Cerca la sete, trova la pace

Il codice del pellegrino è lo stile di vita di Chiara e Francesco

 di Chiara Letizia
clarissa del Monastero Corpus Domini di Ferrara

 Dicono i rabbini che il popolo di Israele, durante i quarant’anni di cammino nel deserto verso la Terra Promessa, finché camminava, stava in pace.

Ma non appena si fermava, subito iniziavano a litigare. Ed è così. Chi è in cammino non ha niente, non possiede, guarda avanti. Basta poco per vivere, giusto il necessario; ci si fida e ci si aiuta. Ma quando ci si ferma, si possiede il pezzetto di terreno sotto i propri piedi, e si inizia a litigare per non farselo portare via, per averne sempre di più. Sembra che si abbia bisogno di tutto, che prima andava sicuramente meglio, e nulla sembra più bastare per poter essere felici.
Francesco e Chiara sono state persone di pace perché persone in cammino. Hanno conosciuto la sapienza del cammino, sono diventati camminatori nel cuore, nello spirito, fino alla patria. Non hanno mai smesso di camminare. Chiara lo ha scritto più volte nelle sue lettere ad Agnese: non smettere di camminare, avanza sempre, non arrestarti, non lasciare che qualcosa rallenti il tuo passo. E per non fermarsi, Chiara ha un suggerimento: tieni davanti a te, sempre, il punto di partenza. Si cammina se davanti agli occhi si ha il punto di partenza, ciò che ci ha fatto uscire, ciò che ci fa muovere. Se si perde il punto di partenza, ci si ferma. Bisogna sempre ricordarsi perché stiamo camminando e bisogna sempre continuamente cercare ciò che abbiamo visto all’inizio e che sta sempre dinanzi a noi. Così Francesco: nella parabola della “Perfetta letizia” leggiamo che Francesco, da tutti ritenuto un santo, fondatore di un Ordine importante, bussa alla porta del convento più importante della sua fraternità, e non viene accolto. Lo rimandano indietro, dai crociferi, dai lebbrosi, là dove tutto era iniziato, dove aveva scoperto l’essenziale. Si riparte sempre da lì.
Ma cos’hanno imparato questi due pellegrini, passo dopo passo? Lo possiamo dedurre da queste parole della Leggenda Maggiore di san Bonaventura: «Diceva Francesco che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, transitare in pace» (FF 1120).

 Raccogliersi sotto il tetto altrui

Tutti abbiamo bisogno di un tetto, di un rifugio, di una sicurezza. Francesco non dice di vivere senza tutto questo. Dice semplicemente che il tetto, sotto cui rifugiarsi e raccogliersi, non è nostro. Questa è la prima grande lezione che la strada rivela a chi è pellegrino e forestiero: che nulla è nostro. Tutto ci è dato in dono, ma non ne siamo i proprietari, e tentare di impossessarcene è l’inganno più grande nel quale possiamo cadere, è ciò che arresta il nostro cammino. Si può vivere senza possedere? Sì, ci dice Francesco nel suo Testamento: quelli che venivano a noi davano tutto ai poveri, ed erano contenti di poco, di nulla… «e non volevamo avere di più» (FF 117). Perché la vera ricchezza non è in ciò che si possiede.
Ebbene, se non ho un tetto, se non ho una casa, allora imparo a chiedere. E imparare a chiedere, ad aver bisogno, ad attendere, è qualcosa di fondamentale per la vita spirituale, per la vita in generale. Il pellegrino è qualcuno che impara a chiedere. Chiede indicazioni per la strada, chiede un bicchiere d’acqua, chiede di essere accolto, chiede un tetto...
Saper chiedere è il modo di stare al mondo dei salvati, la postura interiore dei beati secondo il vangelo; di chi sa di poter attendere qualcosa e qualcuno, di chi si fida, dei figli. Chi è un padre, se non colui al quale si può sempre chiedere? Chiara fa del saper chiedere una cifra essenziale della vita comunitaria: «Ciascuna manifesti con confidenza all’altra la sua necessità» (FF 2798): l’esperienza del limite e della mancanza diventa luogo di cura vicendevole, di amore gratuito. E non solo le singole sorelle imparano l’arte del chiedere. Anche la fraternità, nel suo insieme, è un corpo che sa chiedere: «Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, e come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, con fiducia mandino per la elemosina» (FF 2795). Cioè mandino a chiedere ciò di cui hanno bisogno.
Chi non sa chiedere, al contrario, è destinato a rimanere solo, a doversi salvare da solo. Il pellegrino chiede, ma chiede solo cose essenziali, non il superfluo, perché nel cammino non c’è posto per ciò che non è indispensabile: sarebbe solo un inutile peso. Francesco e Chiara sanno bene cos’è indispensabile: «Attendano a ciò che soprattutto devono desiderare, avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione», dicono entrambi al capitolo decimo delle loro rispettive Regole. La preghiera è un cammino per imparare a chiedere l’essenziale, per fare spazio nel cuore solo a ciò che fa veramente vivere.

 Sentir sete della patria

Abitualmente si cammina in cerca di acqua, di un luogo dove dissetarsi. Per Francesco è il contrario, e per lui si cammina in cerca della sete. La sete del corpo è un bisogno vitale, bruciante, che non può essere ignorato. La sete dell’anima è un desiderio mite, che non si impone e che a volte si nasconde: è un dono, che va cercato e implorato, che perdiamo spesso, che soffochiamo, che poi ci viene ridonato per grazia, e che ci rimette in cammino.
Il profeta Geremia ci dice che non è così difficile dimenticarsi della sete: si perde il desiderio della sorgente viva per accontentarsi di cisterne screpolate che non trattengono l’acqua (cfr Ger 2,13). Si può smettere di sentire la sete, ci si può lasciar distrarre dal nostro profondo desiderio, e allora ci si ferma e si muore. Perché? Perché la sete trasforma la vita, e tu sei continuamente alla ricerca di qualcosa che non sei tu, di qualcosa di altro e di oltre. Accettare di aver sete significa ammettere di non bastarsi.
Francesco e Chiara hanno lasciato che fosse questa sete a portare la loro vita, a determinarne il percorso. Andavano lì, dove la sete li guidava… Ma sete di cosa? La nostra patria è la comunione piena e definitiva con Dio: in nient’altro noi troviamo casa. E accade così: più ne facciamo esperienza, qui sulla terra, più il desiderio cresce. Più sperimentiamo la beatitudine della relazione con Dio, più questa ci attira a sé. Più beviamo e più abbiamo sete. Più preghiamo e più sentiamo la necessità di pregare. E viceversa!

 Transitare in pace

Infine il codice del pellegrino è transitare in pace. Non perché vada tutto bene, anzi. Chi cammina trova continuamente ostacoli. Quale sia questa pace e dove trovarla, ce lo dice Chiara, quando, al termine del suo pellegrinaggio, si volta indietro e guarda a tutto il percorso fatto. E cosa vede? Vede che il Signore, come un Padre, come una Madre, ha camminato con lei: «Va' sicura e in pace anima mia benedetta perché avrai buona scorta nel viaggio, perché Colui che ti creò, anche ti santificò e dopo averti creata ha messo in te lo Spirito Santo e sempre ti ha guardata come una madre il figlio suo piccolino che ama». Chiara entra sicura nell’ultimo tratto del suo pellegrinaggio perché riconosce che una buona scorta l’ha accompagnata, sempre; e che continuerà a farlo! Il pellegrino, via via, impara che il Signore cammina sulla sua stessa strada, è con lui nelle svolte importanti, illumina il cammino, è Lui stesso il cammino. Il Signore si è fatto nostra via, dice Chiara nel suo Testamento. La nostra strada è una persona, cioè la sua storia è anche la nostra storia, la sua vita è anche la nostra vita.
Infine, il pellegrino che ha imparato che nulla è suo, che ha imparato a chiedere, che si lascia trasformare dalla sete che lo abita, che transita in pace, questo pellegrino impara anche a ringraziare, a lodare, a benedire. Ha un passo leggero nella vita, e vede il bene sparso lungo la strada, nelle persone, negli incontri fatti, nelle cose. E quando incontra il male, la divisione, le liti e le contese, non si ferma a giudicare, non critica, non se ne rende complice o partecipe, ma lì semina quella pace che ha raccolto lungo il cammino, e poi continua a camminare. Laudato si’, mi’ Signore, per quelli che camminano nel Tuo nome.