Non liberi ma liberati
La libertà cristiana non è fine a sé stessa, ma orientata al servizio di Dio e degli altri
di Valerio Mauro
frate cappuccino, docente di teologia alla Facoltà Teologica di Firenze
Il tema della libertà è uno dei temi più cari all’esperienza umana moderna.
La crescita verso una sempre più ampia autodeterminazione di gesti e decisioni costituisce una modalità desiderata per lo sviluppo della persona umana. Siamo gelosi di ogni indipendenza raggiunta e soffriamo nell’intimo qualora la nostra libertà venga limitata o persino negata. La prospettiva, invece, che la Parola di Dio ci invita ad assumere ci colloca all’interno di una prospettiva diversa, verso la quale siamo chiamati alla conversione. Possiamo riprendere il famoso detto per cui non si nasce cristiani ma lo si diventa: «Fiunt non nascuntur christiani», scriveva Tertulliano, ritenuto il fondatore del latino ecclesiastico. Così, dal punto di vista della fede non si nasce liberi, lo si diventa, ricevendo un dono da accogliere giorno dopo giorno. Si tratta di un autentico cammino che ci coinvolge non solo in un vissuto di fede, ma attraverso un’autentica maturazione umana. Fra i tanti percorsi possibili, invitiamo a riflettere su come la tradizione del popolo d’Israele, costituito tale attraverso la liberazione dalla schiavitù d’Egitto, acquisti, attraverso l’evento Cristo, una forma propria per ogni discepolo del Signore.
La memoria dell’Esodo
Nella Bibbia ebraica non troviamo un termine analogo al nostro «libertà». La nozione di libertà, intesa come la capacità di autodeterminazione personale, esercitata attraverso la possibilità di prendere decisioni e agire di conseguenza, nasce all’interno dello sviluppo democratico nella Grecia antica, con una connotazione che potremmo definire laica, priva di sfumature religiose. Nonostante significhi all’origine «affrancamento dalla schiavitù», la parola greca eleuthería non ricorre neppure una volta nella traduzione greca del libro dell’Esodo.
L’attestazione offerta dal Primo Patto presenta la libertà come un’azione liberatrice all’interno di una visione religiosa: il soggetto dell’azione liberatrice o di riscatto da una situazione di prigionia è soltanto il Dio d’Israele, in una modalità totalmente gratuita che non ammette un contraccambio di pari valore. Troviamo spesso nei salmi, frasi come la seguente: «il Signore mi liberò dando pace alla mia vita» (Sal 55,19). Questa visione si radica nell’esperienza vissuta in Egitto e narrata nel libro dell’Esodo, narrazione paradigmatica per la storia d’Israele, confermata ogni anno attraverso la celebrazione del rito pasquale. La memoria rituale dell’azione liberatrice di Dio conferma Israele nella certezza di fede che Dio è sempre pronto a liberare il suo popolo. In ogni situazione critica attraversata lungo la storia, la memoria dell’evento accaduto in Egitto apre all’invocazione per un nuovo intervento liberatore da parte del Signore, nell’attesa di una liberazione definitiva, collegata con la fine dei tempi, in una chiara dimensione escatologica.
La narrazione dell’Esodo, tuttavia, presenta un passaggio fondamentale, messo in evidenza dall’esegeta G. Auzou. Israele non passa dalla schiavitù alla libertà, ma dalla schiavitù sotto il faraone d’Egitto al servizio verso Dio. La liberazione e il seguente cammino nel deserto costituiscono Israele come popolo dedicato al servizio verso il Signore Dio. È decisivo dare un nome a questo passaggio, che fa identificare la libertà come servizio verso il Signore: «Io sono il Signore, vostro Dio, che vi ho fatto uscire dalla terra d’Egitto per essere il vostro Dio» (Nm 15,41).
A partire dall’esperienza narrata nel libro dell’Esodo, l’idea biblica di libertà si configura come una libertà che ha un fine preciso, un orientamento di senso, alla luce di una novità radicale, il servizio di Dio come popolo a lui consacrato. La prospettiva viene confermata e ripresa dalla tradizione ebraica, come mostra un commento rabbinico al salmo 113. Il primo versetto del salmo «Lodate servi del Signore, lodate il Nome del Signore» (Sal 113,1) viene interpretato così: «Lodate servi del Signore, e non più schiavi del faraone». La liberazione dalla schiavitù del faraone conduce alla confessio laudis verso Dio, nella quale si manifesta il dono dell’essere divenuti servi del Signore.
Il dono della figliolanza
Ma è stato fatto notare un ulteriore passaggio, secondo i nomi del libro. Esodo appartiene alla versione greca del testo ebraico, che prende nome dalle prime parole: «Questi sono i nomi dei figli d’Israele» (Es 1,1), abbreviato in «Nomi». Esodo nella versione greca, Nomi nell’originale ebraico precisano il medesimo contenuto del libro secondo due prospettive diverse e convergenti. Come già accennato, Esodo mostra il passaggio dalla schiavitù del faraone al servizio di Dio. Nomi allude al fatto che gli israeliti ricevono un nome, segno della liberazione ricevuta. La categoria biblica che più esprime la realtà di uomini liberi è l’essere “figlio”. L’uomo libero è il figlio: vive nella casa dove è nato in una condizione diversa da quella del servo. La stessa parabola del padre misericordioso (Lc 15,11-32) mette in gioco queste due modalità di presenza. Ricevere un nome implica l’essere liberati, rimanda alla figliolanza ricevuta in dono. I figli d’Israele hanno un nome perché liberati, sono figli di Dio. Il passaggio dalla schiavitù in Egitto al servizio verso Dio conduce al cammino attraverso il deserto, dove Israele riceve il dono della Legge. L’osservanza delle dieci parole ricevute sul Sinai attraverso Mosè conduce Israele ad agire secondo la condizione di popolo scelto e consacrato al servizio del Signore, a vivere come primogenito, secondo la parola stessa del Signore: «Israele è il mio figlio primogenito» (Es 4,22-23). Al termine del cammino sta l’ingresso nella terra promessa, dimensione escatologica della libertà ricevuta.
Il libro dell’Esodo è stato definito il “vangelo del Primo Patto”. Fin dalle origini la tradizione cristiana l’ha ripreso come figura e profezia della realtà battesimale, attraverso la quale saremo condotti alla «libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21). L’evento cristologico è determinante per questa ulteriore comprensione del senso biblico della libertà. Gesù si presenta come via, verità e vita (cf Gv 14,6). Gesù è via nella sequela del suo stile di vita, al quale sono invitati i suoi discepoli, servendosi della libertà come servi di Dio (cf 1Pt 2,16), chiamati a contemplare l’esempio di Cristo, seguendone le orme (1Pt 2,21). Gesù è verità come meta del cammino di liberazione del popolo di Dio: la prima lettera di Pietro applica l’esperienza dell’Esodo alla nuova comunità dei discepoli di Gesù, in prospettiva battesimale (1Pt 2). Gesù è vita perché il cammino di liberazione sotto l’azione dello Spirito conduce ad una sempre più profonda cristificazione. L’apostolo Paolo lo attesta con forza nella lettera ai Galati. Liberati da Cristo per la libertà (cf Gal 5,1), viviamo dello Spirito per camminare secondo lo Spirito (cf Gal 5,25). Siamo stati chiamati a libertà per metterci al servizio degli altri attraverso l’amore (cf Gal 5,13). Perché «tutta la Legge trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Gal 5,14). Abbiamo qui conferma e compimento della tradizione d’Israele. I discepoli di Gesù non sono solo liberati da qualcosa, ma resi liberi per qualcosa. Questo qualcosa, meta di un’esistenza vissuta nella libertà, si colloca proprio nella sequela di quel Signore e Maestro che ci ha lasciato un esempio lavando i piedi ai suoi discepoli, gesto profetico della passione che stava per attraversare, compimento di un amore vissuto sino alla fine.
Come Gesù
Alla luce del percorso proposto, il cammino della libertà si configura come una progressiva assimilazione alla vita di Gesù. La tradizione cristiana la chiama «cristificazione», ponendo l’accento sull’opera dello Spirito che ci trasfigura attraverso le azioni sacramentali, fin da quel battesimo che costituisce “figli nel Figlio”. Ma non possiamo né dobbiamo sorvolare sulla dimensione esistenziale che viene messa in gioco dallo stesso Gesù, quando nella sinagoga di Nazaret proclama compiuta nella sua presenza la profezia dell’anno di grazia del Signore (Lc 4,18-19). L’annuncio cristiano di un cammino di libertà/liberazione si fonda sull’evento decisivo ed escatologico della Pasqua di Cristo. Il dono dello Spirito opera sul corpo di Gesù e rende partecipi i suoi discepoli della medesima trasformazione, verso una pienezza di vita che non si limita alla propria esistenza, ma si espande nel mettersi al servizio degli altri, nell’attesa escatologica del Regno di Dio. Il Regno si compie lungo la storia là dove il dono della libertà si rivolge ai bisogni dell’altro, inverandosi nella pienezza di vita per ogni donna e uomo che vengono al mondo.