Anche il mondo della missione si prepara a celebrare a Torino il proprio Festival, per dare concretezza alla sollecitazione di papa Francesco nella Evangelii Gaudium: «Io sono una missione su questa terra».
di Saverio Orselli
Festival senza spada
In missione per conto di Dio
Alla voce festival, il vocabolario Treccani ci ricorda che il termine è una interessante forma di contaminazione, un po’ inglese, un po’ francese antico, con un pizzico di latino medievale e richiama una “Festa popolare, spesso all’aperto,
con musiche, balli, luminarie” o una “Serie di manifestazioni e spettacoli, musicali, teatrali, cinematografici, per lo più periodici”.
A giudicare dal panorama festivaliero italiano, la formula risulta vincente e appassiona sia il pubblico che gli organizzatori. È questo senza dubbio il caso del Festival Francescano, giunto alla diciassettesima edizione (ormai alle soglie della maggiore età) di cui si parla in un’altra parte di MC, con gli organizzatori che vi trovano uno spazio fenomenale per raccontare, attraverso i tanti protagonisti coinvolti, la loro visione francescana della realtà e con il pubblico che scopre aspetti e testimonianze interessanti nelle proposte del programma.
Un festival, tre edizioni
Anche il mondo della missione ha il suo Festival, per portare tra la gente i temi missionari attraverso incontri, spettacoli, proiezioni e dibattiti. Nato più di recente rispetto a quello francescano e non sviluppato con una cadenza annuale, il Festival della missione, fino ad ora legato al mese di ottobre, il mese missionario, sta per tornare. Quello che cercherà di portare vivacità missionaria a Torino dal 9 al 12 ottobre, sarà il terzo Festival, dopo quello che si tenne a Brescia nel 2017 e il secondo, realizzato a Milano nel 2022, con in mezzo una pandemia – è bene non dimenticarlo – con tutte le manifestazioni in grado di richiamare gente messe in difficoltà dai rischi di contagio.
Il primo esperimento bresciano fu incentrato sul termine “missione”, con un programma semplice, fatto di testimonianze ed esperienze in parrocchie e monasteri, meditazioni sul futuro della missione ad gentes, spettacoli per le scuole e studenti coinvolti in attività missionarie, mostre fotografiche e concerti e, ultimi ma non ultimi, momenti di preghiera missionaria.
Notevole l’evoluzione mostrata già con la seconda edizione milanese, con gli organizzatori rinfrancati dal successo del primo Festival su un tema, quello missionario, che potrebbe sembrare distante dagli interessi dei tempi che stiamo vivendo. La scelta di proporre la missione attraverso un titolo più accattivante, ottenuto con un bel gioco di parole, Vivere perdono, ha caratterizzato l’intero programma dell’edizione milanese. «Il mondo missionario italiano porta al centro le periferie, attraverso la prospettiva coraggiosa del “Vivere per dono”, in un cammino da fare insieme… Nel secondo Festival della Missione siamo invitati a riflettere e ad allargare lo sguardo, abbracciando con occhi di fratelli e sorelle il Sud del mondo», scrivevano gli organizzatori proponendo un programma fitto di incontri, con personaggi interessanti tanto per le idee quanto per le testimonianze di vita proposte. Molti di loro, presenti a Milano, hanno condiviso la piacevole fatica di proporre il Festival Francescano dal 2009 ad oggi, intervenendo nelle varie edizioni e, in alcuni casi, lo faranno anche nella prossima a settembre. Tra tanti altri, ricordiamo Alberto Ravagnani, Alex Zanotelli, Mario Calabresi, don Luigi Ciotti, don Dante Carraro, il card. Matteo Zuppi, Nello Scavo, Marta Cartabia, don Luigi Verdi, Guidalberto Bormolini, Daniele Mencarelli, Andrea Monda…
Officine della pace
Eccoci quindi arrivati al terzo Festival con la missione protagonista. «In continuità con l’ispirazione tematica del 2022, alla luce del Giubileo 2025 ‘Pellegrini di speranza’ proposto da Papa Francesco, è stato scelto come tema del FdM25 il VoltoProssimo», riporta il comunicato di presentazione, rimandando a giugno la definizione del programma degli incontri, che, alla luce dell’edizione milanese, si preannunciano stimolanti.
Tra le iniziative già avviate nell’ambito del prossimo Festival della missione, c’è il progetto Officine di Pace, indirizzato in particolare ai ragazzi dai 16 ai 19 anni. Un progetto quantomai attuale e necessario, che, attraverso cortometraggi internazionali sul tema della pace, l’utilizzo di materiali didattici legati ai principi della nonviolenza e alla realizzazione di un video per una campagna social sul tema della pace, cercherà di “Educare alla pace e al dialogo attraverso creatività e riflessione”.
Un particolare interessante, sviluppato nelle tre edizioni del Festival, è il logo con cui la manifestazione si presenta al pubblico. Nel 2017, accanto alla scritta Festival della missione era presente un disegno che ricordava una sorta di scala a chiocciola, con i gradini triangolari di quattro colori posti a spirale, che sembravano invitare a entrare e scendere nel cuore del tema. A partire dall’edizione milanese, l’idea di missione, confermata per la prossima di Torino, è stata rappresentata da un mondo stilizzato, composto da cinque fili colorati, che rappresentano i cinque continenti, la diversità e tutti i popoli. Questi fili, attraverso un movimento dinamico e intrecciato, formano il mondo in un abbraccio avvolgente. I fili colorati si srotolano “dal basso” e, uniti, formano la parola ‘Missione’, simboleggiando che la missione si realizza insieme e cammina sempre a fianco degli «scartati» della storia, come ricordano gli organizzatori. Una scelta che risulta molto efficace e che conferma il bisogno di abbracciare il mondo che ha caratterizzato e continua a caratterizzare i missionari.
Prossimo… a chi?
Tornando al titolo della prossima edizione - il VoltoProssimo - vale la pena approfondire le considerazioni proposte nella presentazione: «A chi mi faccio prossimo? Difficile definire cosa si intenda per missione. L’interrogativo, posto dallo stesso Gesù a ogni donna e uomo del suo e di tutti i tempi, indica, però, l’orizzonte ai discepoli-missionari. La domanda assume drammatica urgenza nel presente spezzato dai muri, ferito dalla Terza guerra mondiale a pezzi, minacciato dal riscaldamento globale».
Ogni parola ha un significato importante. Così ci viene ricordato che “Prossimo (che può significare anche qualcosa che sta per accadere, che ha a che fare con l’immediato futuro, in altri casi si riferisce al tempo indeterminato o a un legame di parentela… nel Vangelo significa uniti dal vincolo della carità) deriva dal superlativo del termine latino ‘prope’, il più vicino. A chi mi faccio più vicino, dunque? Ma prossimo indica anche l’estrema affinità, l’identità di sostanza fra le creature, le quali racchiudono un frammento del Creatore. Tutti, in questo senso, siamo prossimi. Una consapevolezza che, però, si acquisisce nel movimento di ‘farsi più vicini’ a quanti teniamo spesso a distanza, geografica ed esistenziale. Proprio come al sacerdote e al levita, le ‘buone’ ragioni non mancano per discriminare gli esseri umani in base a categorie di censo, passaporto, genere, condizione esistenziale. Il Samaritano, però, le ribalta con il più semplice e il più missionario dei gesti: l’approssimarsi a chi trova per la strada. Un volto tumefatto nelle cui fattezze sfigurate riesce a scorgere il Volto.
Volto è una parola densa, in cui l’accento relazionale dell’ebraico ‘panim’, si fonde con i singolari facies, latino, e prosopon, greco, che sottolineano l’essenza della persona. Il volto è la soglia prima ed estrema tra interiorità e realtà esterna, luogo per antonomasia di svelamento del sé e di incontro con l’altro. ‘Il cristianesimo è incrocio di sguardi, religione dei volti: volto di Cristo sfigurato e trasfigurato, volto del discepolo che può vedere perché è stato visto, volto del povero, sacramento di Dio, volto di ogni essere umano, creato a immagine di Dio...’ (Bruno Chenu).
L’articolo ‘il’ è minuscolo per mettere l’accento su Volto e Prossimo: due sostantivi ‘legati’ in un’unica parola con il filo che cuce insieme le creature tutte. Il filo del gomitolo che ogni giorno dipanano nel mondo i missionari e le missionarie, quanti, cioè, si fanno prossimi.
Arrivederci quindi a Torino.