Ricordando padre Giuseppe Polazzi

La lingua tagliente come un fioretto, l’arma apostolica di Prete volante

 

Image 217Monteacuto Ragazza di Grizzana Morandi (BO), 11 ottobre 1923

Bologna, 16 gennaio 2012

I primi incarichi

Nonostante l’età avanzata, è voluto rimanere fino allo stremo delle forze nella «sua parrocchia» di Gallo Bolognese (comune di Castel San Pietro Terme), collocata negli ultimi lembi della pianura emiliana prima di entrare in territorio romagnolo: un piccolo agglomerato di case a ridosso della Via Æmilia, quasi a voler difendere i confini della campagna bolognese dall’intenso flusso di veicoli di quella storica via di comunicazione. Per le condizioni di salute ormai precarie era stato necessario ricoverarlo a Bologna nella Casa di Cura Madre Fortunata Toniolo, dove, lunedì 16 gennaio, è entrato nella pienezza del respiro di Dio.

Giuseppe Polazzi era nato l’11 ottobre 1923 a Monteacuto Ragazza, l’antico Montaguto dell’Arigazza (nobile vassallo della contessa Matilde di Canossa), un borgo nel Comune di Grizzana Morandi (BO), sull’Appennino bolognese, nella media Valle del Reno, un territorio sempre generoso di vocazioni cappuccine. Entrato appena adolescente in seminario, il 17 agosto 1941 fu ammesso al noviziato di Cesena, con il nome di Giordano da Grizzana, che manterrà fino ai primi anni ’70, quando riprese il nome di battesimo. L’anno successivo, emessa la professione temporanea, intraprese gli studi filosofici, peregrinando, a causa degli eventi bellici, negli studentati di Lugo, di Ravenna e di Cesena. Nel 1945, con la professione perpetua, si portò nuovamente a Lugo per iniziare gli studi di teologia, che proseguì, a guerra conclusa, a Bologna, dove il 12 marzo 1949 fu ordinato presbitero nella cappella arcivescovile dal card. Giovanni Battista Nasalli Rocca. Terminato anche l’anno di Sacra Eloquenza, si trovò ad affrontare un periodo di continui spostamenti: dapprima venne destinato al convento di Sant’Agata Feltria (RN), allora avamposto del territorio marchigiano ai confini con la Romagna; l’anno seguente (1951) fu trasferito nella nostra parrocchia romana della Parrocchietta, come assistente religioso del Trullo, una borgata nata nel 1939 vicino al sepolcro romano “Trullus de Maximis” per dare ospitalità soprattutto a connazionali rimpatriati dall’Africa; nel 1952, in considerazione del carattere incline a un facile approccio con la gente, fu inviato come cappellano del lavoro a Ferrara, dove rimase due anni; infine l’attività che lo vedrà impegnato per oltre un quinquennio: nel luglio 1954 fu deciso di inserirlo nella fraternità del convento di San Giuseppe in Bologna, come membro della “Fraternitas” voluta dall’arcivescovo card. Giacomo Lercaro, meglio conosciuta come “La Volante”, un’associazione di religiosi, coordinati dal frate minore padre Tommaso Toschi, con sede a Villa Pallavicini, alla periferia della città.

La Volante

Il card. Lercaro fin dall’arrivo nella diocesi di Bologna non aveva fatto mistero della sua diffidenza verso l’amministrazione comunista che governava la città, per cui volle verificare di persona l’umore della gente. Una sera, quando era ancora un perfetto sconosciuto, si presentò in piazza Maggiore vestito da semplice prete, per ascoltare le discussioni tra i cittadini. Rimase amaramente sorpreso nel constatare quanto la popolazione fosse ostile alla Chiesa, accusata di aver sostenuto il fascismo e la guerra, e di stare dalla parte dei “padroni”, contro la classe operaia. Il nuovo arcivescovo si chiedeva come fosse possibile difendere la Chiesa e ristabilire la verità. Di qui l’idea di contrapporre al sindaco Dozza, comunista bolognese doc, i “preti volanti”, la Fraternitas appunto, che cercassero il “contradditorio” con i militanti del PCI, soprattutto in occasione dei comizi, opponendosi politicamente e annunciando la fede nei quartieri più rossi della città.

Con queste parole il padre Toschi ricorda la sua esperienza, che fu pure quella del nostro Giuseppe: «Ai miei tempi, nel 1954, non è che i preti uscissero molto dalle chiese. Predicavano contro i comunisti, ma restando sul pulpito. In piazza c’eravamo noi, a sostenere lo scontro. Però, che bei tempi! I comunisti non ci hanno mai sparato addosso, non ci hanno mai tirato un sasso. Non sparavano nemmeno alle gomme delle nostre Fiat 1100. Eravamo in ventuno, con sede in Bologna. Ci chiamavano “volanti” perché arrivavamo subito ovunque». Infatti “La Volante” era dotata di ben dieci automobili Fiat con altoparlante e di un pullman attrezzato come “chiesa volante”, con tanto di altare e di candele. Anche Giuseppe ebbe l’uso di un’auto, un lusso che nessun altro frate poteva permettersi, e con quella si presentava nelle periferie della città dove non vi erano ancora le chiese, a celebrare l’eucaristia e a evangelizzare i nuovi insediamenti. In occasione delle campagne elettorali, i frati della Volante intervenivano anche nelle più sperdute borgate della campagna e nelle piazze dei paesi per sostenere i candidati di ispirazione cristiana. Si viveva allora in un clima in cui «la politica toccava l’altare», ma Giuseppe riusciva a evitare scontri violenti, capace, con la sua naturale disinvoltura, di coinvolgere in dibattiti fermi ma pacati chi si trovava di fronte.

Parroco

Nel 1960, quando ormai le tensioni politiche e ideologiche postbelliche si erano alquanto attenuate, la Volante cominciò ad avvertire il fiato corto: la sua presenza sembrava ormai superata dagli eventi e dal nuovo clima di rispetto, se non di attenzione, tra forze politiche avverse. D’altronde si era ormai alla vigilia del concilio Vaticano II, e il card. Lercaro si trovava intensamente impegnato nei lavori conciliari, che ne rimodellarono il ministero pastorale e pure la visione politica, ispirata a uno spirito più conciliante e collaborante. D’altronde non erano più i tempi dell’invasione dell’Ungheria (1956), e le asprezze delle campagne elettorali apparivano un ricordo sempre più sfocato.

Così Giuseppe abbandonò la Volante e per due anni, dal 1962 al 1964, esercitò il suo ministero sacerdotale tra gli ammalati del nuovo Ospedale Maggiore di Bologna. Nel dicembre 1964, alla morte di padre Bonaventura da Faenza, fin dal 1947 parroco della parrocchia dei Santi Re Magi a Gallo Bolognese, Giuseppe fu nominato “economo spirituale” di tale parrocchia. Non senza però una certa diffidenza da parte del clero della zona, il quale, ricordandolo come frate battagliero della Volante, temeva che l’impatto con la popolazione fosse poco favorevole. Ma questo pericolo si rivelò inconsistente, tanto che, nel 1967, divenne ufficialmente parroco, con pieno gradimento della gente. Nel 1980 alla parrocchia del Gallo si aggiunse quella poco lontana di Casalecchio dei Conti, sulle prime colline di Castel San Pietro, la cui casa canonica è oggi sede dell’associazione Arc-en-ciel, che l’ha trasformata in piccoli appartamenti per l’accoglienza di nuclei familiari di immigrati provenienti dall’Africa e dall’Europa orientale.

I 47 anni del ministero parrocchiale di Giuseppe al Gallo sono stati anni di servizio umile, e non raggiunsero nemmeno lontanamente i livelli di tensione sperimentati quando egli faceva parte della Volante. Tuttavia mai rinnegò la fermezza e la coerenza di vita che lo avevano contraddistinto nel passato, camminando sempre nell’alveo profetico del carisma francescano. Indubbiamente è vissuto alla periferia della vita istituzionale della Provincia, non però assente, avendo cura di tenere vivi i legami personali con i confratelli e di offrire il suo contributo dialettico per le scelte pastorali della fraternità provinciale, nonché quello economico per le esigenze delle nostre missioni.

Potrebbe sembrare sorprendente dire così poco di un ministero tanto prolungato nel tempo, ma forse sta proprio nel poco che si può riconoscere il grande merito di Giuseppe: il suo lavoro si è uniformato al detto latino «gutta cavat lapidem», così da conquistarsi, giorno dopo giorno, con pazienza e bontà, l’affetto e la stima della sua gente. Il taglio della barba alla D’Artagnan del romanzo I tre moschettieri, e la lunga capigliatura abbandonata sulle spalle facevano della sua figura un elemento ormai insostituibile nel paesaggio della parrocchia, tanto da identificarsi con esso.

Con la morte Giuseppe avrà incontrato Pietro, con il quale ha condiviso l’uso della spada: se l’apostolo, con l’intento di difendere Gesù, aveva impugnato l’arma per tagliare l’orecchio al servo del sommo sacerdote, e l’aveva poi riposta nel fodero dietro comando di Colui che era contrario a ogni violenza, Giuseppe l’ha brandita nella parola a volte tagliente dell’apostolato giovanile di “frate volante”, ma l’ha abbandonata quando, alla tempesta dei primi anni di sacerdozio, era seguita la quiete del ministero parrocchiale.

Ora è in Colui che egli ha difeso e proclamato Signore del cielo e della terra..

Nazzareno Zanni