L’irriducibile tu

La complessa relazione con l’altro riproposta nello sguardo biblico

di Lidia Maggi
pastora della Chiesa battista di Milano

Image 026Dialettica sul diverso

Chi apre la Bibbia si trova di fronte un portale d’ingresso, dove la nascita del mondo è narrata con uno sguardo universale.

I primi undici capitoli della Genesi rappresentano non solo l’ingresso principale per entrare nel mondo biblico, ma forniscono le chiavi di lettura per aprire le successive stanze di quell’architettura complessa e affascinante che è la Scrittura.

Nel capitolo dieci, che precede l’episodio della famosa torre di Babele, viene tracciata la prima mappa delle genti. E ci stupiamo nel constatare che i diversi popoli sono differenziati per mestieri, lingue e stanziamento geografico senza privilegiare la stirpe che poi partorirà Israele.

Questo ingresso nel mondo biblico attraverso uno sguardo ampio, aperto a tutti i popoli, che ha per soggetto l’umanità intera (Gen 1-11) dice molto dell’universalismo biblico. Esso non è un’invenzione del Nuovo Testamento o dell’apostolo Paolo, è piuttosto un filo rosso che attraversa molte pagine della Scrittura. A tratti si perde nelle trame di alcune narrazioni, per ricomparire prepotentemente in altre storie. La dialettica sull’altro diverso e simile a me rende ragione del dibattito con cui Israele ha imparato a definire la propria identità in tensione, rinunciando a fissare, in un’unica immagine, questa complessa relazione.

La Bibbia, dunque, nel descrivere il rapporto tra Israele e le genti, sembra seguire un movimento ondulatorio che oscilla dal disprezzo fino all’accoglienza e il pieno riconoscimento. La stessa riflessione su Dio, a specchio, si muove nell’eterna tensione tra universalismo e particolarismo. Il Dio biblico è il Dio che lega indissolubilmente la sua storia a quella di un popolo fragile e incostante, ma nello stesso tempo è il Dio di ogni popolo e di ogni creatura. Egli ha stretto un’alleanza particolare con Abramo, ma anche con ogni creatura della terra in Noè. Tale tensione trova una felice sintesi nella chiamata di Abramo, dove l’elezione del primo patriarca assume il suo pieno significato proprio in relazione all’altro («in te saranno benedette tutte le genti»).

Image 030Riflessione complessa

È difficile dunque tracciare una mappa univoca sul rapporto tra Israele e i popoli differenti, i cosiddetti Goim. La Scrittura preserva la memoria di momenti sereni, dove addirittura i diversi popoli si contaminano fino al sincretismo e gli usi religiosi e culturali dell’uno entrano nell’altro, come nel periodo in cui Giuseppe soggiorna in Egitto. Alla morte di suo padre egli fa imbalsamare il corpo, secondo le usanze egiziane, per poi seppellirlo nella tomba di famiglia, accompagnato da uno strano corteo funebre composto dalla famiglia di Israele e dai carri e cavalli egiziani.

I toni non sono sempre così distesi. Il momento di crisi, che vede acuire le tensioni con il mondo pagano, è legato soprattutto all’esperienza dell’esilio, dove Israele perde i propri punti di riferimento. Sradicato dalla propria terra, dai propri luoghi di culto, riflette in retrospettiva sulla propria storia e identifica le ragioni del fallimento nella promiscuità con gli altri popoli a iniziare dai matrimoni misti. Tuttavia persino nel periodo esilico la riflessione non è mai univoca e, così, accanto a chi propone come soluzione al fallimento il ripudio delle mogli straniere, c’è chi invece continua a vedere in queste una benedizione inattesa, come ci narra il libro di Rut.

Anche il libro di Giona dove Dio salva la città di Ninive, sembra muoversi sulla stessa tensione. Esso affronta la difficile conversione di chi si trova a rivestire i panni del rappresentante ufficiale della parola divina. Difficile perché, una volta riconosciuta la giustizia di questo Dio e della sua Parola, diventa faticoso guardare con benevolenza chi non vi aderisce o, peggio, vi si oppone con un comportamento ingiusto e riprovevole. Se poi si tratta non di un peccatore qualsiasi ma del malvagio che ci ha oppresso, del nemico giurato d’Israele, come lo era Ninive, allora la faccenda si complica ulteriormente.

Giona non discute sulla possibile universalità di Dio, Signore del cielo e della terra. Il fatto è che non può accettare che essa si traduca fino a elevare al rango dei figli persino i nemici d’Israele. O meglio: capisce in teoria l’universalità divina ma non ne condivide le estreme conseguenze. Dio è il Signore di tutti i popoli; tuttavia, non tutti i popoli possono essere suoi figli!

Il viaggio in fuga dalla sua chiamata sulla nave aveva già anticipato ciò che il profeta dovrà arrivare a intuire. I marinai pagani che incontra si dimostrano non solo più timorati e rispettosi di Dio del profeta stesso, ma agiscono con solidarietà nei confronti del fuggiasco. E quando scoprono che Giona è responsabile della tempesta, invece di punire il colpevole cercano di salvarlo.

Nella trama s’intrecciano tanti paradossi: Giona fugge da un Dio che egli sospetta essere troppo clemente e viene perdonato da marinai pagani che gli insegnano la misericordia. I marinai si convertono a quel Dio di cui Giona ha dato, suo malgrado, testimonianza proprio mentre fuggiva al suo cospetto, rifiutando il ruolo di araldo divino. Le cose non sono mai così lineari come sembrano, soprattutto quando si tratta di relazioni umane. Questo vale anche in rapporto all’Egitto, terra di schiavitù, ma anche di salvezza per Giuseppe e la sua famiglia, in tempo di carestia, e per il piccolo Gesù, in fuga da Erode.

Il libro poliedrico

Potremmo sentirci disorientati da questi continui cambi di prospettiva se ci aspettiamo di trovare una voce univoca nella Bibbia. Essa è un testo poliedrico non solo perché composto di tanti libri diversi ma soprattutto perché le tensioni tra sensibilità differenti non necessariamente vengono sciolte, anzi, sono proprio queste che più spesso rappresentano lo spazio attraverso cui la verità divina si rivela smarcandosi da possibili banalizzazioni e facili definizioni. Questo accade in particolar modo quando si affronta il tema dell’altro, del diverso, può essere il pagano, o colui che pur adorando lo stesso Dio segue altre usanze religiose (come nel caso dei samaritani). Non deve sconcertarci. L’altro è irriducibile, non può essere totalmente assimilato. Egli è un tu che posso sperimentare come nemico o come alleato. Non può essere rinchiuso in uno stereotipo, nemmeno il nemico storico per eccellenza può esserlo!

Questa irriducibilità dell’altro, quando è riconosciuta e rispettata, lo avvicina a Dio, gli restituisce quell’immagine e somiglianza che reclamiamo per noi, e facilmente neghiamo nell’altro. Dio è l’Altro, che non posso ridurre a idolo, immagine fissa. Egli chiama, relaziona con il popolo, ma rivendica la sua alterità. Il prossimo che non crede come me, che ha altre usanze religiose, altri linguaggi per dire o tacere la trascendenza, non può essere assimilato a me e nemmeno etichettato come “senza Dio”. La sua irriducibilità è il sigillo divino che ogni creatura umana, quando viene riconosciuta nella piena alterità, fa brillare.