Politicamente corretti

Dal partito dei cattolici all’impegno dei cattolici in politica

di Giorgio Campanini
sociologo

Image 062Un’occhiata all’indietro

L’esperienza dei cattolici italiani in politica si può datare ormai da circa un secolo. Era infatti il 1900 l’anno in cui Giuseppe Toniolo - il grande economista ed organizzatore sociale cattolico recentemente beatificato - pubblicava il suo classico saggio Democrazia cristiana. Concetti e indirizzi, volume nel quale, pur rifiutando una concezione partitica di “democrazia cristiana”, la proponeva, tuttavia, come strumento in vista della soluzione della questione sociale. E di lì a poco Romolo Murri, fondando la prima Democrazia Cristiana - questa volta come partito - operava quel “salto di qualità” che Toniolo non aveva ritenuto di poter compiere, permanendo il non expedit, e cioè il divieto posto ai cattolici dal magistero della Chiesa di partecipare alla vita pubblica all’interno di uno Stato, quello unitario italiano post 1870, che aveva “usurpato” il venerando Stato della Chiesa.

Nel secolo successivo si è avuta un’alternanza, quanto ad impegno politico dei cattolici, fra due “modelli”: quello in senso lato “laico”, seppure di ispirazione cristiana, e cioè il Partito Popolare Italiano di Luigi Sturzo (1919-1926); quello, di esplicita denominazione cristiana (Democrazia Cristiana, appunto) di Alcide De Gasperi e dei suoi successori (1943-1992); e quello, avviatosi dopo la fine del partito della DC, di una formazione politica che, attraverso vari passaggi, assume oggi la denominazione di “Unione democratico-cristiana”.

Permane tuttavia una profonda differenza tra le due prime forme di esperienza partitica dei cattolici - il PPI e la DC - e la forma attuale, perché nel primo caso la grande maggioranza (pur se mai la totalità) dei cattolici si riconobbe in quelle due formazioni, mentre oggi, obiettivamente - e al di là dell’intenzione di rappresentare i cattolici impegnati in politica - l’UDC riesce ad aggregare una parte nettamente minoritaria dell’elettorato cattolico e, in generale, dei cattolici operanti in politica.

Condizionati dal contesto storico

Questa varietà di modelli è strettamente legata al contesto storico. Negli anni del PPI occorreva far fronte dapprima alla cultura liberale e poi all’ideologia fascista (entrambe essenzialmente estranee, per non dire radicatamente avversarie, al cattolicesimo e alla sua visione della società), mentre dopo il 1945, grazie all’elaborazione della nuova Costituzione (1947-48) cui proprio i cattolici avevano dato un determinante contributo, il confronto avveniva con uno Stato democratico non prigioniero di pregiudiziali laiciste e nemmeno dominato da un’ideologia totalitaria, ma aperto al libero confronto fra le diverse visioni della vita e della politica e all’interno del quale anche i cattolici avevano assicurato un ampio spazio di libertà.

Proprio questo radicale mutamento di situazione storica ha fortemente condizionato, se non determinato, il pluralismo delle opposizioni politiche: di fronte al laicismo prima e al fascismo poi, occorreva fare “fronte comune”, così come, in presenza dell’oggettivo rischio di un’incorporazione dell’Italia nel totalitario “blocco sovietico” era necessaria la coesione di tutti i credenti, del resto fortemente sostenuta, ed in alcuni momenti imposta anche come preciso “dovere di coscienza” dalle gerarchie ecclesiastiche. A partire dagli anni ‘90 del Novecento il contesto storico, culturale e sociale è profondamente mutato e l’“unità” che in altri tempi era stata affermata come imperioso dovere resta soltanto come auspicio. È ben vero che esistono ancora rischi per la tenuta della democrazia - per sua natura un regime che accetta di sottoporsi ricorrentemente al giudizio dei cittadini - ma appare legittimo sostenere che la causa del sistema democratico possa essere difesa anche ponendosi in diversi schieramenti politici. Cosicché oggi vi sono cattolici collocati - se si vuole ricorrere ad una schematizzazione un poco riduttiva - e legittimamente collocati tanto al centro quanto a sinistra ed a destra.
Image 066Ciò che unisce al di là delle divisioni

Quel pluralismo di opzioni che in altre epoche era segreto e per così dire “strisciante” (anche perché esplicitamente avversato dalle gerarchie ecclesiastiche) ora si è fatto manifesto e a volte duramente conflittuale: fra cattolici politicamente impegnati ci si divide oggi come mai era avvenuto, almeno a livello pubblico, in epoche passate.

Quello del pluralismo delle scelte politiche, e più propriamente partitiche, dei cattolici italiani deve essere considerato un fatto definitivo o è il frutto di una situazione contingente? Anche sulla risposta a questo interrogativo le posizioni si differenziano, perché accanto ai teorici della necessaria unità stanno gli assertori dell’inevitabile, ed opportuna, pluralità delle scelte. Del resto ciascuna delle due soluzioni presenta vantaggi ma anche inconvenienti: l’unità, soprattutto se fortemente sollecitata o addirittura imposta dall’alto, da una parte comprometterebbe le gerarchie ecclesiastiche e dall’altra potrebbe rinfocolare mai sopiti anticlericalismi; il pluralismo consente di evitare ogni compromissione della Chiesa ma nello stesso tempo, frammentando e talora quasi polverizzando la presenza cattolica, la rende meno visibile e meno incisiva.

Permanendo una ragionevole tenuta della democrazia, ed in assenza di circostanze eccezionali, il pluralismo delle opzioni appare a molti la strada preferibile, anche sulla base di autorevoli documenti del magistero della Chiesa che legittimano tale pluralismo (presente, del resto, in quasi tutti i Paesi democratici) sulla base del principio - autorevolmente avallato nel 1971 dalla Octogesima adveniens di Paolo VI - secondo il quale «una medesima fede cristiana può condurre a impegni diversi» e vi è dunque «una legittima varietà di opzioni possibili». Libertà del credente che è contemperata - come subito dopo sottolinea lo stesso documento - da un sincero «sforzo di reciproca comprensione per le posizioni e le motivazioni dell’altro», muovendo dal criterio - solennemente richiamato dal concilio Vaticano II - che «ciò che unisce i fedeli è in effetti più forte di ciò che li separa».

Sulla base di queste preziose indicazioni - e restando ferma la libertà dei credenti che sono in Italia di optare per l’unità oppure per il pluralismo - appare doveroso rispettare le scelte che quanti, da cristiani, intendono operare in politica responsabilmente faranno: sempre, tuttavia, con la preoccupazione di non trasferire mai nell’ambito della comunità cristiana le divisioni e le contrapposizioni che inevitabilmente caratterizzano la dialettica politica. In questo ambito le singole comunità cristiane hanno davanti a sé, in questa epoca di accentuato pluralismo, la grande responsabilità storica di formare le coscienze ad un serio e convinto impegno per il bene comune (e dunque legittimando appieno e valorizzando l’impegno in politica) e nello stesso tempo di offrire ai credenti pur variamente impegnati un terreno di confronto e di dialogo, a partire appunto dal già ricordato aureo principio, che - anche se politicamente si è schierati in diversi campi - alla fine vi è un terreno comune, quello della fede e dell’amore per il prossimo, sul quale tutti i credenti sono chiamati ad incontrarsi.

Dell’Autore segnaliamo:

Democrazia e valori. Per un’etica della politica

AVE, Roma 2007, pp. 128