La forza mite e umile della pace

La riscoperta della peculiarità cristiana nella lettera a Diogneto

di Giuseppe Scimè
docente di patrologia alla Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna

Image 050Ispiratrice dei testi conciliari

Si avvicina l’inizio delle celebrazioni del cinquantesimo anniversario del Concilio, che ha segnato indelebilmente la storia della Chiesa indicandole un nuovo rapporto col mondo e con la storia. Per individuare tale novità, i testi più importanti del Vaticano II utilizzano anche un antico scritto cristiano, l’A Diogneto (d’ora in poi AD), un’opera rimasta nascosta per secoli e scoperta casualmente in una pescheria di Costantinopoli nel XV secolo. Troviamo infatti nei documenti conciliari tre citazioni dell’AD: Dei Verbum, per presentare la specificità della rivelazione di Dio mediante l’incarnazione del Verbo, sottolinea che Cristo «fu mandato “agli uomini come uomo”» (DV 4); l’Ad Gentes afferma che «i fedeli, riuniti nella Chiesa da tutti i popoli, “non sono separati dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per istituzioni politiche”; perciò … devono promuovere l’amore universale per gli uomini» (AG 15); ed infine Lumen Gentium riassume il senso essenziale della presenza dei laici nel mondo con l’espressione più famosa del nostro antico scritto: «In una parola, “ciò che l’anima è nel corpo, questo siano i cristiani nel mondo”» (LG 38). Come si vede, la novità scoperta e ripresentata al Concilio sta nella Tradizione attestata dai Padri della Chiesa: con loro, scoprendo la meraviglia dell’Incarnazione del Verbo, i cristiani riscoprono la propria specifica identità di lievito nascosto nella massa del mondo per la salvezza di tutti gli uomini.

A Diogneto, un illustre sconosciuto, scrive probabilmente in Oriente un cristiano anonimo di raffinata cultura ellenistica tra il II e il III secolo. Gli studiosi hanno invano cercato di precisare ulteriormente i connotati del destinatario, dell’autore, del luogo e della data di composizione di un’opera che per qualche tempo è stata denominata «lettera» ma che è più verosimilmente un «discorso» di risposta ad un pagano interessato a conoscere il cristianesimo. Oggi si ritiene che il discorso AD abbia soprattutto i caratteri della letteratura apologetica, con tanto di confutazione delle dottrine giudaiche e pagane e di difesa di quelle cristiane. Le citazioni conciliari sopra riportate, mentre da un lato sono facilmente assimilabili allo spirito del Vaticano II, non possono dall’altro esaurire la bellezza e la ricchezza di un libretto che in poche pagine riassume magistralmente, con un greco brillante e raffinato, il messaggio cristiano. Esso cerca un varco tra le proposte dell’antico mercato religioso, dall’idolatria politeistica pagana alle superstiziose pratiche giudaiche, senza aggredire le persone ma prendendo una posizione chiara sulle dottrine e sulle loro conseguenze sul piano culturale e sociale.

Image 055Non per giudicarci, ma per amarci

Il punto di vista dell’AD è soprattutto descrittivo o, diremmo oggi, narrativo: un grande racconto che verte sul protagonismo del Logos e sulla vita dei cristiani. «Lo stesso Dio – leggiamo infatti – veramente onnipotente, creatore di tutte le cose e invisibile, inviandola dai cieli, ha collocato tra gli uomini la verità, e cioè il Verbo santo e incomprensibile, e l’ha riposto nei loro cuori; (…) lo inviò nella mitezza e nella bontà come un re ha inviato il suo figlio, lo ha inviato come dio, come si conviene agli uomini per salvarli, per persuaderli, non per fare violenza. Infatti la violenza non si addice a Dio. Lo ha inviato per chiamarci, non per perseguitarci; per amarci, non per giudicarci. (…) Non vedi che i cristiani, gettati in pasto alle belve perché rinneghino il Signore, non si lasciano sopraffare? Non vedi che quanto più sono puniti, tanto più aumentano? Questa non sembra l’opera di un uomo, ma è la potenza di Dio; questi sono i segni del suo avvento» (AD 7). L’interesse dell’AD è dunque Dio e l’uomo, Cristo e la Chiesa. E tuttavia l’annuncio cristiano al destinatario pagano utilizza un linguaggio comprensibile per il suo interlocutore, tralasciando termini e concetti troppo tecnici e prediligendo categorie filosofiche, evidentemente familiari all’interlocutore, reale o fittizio che fosse. L’Autore non parla mai espressamente di Cristo crocifisso, di risurrezione di Cristo e dei morti, di Spirito Santo, Chiesa, vescovi, presbiteri, diaconi, Scrittura. Parlando di Dio lo chiama preferibilmente Padre e riferendosi a Gesù Cristo lo denomina quasi esclusivamente il Logos, cioè il Verbo.

Ai periti e teologi dei padri conciliari del Vaticano II doveva piacere soprattutto la parte centrale dell’AD, dove l’Autore porta il suo annuncio non a partire dall’esposizione dottrinale di verità dogmatiche ma dalla descrizione esistenziale della vita dei cristiani: «I cristiani, infatti, non si distinguono dagli altri uomini né per regione, né per lingua, né per abbigliamento. Infatti, non abitano città loro proprie, né utilizzano un gergo straordinario, né conducono uno speciale modo di vita. (…)

Così come l’anima nel corpo

Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato in sorte, e seguendo i costumi del luogo nell’abbigliamento, nel cibo e nel resto, testimoniano lo stato meraviglioso e veramente paradossale della loro società. Abitano la loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e sopportano tutto come stranieri; ogni terra straniera è la loro patria e ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti, generano dei figli; ma non gettano via i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Trascorrono la vita sulla terra, ma hanno la cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite e superano le leggi con la loro vita. Amano tutti e sono perseguitati da tutti. Non sono conosciuti e vengono condannati; sono uccisi e riprendono a vivere. Sono poveri e arricchiscono molti; mancano di tutto e abbondano in tutto. Sono disprezzati e nel disprezzo sono glorificati; sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati e rendono onore. Facendo del bene, vengono puniti come malfattori; puniti gioiscono come se nascessero a nuova vita. Sono combattuti dagli ebrei come estranei e sono perseguitati dai greci; e coloro che li odiano non conoscono il motivo del loro odio. Per dirla in breve, come l’anima è nel corpo così sono i cristiani nel mondo» (AD 5-6).

Rileggere oggi queste antiche testimonianze può produrre perplessità e conforto. Perplessità in coloro che appaiono esageratamente preoccupati della precisione e della meticolosa esposizione delle verità dogmatiche e dottrinali, come se esistessero solo il Catechismo della Chiesa cattolica o il Codice di diritto canonico; conforto in quanti, nei diversi contesti culturali, da quelli occidentali a quelli missionari, percepiscono la necessità di ritornare all’essenziale del cristianesimo e di adattarsi ai loro interlocutori non con un linguaggio violento e aggressivo ma con la forza mite ed umile del Vangelo della pace.

Segnaliamo:

A Diogneto, a cura di G. Gentili, (Religione e religioni 16), EDB, Bologna 2006.