Ricordando padre Guido Volta

Il volo dell’allodola che sapeva il latino
 

Image 229Trasasso di Monzuno (BO), 22 maggio 1922

Reggio Emilia, 13 gennaio 2012

La strada verso Bologna

Ci ha lasciato il 13 gennaio scorso, alla soglia dei novant’anni, quando ormai le sue forze di resistenza erano allo stremo, dopo essere stato colpito da uno dei più temuti eventi dell’età avanzata, la frattura del femore. Lui, un uomo di una salute che mai aveva conosciuto la malattia, ne è stato piegato irrimediabilmente e così, piano piano, si è incamminato verso quell’orizzonte dove vi è Chi lo ha risanato per sempre.

Padre Guido era nato il 22 maggio 1922 a Trasasso di Monzuno (BO), un piccolo borgo affacciato sull’alta valle del Sàvena, e stava ormai assaporando l’ebbrezza dell’adolescenza, quando vi fu l’incontro con un predicatore cappuccino, padre Marcellino da Granaglione. Gli piacque quel frate «dal volto sorridente e buono, dalla parola facile, convinta e convincente, che parlava di Gesù, della Madonna e dei Santi in modo penetrante e con tanto fascino». Lo colpì pure «la semplicità e l’insolito modo di vestire: un ruvido saio, stretto ai fianchi da un candido cordone, dal quale pendeva una grossa corona del Rosario, e sandali ai piedi». Da qui nacque la proposta del frate a quel fanciullo, ormai abbastanza cresciuto, se ne avesse voluto seguire il cammino. La decisione non tardò a essere per un «sì» convinto. E così, «mano nella mano di padre Marcellino, con passo affrettato», Guido prese la strada verso Bologna, la prima città che egli vedeva con i suoi occhi; soprattutto rimase impressionato dal convento dei cappuccini: «un intersecarsi di corridoi, ampie scale, tante sale»; e poi «un corridoio di incommensurabile lunghezza con tante porte, sia a destra che a sinistra, tutte chiuse, tutte misteriose». Così egli ricorda l’impatto con la realtà fratesca avuto quel giorno: «Una campanella tintinnò lontano. Come per incanto, da ognuna di quelle porte, uscì un frate in tutto simile, all’esterno, a padre Marcellino: ruvido saio indosso, sandali ai piedi, barba fluente, corona di capelli in testa. A poco a poco, scomparvero. Erano andati a pregare; infatti mi raggiunsero le note di un canto: era una preghiera. Era quello il mio futuro? Rividi la mia casa, il volto dei miei genitori, gli sguardi sorpresi delle mie sorelle e di mio fratello; rividi la bella vallata di Trasasso, fitta di boschi e di castagneti, di prati erbosi e di campi, degradante, tra balze e burroni, sino al fiume Sàvena; rividi la bella chiesa parrocchiale, là sul cocuzzolo, sempre battuto dal vento; rividi il Monte Venere dalla cima spoglia di alberi e di cespugli, e dall’erba segnata da strie, indicatrici di funghi; rividi i sentieri che lo solcano, da me mille volte percorsi, e il cielo che lo sovrasta e quasi lo avvolge in un abbraccio di azzurro, mentre le allodole, in ampie volute e con trilli armoniosi, volano alto. Rividi e piansi… Padre Marcellino mi toccò una spalla: “Ora andiamo a mangiare”. E aggiunse sorridendo: “Anche i frati mangiano!”. E continuò: “Se proprio non te la senti di continuare il viaggio, non ti preoccupare: ti riaccompagno a casa”. Ma le mie erano lacrime di commozione, non di pentimento». Il viaggio di Guido si concluse a Imola, nel seminario, il 17 settembre 1935.

Gli insegnamenti di saggi maestri

La «vita di collegio» gli favorì «la socializzazione, la scoperta dell’altro, la conoscenza dei propri diritti e dei propri doveri», e se essa gli giustificava «la rivendicazione dei primi», imponeva «il rispetto e la pratica dei secondi». In seminario Guido maturò «la convinzione di essere chiamato al sacerdozio». L’anno di noviziato a Cesena ebbe inizio il 13 agosto 1940, e con l’abito cappuccino gli venne dato anche un nuovo nome: «Vincenzo da Monzuno», che porterà fino ai primi anni ’70. Il 15 agosto 1941 emise la professione temporanea e si portò in successione, per gli studi liceali-filosofici, a Lugo, a Ravenna e a Cesena. In quest’ultimo convento, Guido conobbe l’immane tragedia della guerra, ma anche lo sforzo generoso dei frati nello scavare, nel terreno argilloso sotto l’orto conventuale, un vasto rifugio «che divenne dormitorio, refettorio, chiesa per molti: frati, civili - uomini, donne e bambini -, accorsi numerosissimi in cerca di un luogo sicuro contro i bombardamenti». Il 15 agosto 1944 fece la professione perpetua: «il rito si svolse in due tempi, perché un allarme aereo ci costrinse ad uscire di chiesa».

Trasferitosi nel 1944 a Rimini per il corso di teologia, completò gli studi teologici a Bologna, e il 13 marzo 1948 fu consacrato presbitero.

Nei primi mesi Guido fu impegnato in un apostolato generico, ma ben presto si delineò per lui un’attività che avrebbe portato avanti per vent’anni: l’insegnamento nei seminari della Provincia a Ravenna, a Imola e a Faenza. Ecco come un alunno di latino di Guido ne ricorda l’insegnamento: «Chi non conosce il comportamento degli studenti, specialmente alla soglia dell’adolescenza, nei confronti di una lingua morta come il latino? La seppelliscono. E così pure io l’avevo relegata nell’oltretomba dei miei interessi. L’unica cosa che sapevo era che il latino non aveva articoli. Quando vennero le declinazioni, capìi subito che la strada non sarebbe stata per nulla piana, e il latino mi sembrava una cosa fuori dal mondo, per cui i risultati non conobbero apprezzabili progressi. Il capovolgimento si verificò in terza media, quando ebbi come insegnante padre Guido. Con mia sorpresa, mi ritrovai a studiare il latino da capo. E questa volta con tanta passione. D’altronde tutti gli alunni erano contagiati da un clima di entusiasmo. Alcuni di noi si scoprirono persino poeti latini, e potemmo così dare libero sfogo, con eleganti distici elegiaci, alla nostra fantasia di adolescenti». La voce di Guido, che negli ultimi anni sembrava flebile, in classe era invece ferma e forte, e aumentava di intensità a seconda della gravità degli errori fatti dagli alunni, soprattutto se si dimostravano orrori.

Image 228Gli impegnativi campi di lavoro

Nel 1963 si aprì per Guido un nuovo campo di lavoro, a cui ha dedicato ventisei anni: cappellano al Centro Protesi Inail di Vigorso (Budrio - BO), dove ha collaborato alle numerose iniziative «per rendere meno doloroso il soggiorno di coloro che, colpiti da infortunio, erano costretti a lunghe degenze». Il Centro di Vigorso gli ha reso possibile prendere contatto «con la realtà della vita vissuta di “gioie e dolori, fatiche e speranze”», e di accostarsi «a tante persone sofferenti nel corpo e anche nello spirito, e cercare di asciugarne le lacrime».

Una cosa che particolarmente lo aiutava nel suo lavoro di cappellano era la stampa di un notiziario, “La stampella”, che vide la luce nell’ottobre 1969. Fu portata avanti per diversi anni e con pagine sempre più numerose, con il contributo entusiasta degli infortunati stessi, a dimostrazione «che si può sorridere anche quando si soffre». E poi tante altre iniziative: caccia al tesoro nel parco del Centro, gare di pesca, soluzione di quiz, occasione, quest’ultima, che «aiutò tante persone, che da anni non avevano preso in mano un libro, a consultare testi ed enciclopedie», gare di briscola, gare di canto, mostre di pittura, gare di bocce, gite e pellegrinaggi.

Nel 1988 Guido, considerando ormai concluso il suo servizio, per motivazioni «la cui comprensione piena e vera è per gli altri impossibile», lasciò il Centro di Vigorso per il convento di Porretta Terme. Trovando tuttavia per lui troppo stretta la vita unicamente conventuale, l’anno seguente chiese e ottenne di poter essere nominato amministratore parrocchiale della parrocchia di Bombiana (Gaggio Montano - BO), posta sul crinale che fa da spartiacque tra i torrenti Silla e Marano, e che lo vide ancora a stretto contatto con malati e anziani. Nel 1993, tuttavia, «presa coscienza che la Parrocchia richiedeva di più delle mie possibilità, decisi di lasciarla». Avendo poi saputo che le Suore Minime dell’Addolorata di San Giovanni in Persiceto (BO) desideravano avere un cappellano e un confessore al Santuario di Santa Clelia Barbieri de Le Budrie, si dichiarò disponibile, «considerando un immenso dono di Dio poter svolgere tale ministero, perché nel silenzio e nell’oblio avrei servito il Signore nei fratelli, in attesa della Sua chiamata».

Nel 2004, a causa dell’età, si trovò a dover lasciare Le Budrie e a trasferirsi, non senza un’interiore resistenza, nel convento di Bologna, come confessore nella nostra chiesa, compito che egli ha svolto con coscienza e comprensione, dimostrandosi il volto paterno e misericordioso di Dio. E, infine, l’imprevisto della caduta con frattura del femore, che lo ha condotto gradualmente a spegnersi, dopo che, negli ultimi giorni, era stato aggregato all’infermeria provinciale di Reggio Emilia.

Un confratello, Guido, che sentiva forte il senso di appartenenza, ma altrettanto forte l’anelito di libertà e di autenticità. È vissuto libero come il volo delle allodole del suo Trasasso, e ora egli vola nel cielo luminoso di Dio.

Nazzareno Zanni