L’ora delle religioni

La conoscenza reciproca aprirebbe ad un apprezzamento interreligioso

di Brunetto Salvarani
teologo e scrittore

Image 073Effetto G2

Non si può che gioire per la scelta della chiesa cattolica italiana, che per il decennio 2010-2020 ha deciso di investire strategicamente sulla sfida educativa, parlando apertamente, sulla scorta di un’intuizione di Benedetto XVI, di emergenza educativa.

Se decliniamo una simile istanza in ambito scolastico, da parte mia (sono per formazione docente di lettere nei licei), ritengo che solo una scuola che favorisca e promuova il dialogo interreligioso/interculturale può contribuire a rafforzare il fondamento della civiltà e della convivenza sociale. Con ragione Amos Luzzatto, leader storico della comunità ebraica italiana, ha affermato che ogni bambino ha il diritto di leggere il Libro sacro degli altri bambini, «poiché fino a quando i cattolici leggeranno solo il Vangelo, gli ebrei solo la Torah e i musulmani solo il Corano sarà impossibile realizzare una vera integrazione a scuola e nella società».

La presenza crescente delle seconde generazioni (i G2) nelle nostre aule mostra chiaramente, con l’evidenza dei numeri in progress, che il cosiddetto “mosaico delle fedi” richiede un’analisi della situazione dell’insegnamento religioso a scuola a più alto livello di una semplice contrapposizione ideologica. Chiediamoci, allora: perché le religioni a scuola? La domanda, a dispetto delle apparenze, è tutt’altro che scontata, in uno scenario, come si sente ripetere spesso e con ottime ragioni, multireligioso e multiculturale, e in quella che Edgar Morin designa come la quarta era dell’umanità (la sua età planetaria). Perché, a sorpresa, le religioni hanno saputo uscire indenni dalla sfida sferrata loro dai processi di secolarizzazione e di modernizzazione. Materia sempre più incandescente, ovvio, soprattutto in tempi liquidi (Zygmunt Bauman), quali i nostri, contrassegnati dalla crisi dei legami comunitari e della politica, da identitarismi costruiti ad arte, fondamentalismi (religiosi e non) e chiusure reciproche, molto più che da dialoghi e accoglienza.

Il pericolo dell’ignoranza

Le religioni, nelle scuole italiane, ci sono perché tanti studenti fanno riferimento a diversi mondi religiosi; ci sono perché da tempo si discute più o meno strumentalmente del senso della presenza del crocifisso nelle aule scolastiche, dei presepi e dei canti sacri da insegnare o meno agli alunni. Ma non ci sono, se non in maniera del tutto periferica, come materia di studio e connotato essenziale per una cultura che si pretenda completa e al passo coi tempi.

Com’è noto, esiste però una disciplina, l’Insegnamento della religione (sic!) cattolica (IRC), peraltro facoltativa e di marca confessionale. Come uscire da questa situazione ingessata e, apparentemente, priva di sbocchi? Tanto più che, negli ultimi anni, il panorama religioso dell’Europa è mutato clamorosamente, virando su rotte che un tempo sarebbero apparse agli osservatori del tutto inconcepibili: tanto che è possibile scegliere di essere atei, seguire un’ortodossia religiosa, cambiare confessione, ritagliarsi un proprio percorso all’interno delle religioni, in ossequio a un processo di soggettivizzazione delle credenze sempre più verificato dagli studi specializzati.

Non ho risposte certe da dare, ovviamente. Quel che è sicuro è che l’inatteso pluralismo che ci sta attraversando è destinato a porre a dura prova la tradizionale ignoranza nostrana in campo religioso, invitando il microcosmo scolastico a un impegno più serio e approfondito. Sarà impossibile continuare a considerare il fatto religioso come elemento puramente individualistico o folkloristico, privo d’influssi culturali, economici e sociali.

È possibile assumere, al riguardo, quanto sostiene l’Osservatorio nazionale per l’integrazione degli alunni stranieri e l’educazione interculturale del Ministero della Pubblica Istruzione. Che, ormai un lustro fa (ottobre 2007), produsse un documento dal titolo La via italiana alla scuola interculturale, teso a mostrare come l’adottare una prospettiva interculturale e di promozione del dialogo nella scuola significa non limitarsi solo a organizzare strategie di integrazione degli alunni immigrati o misure compensatorie di carattere speciale, bensì assumere la diversità come paradigma dell’identità stessa della scuola, occasione privilegiata di apertura a tutte le differenze.

Image 084Discutiamone a mente serena

Esso segnalava «l’opportunità di allargare lo sguardo degli alunni in chiave multireligiosa, consapevoli del pluralismo religioso che caratterizza le nostre società e le nostre istituzioni educative e della rilevanza della dimensione religiosa in ambito interculturale». Si tratta, direi, di un buon punto di partenza… che convocherebbe, da una parte, l’attuale IRC a fare un ulteriore salto di qualità in questa direzione (so bene, incontrando di frequente docenti di IRC, come siano diffusi fra loro buona volontà e professionalità, ma anche un certo disagio, soprattutto alla luce del carattere facoltativo di tale insegnamento, che lo rende in qualche modo dimezzato); e dall’altra, i diversi attori che hanno a cuore la conoscenza delle religioni come valore ineludibile in una società in cui, piaccia o no, le religioni sono tornate al cuore del dibattito pubblico (si veda il libro di un laico doc come Giancarlo Bosetti Fallimento dei laici furiosi, Rizzoli, Milano 2009, pp. 197, che auspica apertamente la nascita di «un’ora delle religioni»), a impegnarsi in sperimentazioni che coinvolgano l’intero corpus degli alunni di ogni ordine e grado a studiare il fenomeno religioso e i suoi riflessi sulle nostre vite e società.

Si potrà discuterne, a mente serena, fra cattolici e non solo, a oltre un quarto di secolo dalla revisione del Concordato, in un contesto storico, sociale e culturale del tutto mutato? E farlo senza chiusure preconcette, ma prendendo le mosse (anche) dal dato oggettivo di un’ignoranza crescente sia della Bibbia sia delle religioni, nel nostro paese, come dimostrano numerose inchieste al riguardo? A titolo di esempio, sono convinto da molti anni della necessità di prevedere, per il curriculum scolastico e l’aggiornamento formativo dei docenti (tutti!), lo studio della Bibbia come grande codice della cultura occidentale; e punto di riferimento essenziale, nelle sue diverse interpretazioni, per cogliere le vicende della letteratura, dell’arte, della musica, delle scienze, e così via. Come si può immaginare che i cittadini di domani possano vivere assieme gestendo nonviolentemente i conflitti se, in pratica, si fa di tutto perché rimangano analfabeti dal punto di vista religioso?