Nell’ondivaga incertezza dell’esistenza, si susseguono, senza un ordine preordinato e nemmeno in equilibrio matematico, episodi che giudichiamo favorevoli e incoraggianti ad altri negativi e depressivi. Tra alti e bassi, non è mai facile percepire il confine di uno di questi tipi di esperienza, né attribuir loro con facilità, nell’immediatezza, il segno più o meno. Scopriamo come ce lo raccontano i fratelli Coen col film “Mr. Hula-Hoop” e Cristiano Cavina nel libro “Scavare una buca”.

Alessandro Casadio

Image 257Mr. Hula-hoop

un film di John e Ethan Coen (1994)
distribuito dalla Universal Picture

Ritmo scatenato e tante invenzioni per una commedia amara sul capitalismo Usa anni ’50, con Tim Robbins, attore protagonista, che offre un saggio mirabile delle sue potenzialità e Paul Newman tutto compreso e credibile nella parte del cattivo. È la storia, del tutto romanzata, dell’uomo che inventò l’hula-hoop: il cerchio di plastica da far ruotare intorno al corpo solo con il movimento del bacino. Il film, che si ispira nella fotografia ad altri film sul capitalismo industriale degli anni ’30 quali Metropolis e Tempi moderni, è una dura e ironica requisitoria sull’illusorietà del sogno americano. In esso si dibatte un piccolo antieroe, uomo fatto tutto da sé, qui rappresentato nel suo doppio senso di marcia: dalla polvere agli altari e viceversa. Con un gusto delle reazioni a catena e del meccanismo del gioco, che trascina con sé, nella sua incalzante e travolgente sceneggiatura, le immagini e le scene che raccontano la storia, tali da sviluppare una garbatissima e sottile comicità demenziale. L’oggetto stesso dell’hula-hoop, con la sua forma di rotonda perfezione ma tutto pieno solo di aria, si pone quasi come simbolo della società che gratifica senza un criterio i suoi appartenenti, affidando alla fortuna le loro sorti altalenanti. I toni cupi del noir, che caratterizzano la pellicola e che solo saltuariamente si alleggeriscono in quelli rossi festosi e azzurri romantici, esplicitano chiaramente gli sviluppi della storia. Tutto è immerso nello shaker dei registi, i fratelli Coen, che agitano e poi estraggono sequenze di matematica ferocia. Senza un momento di stanchezza, un’invenzione dietro l’altra. Da questa centrifuga di pseudo-valori ricaviamo un’immagine meno rosa, ma più veritiera della vita, che si autentica nella sua complessità e nel suo saper trovare, tra alti e bassi, i sentimenti profondi che ci identificano. (AC)