Più di tutto: la buona notizia

Nella ricerca di povertà, castità e obbedienza annunciamo lo specifico cristiano

di Giancarlo Biguzzi
docente di Sacra Scrittura all’Università Urbaniana e al Pontificio Istituto Biblico

Image 014Il primato dell’ultimo

Nell’abbandonarsi a Dio, grande e misericordioso, l’islam ci batte. Nel sapere meditare e contemplare ci batte il buddismo. Nel parlare con sapienza ci batte Confucio. Nel praticare la non-violenza ci batte Gandhi… E a noi, credenti in Gesù, che cosa resta da rivendicare (o meglio, da vivere) che i non-cristiani non hanno? Gesù ebbe a dire ai suoi: «Fra voi però non sia così», e lo disse a proposito del potere o dell’imporsi agli altri da posizione superiore (Mc 10,45). Ma tante delle sue parole potrebbero avere la stessa formula d’introduzione. Cominciamo dunque dal potere, che per Gesù è servizio, mentre l’istinto alla sopravvivenza porta a voler signoreggiare e imporsi, per poi magari «farsi chiamare benefattori» (Lc 22,25). Se il vero potere è nell’essere servitore e schiavo degli altri, la vera grandezza poi per Gesù è nel farsi ultimo di tutti e infimo fra tutti. Si potrebbe dire che, insieme all’insegnamento sull’amore, perfino per il nemico e il persecutore, l’insegnamento sul potere come servizio è uno degli apporti di Gesù alla storia universale delle religioni. Al riguardo, di certo c’è qualcosa anche nelle altre culture e nelle altre filosofie, ma la centralità dell’amore e del servizio è propria del cristianesimo.

Nell’insegnamento di Gesù sono poche le parole che si occupano di sessualità, matrimonio e verginità (in Mt 19,12 da lui chiamata «eunuchia»), ma quelle poche parole bastano a metterci in difficoltà. Una è quella del «Non separi l’uomo ciò che Dio ha unito». Qualche coppia celebra le nozze di diamante con un amore che, come il diamante, è stato infrangibile, ma è meravigliosa anche l’anziana signora che, davanti al marito morto, andava dicendo: «È stata come un’affacciata!», per dire che non aveva avuto il tempo di vivere con il suo uomo a sazietà. Un’altra invece diceva: «In tantissimi anni di matrimonio non ricordo che mai ci siamo arrabbiati a vicenda». Un famoso scrittore, sopravvissuto alla moglie, recitando il rosario, nell’Ave Maria si fermava a metà perché lei, secondo i patti, doveva rispondere dal paradiso con la «Santa Maria…». In un film di qualche anno fa, a un omone brutto, grosso e all’apparenza rozzo, il quale dichiarava di non guardare la tv perché tutto il giorno aveva da fare, si diceva: «Guàrdala alla sera». E lui rispondeva: «Alla sera, io guardo mia moglie!». Questo non-separare ciò che Dio ha unito, grazie al cielo ancora esiste, ma le statistiche suonano una musica totalmente diversa. A tutti noi Gesù consegna poi un altro comandamento nel campo sessuale, ancora più impossibile: quello dell’essere liberi anche da uno sguardo adultero (Mt 5,27). Anche questo è sorprendente. Anzi, pressoché impraticabile, e, anche per questo, unico.

LImage 021iberi da Mammona

Nel Discorso della montagna poi Gesù dice di non affannarsi per il domani, né per il cibo, né per il vestito (Mt 6,25-34). Non intendeva di certo indurre all’indolenza, perché in quel caso sarebbe poi stato smentito da Paolo secondo il quale chi non lavora non deve neanche mangiare (2Ts 3,12). Ma Gesù chiedeva la libertà dal mammona iniquo che strega i poveri e ancora più i ricchi, e soprattutto i ricchissimi, i quali sono rosi dalla brama di avere sempre di più. Si sente dire che il fondatore di un’azienda multinazionale nord-europea gira per i supermercati per risparmiare negli acquisti quotidiani. E così i ricchi sono schiavi delle proprie cose e del proprio capitale, invece che essere servi degli altri: loro che potrebbero farlo con tutto quel ben di dio. «Stolto!», dice la parabola al ricco che voleva ampliare i suoi magazzini (Lc 12,20), e in tutti e quattro i vangeli è l’unica volta che s’incontra quella severa apostrofe. Ma poi Gesù promette il centuplo a chi si fa libero da ogni cosa e legame (Mc 10,29-30), e, ancora una volta sorprendentemente e al limite della ragionevolezza, proclama beati i poveri (Lc 6,20).

Questi tre temi evangelici - del possesso, dell’eunuchia e del potere - sono l’oggetto dei voti che la spiritualità cristiana ha canonizzato: i voti di povertà, di castità e di obbedienza (a proposito di quest’ultimo sarebbe stato più giusto parlare di «voto di servizio», se non altro per coinvolgere esplicitamente anche chi comanda). Sono dunque tre punti nevralgici, tre crocevia ineludibili, tre controprove dell’evangelicità di ogni cristiano. Nonostante la loro radicalità e «impraticabilità», che sembrano esclusivamente evangeliche, hanno però molto da dire anche per chi non è cristiano, perché l’uso non corretto del potere, della sessualità e del possesso lasciano l’amaro in bocca, la frustrazione nella persona, e i ben noti conflitti e le ben note ferite nella convivenza umana.

Il Regno in persona

Se così è, allora nella storia delle religioni Gesù è ineguagliato interprete dell’animo umano e dell’antropologia, per cui il suo insegnamento è tanto ineludibile quanto intollerabilmente radicale. Viene allora da chiedersi se non abbiano ragione gli interpreti protestanti del Discorso della montagna secondo i quali, con le sue esigenze impossibili ad essere attuate, Gesù ci vuole liberare dalla pretesa di auto-salvarci, ci vuole precipitare nella disperazione e, così, spingerci tra le braccia di Dio misericordioso. Ma non è così. O meglio, è così solo se le parole di Gesù sono prese come regole che, in quanto tali, possono risultare sostenibili o non-sostenibili. Ma, appunto, non è così. L’insegnamento di Gesù è anche etico, ma non fondamentalmente etico, essendo anzitutto “vangelo”, “buona notizia”. È a partire dalla buona notizia che tutto si abbandona e tutto si fa: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del vangelo…» (Mc 10,29-30).

Tutto è messo in moto e reso praticabile non da una regola, ma dalla buona notizia del Regno in cui non c’è spadroneggiamento ma servizio, dove ciò che Dio ha unito non lo si separa neanche con uno sguardo, e dove il vero tesoro non è quello attaccato da tarme o ruggine (Mt 6,19). Di più: il Regno è Gesù in persona. Non per nulla, alle parole «per causa del vangelo», Mc 10,29 premette «per causa mia». Giustamente Origene ha definito Gesù l’“auto-basileia”, e se Confucio ci batte nel parlare con sapienza, noi poniamo la nostra vita in colui che è, egli stesso, “buona notizia” e “il Regno-in-persona”. Confucio è un sapiente e un moralista: Gesù è anche quello, ma è molto di più.