Nel secolo scorso, Marc Chagall ha ispirato l’artista cappuccino Agostino Venanzio Reali; ora ha attirato l’attenzione di Antonello Ferretti, che ne sta parlando con competenza ed entusiasmo in diversi nostri conventi e ha organizzato visite culturali al suo museo di Nizza. Qui ne parla ai nostri lettori. Ricordiamo poi anche il  confratello mons. Ruggero Franceschini, vescovo emerito di Smirne.

a cura della Redazione di MC

 Bella, il popolo e il villaggio

I tre amori di Marc Chagall

 di Antonello Ferretti
frate cappuccino, animatore culturale a Reggio Emilia

 Quando la parola sembra aver esaurito la propria funzione ecco sorgere l’immagine, quell’insieme di luce, colori e simboli che  raccontano e portano ad avvicinarsi al Bello che – come ricordava Platone – è lo splendore del Vero.

Tu sei bellezza, scrive Francesco d’Assisi rivolgendosi a Dio. Queste ed altre suggestioni hanno iniziato circa un anno fa a ronzarmi nella mente e pian piano si son concretizzate in serate (una al mese) in cui si riflette attraverso l’arte su tematiche prevalentemente bibliche o francescane. E poiché da cosa nasce cosa, e le persone raccontano quanto vissuto, ecco che tali incontri si sono diffusi in diversi contesti, conventuali e non, oltre Reggio Emilia (luogo in cui vivo).

 Mica sogni

Trenta monete ed un gallo” (serata dedicata alle figure di Giuda e Pietro nel vangelo ed in particolare nella passione) e “I tre amori di Marc Chagall” sono state due delle proposte che hanno suscitato maggior interesse. La giornata della memoria del 27 gennaio scorso e lo spazio dedicato al dialogo con l’Ebraismo nell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani: questi i due motori da cui è partito l’interesse per la ricerca e la realizzazione di un discorso organico su questo pittore.
Nato a Vitebks (paese dell’attuale Bielorussia) nel 1887, Marc Chagall ha aderito (come buona parte dei semiti europei) al Chassidismo , cioè a un movimento basato sul rinnovamento spirituale dell’ebraismo ortodosso, La corrente si sviluppò principalmente tra gli ebrei dei Paesi slavi e si poneva come obiettivo quello di traslare nel quotidiano ogni aspetto del misticismo ebraico. Musica e contemplazione della natura diventarono strumenti per avvicinarsi a Dio andando oltre la rigida osservanza della Torah; tutto ciò permetteva una visione più semplificata ed armoniosa della vita come ci raccontano le sue tele (apparentemente infantili e di facile lettura) nei mille simboli che contengono.
Violinisti sui tetti, persone che volano tranquille in cielo o scappano terrorizzate da incendi stringendo al petto la torah, galline volanti o capre beffarde sono solo alcune delle realtà rappresentate. Questi elementi han portato spesso insegnanti un po’ sprovveduti a presentare Marc come il pittore dei sogni e della fantasia… Ma non è così. La vita, ci racconta Chagall, non è  una passeggiata lungo un comodo marciapiede, ma un trovarsi ad essere equilibristi su un tetto spiovente (come erano quelli delle casette in legno “sgangherate” di Vitebks) dal quale è molto facile scivolare... Ma per fortuna ecco la presenza di un violinista sui tetti, rende tutto più facile e sereno e ci permette di affrontare le difficoltà della vita avendo Dio vicino.
E le povere capre, sempre simbolo di dolore e tristezza? Nei racconti dei narratori ebrei dell’Europa orientale questo animale è paragonato al popolo spesso sofferente per le persecuzioni che ha dovuto subire. Si aggiunga il fatto che nel 1910, anno in cui la produzione di Chagall iniziava ad esser conosciuta ed apprezzata, il poeta Umberto Saba (ebreo triestino) scrive una famosa poesia dal titolo “Una capra” in cui evidenzia come anche un animale come la capra, che noi riteniamo non sia in grado di soffrire, sia invece lacerato da una condizione interiore di dolore e diventa simbolo di un dolore cosmico.

 La profondità dei simboli

Molto meglio le cose vanno per i galli e le galline. Il gallo canta ogni mattina e dà la sveglia come viene ricordato in alcuni testi di preghiera della liturgia sinagogale. Anche il gallo allora sa che arriva il giorno, ha una intelligenza sua propria e sa che bisogna pregare e lo fa come la sua natura gli consente di farlo: cantando. Tanto più l’uomo dovrà iniziare la sua giornata con la preghiera al proprio Dio creatore attraverso i testi della Scrittura.
Oltre agli animali, il mondo chagalliano è un mondo volante... Spesso capita di vedere persone abbracciate in cielo o che si innalzano da terra o sbucano all’improvviso dai tetti delle abitazioni con grandi sacchi sulle spalle. “L’amore fa volare!”, mi disse alcuni anni fa un bambino mentre ascoltava i miei racconti sui quadri di Marc. Aveva colto benissimo uno degli aspetti del volo chagalliano, soprattutto se riferito alla bellissima storia d’amore vissuta tra il pittore e la moglie Bell (che morirà ancora giovane dopo esser stata la sua compagna di vita e musa ispiratrice). Ma il volo non è solo questo.
L’essere ebreo, vissuto nell’epoca della Shoa, ha costretto Marc ad esser in continuo esodo, a volare da un luogo all’altro (nel 1941 dovette fuggire con la famiglia in America da Parigi per sottrarsi alle leggi razziali), ad essere un cittadino del popolo dell’aria, come lui definiva il popolo dei ghetti. Gli uomini dell’aria erano gli umili artigiani o operai del ghetto che devono impratichirsi di molti mestieri per poter in un qualche modo sopravvivere e passavano di città in città divenendo in un qualche modo un popolo dell’aria. E allora il tema del volo rappresenta appieno il senso di vertigine, della perdita delle proprie radici e della mancanza di stabilità.
Il volo porta lontani dal proprio paese di origine, da Vitebks dalle casette in legno dai tetti spioventi che sempre tornano nelle tele di Chagall. Il senso della terra, della appartenenza sono in lui fortissimi tanto che scriverà nel 1947: «Ciascun pittore è nato da qualche parte, e, anche se in seguito reagisce alle influenze di nuovi ambienti, una certa essenza, un certo profumo del suo paese natale persisterà sempre nel suo lavoro... Gli influssi originari determinano la scrittura dell'artista».

 L’ebreo che dipinge crocifissi

E poi … nei quadri di un pittore ebreo, profondamente ebreo, nato e morto ebreo, ti ritrovi spesso e quando meno te lo aspetti faccia a faccia con dei crocefissi. Se li osserviamo bene, son sempre ritratti con il tallit (scialle della preghiera ebraica) come perizoma e quasi sempre accompagnati da menorah e rotoli della torah… Queste rappresentazioni si impongono con forza a partire dagli  anni della Shoa. Coraggiosamente, Chagall in Cristo fa convergere la tragedia del suo popolo e con esso di tutta l’umanità. È una scelta che trascende la dimensione storica del dramma e lo proietta in una invece biblica, in cui il dolore si confronta con la fede.
Nella Crocefissione bianca, ai piedi del crocifisso si trova una curiosa menorah. Essa non ha sette braccia e sette candele (che rappresentano i giorni della creazione descritti nella Genesi), ma sei e la sesta candela è spenta. Come può essere accesa la luce che dovrebbe simboleggiare la creazione dell’uomo? L’uomo con le leggi razziali, con i campi di sterminio non c’è più, ha perso completamente la propria dignità ed il proprio essere. La settima candela, quella legata al riposo di Dio nel settimo giorno, non può esserci: Dio non c’è in una situazione così, è in cammino alla ricerca dell’uomo che è andato perso.
Con grande coraggio, in una ulteriore crocifissione, il pittore si autoritrae nel volto del Cristo e ai piedi della croce non stanno Maria e Giovanni, ma i suoi genitori. Anche la mia arte (pare dirci Marc) prende parte a questa grande grande sciagura e annullamento dell’umanità, e soffre e condivide.
Chagall, che abbandonò il suo piccolo paese di Vitebk nel 1923, vi tornerà solo nel 1972 e per quell’ evento dipinse uno dei suoi capolavori: il figliol prodigo. Nella piazza del paese si abbracciano un padre ed un figlio (che hanno i volti di Marc e del papà) e son circondati da tutto il paese in festa con violinsiti, galline volanti e capre sparse qua e là: il suo mondo.
E oltre che con il pennello, come fece tante altre volte, Chagall dipinse anche con le parole:

 Sono tuo figlio in terra
e cammino a fatica
tu m'hai riempito le mani
di colori, di pennelli
e non so come dipingerti
bisogna dipingere la terra, il cielo, il mio cuore
le città in fuoco, le genti che fuggono
i miei occhi in lacrime
dove bisogna fuggire, verso chi volare
quello che laggiù dona la vita
quello che manda la morte
forse sarà lui a fare
che il mio quadro s'illumini.