un nascituro non lo faccio per assolutizzare un’astrazione o per demonizzare coloro che non riconoscono lo stesso valore e mi adopero perché il medesimo principio trovi sostenitori nei casi di conflitti, di pena di morte, di sicurezza del lavoro, di malattie per l’inquinamento. Se mi professo contro l’eutanasia, devo impegnarmi affinché la dignità di quella vita sia riconosciuta da tutti, tutelando e supportando malati mentali o di Alzheimer, disabili e anziani non autosufficienti, senza liquidarne il problema con soluzioni di comodo. Più si entra nel dettaglio della nostra vita, più la si sfarina, più si individuano possibilità di espletare quell’unico modo di vivere in antitesi con qualunque tipo di egemonia o di senso di superiorità sugli altri, quello che individua il genoma della donazione di sé: esso veramente cristiano.