Più m’industrio nella ricerca di “fatti di evangelizzazione”, più mi si confondono le idee in proposito, ci capisco sempre meno. Il che, forse, è positivo, perché è stato così che è nata l’idea di chiedere a fra Fabrizio Zaccarini di raccontarci che senso danno, nella sua fraternità di Santa Margherita Ligure, alla parola “evangelizzazione”. O nuova evangelizzazione. Lì, dove accolgono giovani, e meno giovani, uomini che chiedono di sperimentare la vita cappuccina per capire se fa per loro.

Lucia Lafratta

Ogni cosa è illuminata

La fraternità di Santa Margherita Ligure accompagna i giovani nel loro cammino di discernimento

di Fabrizio Zaccarini
maestro dei postulanti cappuccini a Santa Margherita Ligure

Image 186Nipotini in partita doppia

Se mio figlio diventa frate, come faccio io a consolarmi degli ipotetici nipotini che Dio mi ha disonestamente negato? Dopo i primi e, forse, anche i secondi… momenti di sconforto, mia mamma, avendo toccato con mano che i nipotini non ipotetici, insieme a sovrabbondanti quantità di gioia, alle nonne danno anche qualche fatica, prima ha accettato che ci siano anche ipotesi, nipoti (e nuora…) che non si concretizzano, poi ha imparato a consolarsi con poco. Le piace, ad esempio, vedere il nome di suo figlio stampato sulle pagine di MC. Così, che ci crediate o no, non trovarmi nominato nelle tavole delle fraternità uscite la scorsa estate su queste pagine, per lei è stata una delusione non proprio piccola, ma che ho potuto vincere facilmente: Fabrizio Zaccarini, il nome concupito, stava giustamente in fondo, tra quelli dei frati che attualmente risiedono fuori provincia: infatti, dal 13 settembre del 2010 io me ne sto in riviera, nel convento di Santa Margherita Ligure, a 4 km da Portofino e 30 da Genova.

Perché qua? Dopo un breve periodo di vacche grasse tra anni ’90 e primi anni Duemila, la varia umanità che bussa alle porte dei nostri conventi per chiedere di poter sperimentare la vita francescano-cappuccina, negli ultimi otto anni sta tornando, con implacabile continuità, a smagrire lo spessore quantitativo delle proprie “schiere”. Il fenomeno, conosciuto come “crisi vocazionale”, era in atto già negli anni ’70 e ’80, rendendo più difficile oggi il ricambio generazionale. Si tratta, com’è noto, di un’esperienza comune in occidente a tutta la vita religiosa. Del resto, da tempo son vuote molte culle, non è normale che vuote siano molte chiese e stanze di convento? Pochi frati dentro al convento, pochi quelli che chiedono di entrarci, e così, tutte le province cappuccine italiane hanno assunto la necessità della collaborazione interprovinciale, soprattutto nell’ambito della formazione iniziale. Lombardia e Veneto (nord-est), ad esempio, stanno collaborando tra loro per tutto l’arco della formazione iniziale; noi frati emiliano-romagnoli, liguri e piemontesi (nord-ovest), collaboriamo con loro, realizzando, per i tre anni successivi al noviziato, l’unità di tutto il nord-Italia (ma Bossi e Maroni qui non centrano…). Per il postulato e il noviziato, invece, noi del nord-ovest (per ora) facciamo da noi. Passo ulteriore: fra Mauro Jöhri, appena eletto nostro “generale”, cioè responsabile dei cappuccini a livello mondiale, ci sfidò così: «Le case di formazione sono interprovinciali? Sì? Allora, non solo i formandi, ma anche i frati della fraternità stabile dovranno venire dalle province collaboranti». Collaborazione ora si dice “abitare insieme”, nello stesso convento!

Sfida e/o necessità

Sfida entusiasmante per noi frati, pigramente aggrappati alle consuetudini, elevandole troppo frettolosamente al rango di identità e tradizioni. Sfida cui siamo costretti dall’emergenza? No, non vedo la cosa solo così. L’emergenza è stata l’occasione storica (se posso osare mi spingerei a dire provvidenziale), che ci ha permesso di aprirci al dono della collaborazione, che vedo, dunque, come un valore. Io non vi rinuncerei neanche se, un ipotetico e per ora improbabile domani, i nostri conventi fossero fitti come formicai. Non so quanti provinciali firmerebbero nero su bianco questo profetico proclama, tuttavia, nel nuovo progetto formativo, anche loro hanno scritto che la collaborazione tra diverse province aiuta «ad acquisire una mentalità di condivisione e di confronto che tende a superare ogni forma di chiusura e di autosufficienza», offrendo l’opportunità di aprirsi «al senso di universalità dell’Ordine». Per chi deve fare discernimento, d’altra parte, allontanarsi qualche centinaia di km da casa non è uno strumento provvidenziale, o addirittura indispensabile, per misurare la fondatezza della propria ipotesi di ricerca vocazionale?

Io, fra Piero, originario di Trivero (Biella), appartenente alla provincia di Torino, e gli altri frati, ognuno secondo compiti e capacità specifici, qui a Santa Margherita Ligure, ci occupiamo dei “postulanti”. Postulante è colui che “postula”, cioè chiede, di poter iniziare il noviziato per continuare il discernimento vocazionale iniziato in casa d’accoglienza. Quella domanda la si matura in un anno di cammino, qui con noi. E qui inizia il bello. Perché, capite, fare il formatore è un po’ come tirar su figli; nella fede e nella vocazione, ma figli. E i figli, ogni padre ed ogni madre lo sa, non si educano senza faticosamente, ma soprattutto fecondamente, decentrarsi da sé e dai progetti propri. L’ho capito subito. I postulanti erano arrivati il primo ottobre, io da circa quindici giorni. Il giorno dopo volevo andarmene a Reggio Emilia al Festival Francescano. Non era il caso che loro, appena arrivati qua, andassero via. Allora mi bastò fare 2+2 per capire in che situazione mi trovavo: se tua moglie ha appena partorito e tu, a lei e al pupo, vuoi, come si spera, un po’ di bene, non li molli per andare a veder la partita allo stadio. Così neppure io sono partito per Reggio e il Festival l’ho salutato da lontano. Non me ne è derivato alcun senso di soffocamento da arresto conventuale, anzi: mai come allora ho sperimentato che la castità per il Regno dei cieli non è davvero una scelta di mutilazione, ma di fecondità, trasfigurata e moltiplicata, impegnativa, certo, come ogni cammino di sequela dietro a Colui che per noi ha dato la vita.

Il segno della fraternità

Di questa generazione di vita nuova il formatore non è il protagonista. È evidente! Solo Dio Padre per mezzo del suo Figlio, dona lo Spirito e la vita nuova a coloro che dietro all’Agnello ucciso e vivente si sono messi per via. In questa dinamica io posso svolgere solo il ruolo di testimone-segno che conferma: con tutte le proprie fragilità, ambiguità e ferite, ci si può davvero aprire, giorno per giorno, nella gioia e nella serenità, a questa vita che viene dall’alto. Anche Maria, del resto, prima di dire il suo «Eccomi» ha avuto bisogno di sentirsi dire dall’angelo che la cugina Elisabetta, benché sterile, era già al sesto mese di dolce attesa. E io pure, per dire il mio «Eccomi», ho avuto bisogno di prendere accurate misure, critiche ed emulative, al sì di una piccola schiera di testimoni e formatori. Ed è poi giusto dire che io sono un testimone-segno? Il segno, più del singolo, non è la fraternità? Oh, sì, questo suona meglio! La fraternità è il segno… ma, poiché questa è fatta di persone concrete, aggiungo che le persone che la compongono lo sono, nella misura in cui mettono tutto se stesse a servizio di quel cantiere in continua e quotidiana (ri-)costruzione che è la fraternità. E dunque né io, né Piero, potremmo essere davvero formatori se non fossimo sostenuti da una fraternità accogliente e collaborativa, come quella che Dio stesso ha voluto donarci. E allora se la fraternità è fatta di volti, voglio raccontarvi volti e voci della mia fraternità arlecchina.

Il guardiano, fra Glauco, è originario di Forte dei Marmi e appartiene alla provincia ligure. Dispensa maternamente consigli applicati di fisiognomica, farmacologia, erboristeria. Controlla spesso glicemie e pressioni varie, tenta di renderci consapevoli di qualche sintomo (un orecchio troppo rosso, un occhio troppo piccolo), che potrebbe essere motivo d’allarme precauzionale. Dirige il conversare dei pranzi e delle cene con l’attenta sovranità di un direttore d’orchestra e se qualcuno stona, «fratelli, parliamo di cose belle». Con i proverbi della nonna Dina, di Firenze, diffonde saggezza popolare, del tipo: «le acque chete rovinano i ponti»; «se la carrucola non si unge non gira» e, infine, il classicissimo: «finché ci s’ha di denti in bocca, non si sa quel che ci tocca».

Il vicario, fra Piercarlo, di Nizza d’Asti, frate della provincia di Alessandria è il nostro sommelier. Dolcetto, barbera, o freisa che sia, il vino delle sue zone innaffia le nostre feste. Responsabile della mensa dei poveri, cerca di destreggiarsi tra i loro bisogni e i loro sotterfugi. Cappellano dell’ospedale di Rapallo, conserva una passione ardente per la pastorale della salute, cercando di coinvolgervi laici sensibili, e per la vita di fraternità, in particolare per il capitolo locale e per la revisione di vita. Di fronte alle contraddizioni del mondo conosce improvvisi scoppi d’innocua, umana, e simpaticissima ira, che manifesta stringendo i pugni, girando gli occhi all’insù ed esclamando da buon piemontese, a denti stretti, «boia faus», che tradotto suona «falso d’un boia».

Signore della bietola, della borragine e di ogni altra erba o verdura che cresce nel nostro orto, fra Michelangelo, produce variopinti rosari che fa arrivare in tutto il mondo, dalla Siberia agli Stati Uniti. È il maestro dei racconti del tempo che non c’è più. A Vene, colline di Finale Ligure, la casa della famiglia d’origine si affaccia su una gola vertiginosa. Lui prima di diventar frate, dal paese lassù ci saliva a fianco della Nina, la sua asina bella e obbediente come la neve. Strappava la terra alla montagna a forza di mine, muri a secco e mano d’acciaio. Per la reciproca confidenza, davanti alla sua zappa, la terra si apre come burro. Michelangelo ricambia sostenendo che: «nel mondo c’è corruzione e cattiveria perché stiamo troppo lontani dalla nostra grande madre, la terra!».

Il vicemaestro ed economo, fra Piero, ha domato il registro economico della fraternità e quello degli alimentari che ci vengono forniti dal Banco Alimentare. Tempi, strategie, obiettivi formativi, sì e no da distribuire secondo bisogno, li concordiamo insieme, trovando facilmente un’intesa. Con lui condivido anche l’interesse per il calcio e il tifo per la Juventus. Sta lottando con il pensiero di René Girard e i suoi capri espiatori per portare a termine la tesi di licenza in teologia morale ad indirizzo sociale. Ama i treni, di cui conosce una quantità di cose, e l’ornitologia, ma trova troppo numerosi i piccioni, che cerca di tener lontani dal convento godendo, per questo, della massima gratitudine di fra Michelangelo. Ha assimilato l’arte del “pernacchio” dal docente dott. Eduardo de Filippo.

Image 191Tour operator dello Spirito

Di me ho già detto troppo. Piuttosto, perché questo articolo nella rubrica sull’evangelizzazione? Ecco, appunto, forse non l’ho capito neppure io e adesso, dopo averla fatta fuori dal vaso, mi tocca giustificarmi. Un signore, abilissimo cuoco, abituato a organizzare spesso grandi cene in questo convento prima che diventasse casa di formazione, protestava con me perché adesso di cene se ne fanno davvero poche. «Qui ci sono i postulanti», diceva «va bene, ma cosa fanno tutto il giorno dentro al convento?». Ho risposto che non è più come un tempo che arrivavi in convento a diciotto anni passando prima per il collegio, e il mondo di fuori affascinava e faceva paura. Ormai si bussa ai conventi almeno dopo i trent’anni. “Fuori”, queste persone ci sono state tanto, adesso sono dentro al convento a verificare se davvero hanno “qualcosa” dentro di sé. Come frati appartenenti alla fraternità di postulato interprovinciale siamo un po’ come dei “tour operator” dello Spirito, accompagniamo esploratori desiderosi di affacciarsi sul loro “dentro”.

Il gruppo vocazione (non vacanza) che ci è stato affidato quest’anno era di sei persone ed è sceso lungo il percorso a tre. Il fatto che qualcuno abbia ritenuto di non dover proseguire, non ci fa sentir falliti. Non riteniamo d’essere fabbricatori di frati, ma accompagnatori di fratelli in un’ulteriore tappa del loro cammino di discernimento vocazionale. Pensiamo che questo percorso non possa prescindere da un approfondimento del cammino di fede e di umanizzazione. Sperimentiamo che non si tratta di binari indipendenti, ma di un circolo virtuoso che da qualsiasi parte lo prendi comunque ti conduce al più bello dei figli dell’uomo, il Cristo, paradigma di abbandono in Dio, e di umanità pienamente integrata. Francesco, «modello ispirativo nel realizzare un dinamico equilibrio tra accettazione e superamento di sé, tra interiorità personale e condivisione fraterna», ci aiuta a riconoscere in lui la nostra identità più profonda. Incamminarsi su queste strade è già vangelo.

Perciò a noi pare che anche così, con un gregge di tre persone e qualche parroco da aiutare all’occasione, si possa essere evangelizzatori. In ogni caso, speriamo di aver aiutato ciascuno a guardar con fiducia e serietà alla propria vita. Se chi è rimasto dovesse andare in noviziato… ci auguriamo che parta col cuore pieno di curiosità per il Signore e per la vita consacrata in chiave francescano-cappuccina. Assunto come proprio il cammino della riconciliazione con Dio, con se stesso e con i fratelli, nello Spirito potrà dire che «ogni cosa è illuminata».