«Oggi affronteremo un argomento tosto!» annuncia Maura al cerchio dei partecipanti. «Eccolo: Il cammino della vita dalla nascita alla morte, che però noi – dal momento che siamo ancora tutti qui - possiamo liberamente tradurre in: il cammino della vita da quando sono nato ad oggi. Per accendere la miccia alle nostre condivisioni, vi propongo una canzone del 2017, molto conosciuta».

a cura della Caritas diocesana di Bologna

 

È finita la FESTA?

O “basta avere l’umbrela”?

 IL TÈ DELLE TRE

Mentre tutti i presenti vivono un momento di attesa curiosa, Maura con una mano allunga il testo scritto della canzone a Robert e con l’altra armeggia sul cellulare: la comprensione della lingua è importante nei nostri incontri.

Mi scopro intenerita ad osservare come anche nei più piccoli gesti di attenzione per gli altri, si realizzi una cura che viene da lontano e non dimentica nessuno. Quanto bene si può seminare in questo modo… Poi la voce di Fiorella Mannoia riempie lo spazio del cerchio e mi concentro: “…che sia benedetta. Per quanto assurda e complessa ci sembri, la vita è perfetta; per quanto sembri incoerente e testarda, se cadi ti aspetta. E siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta…”.

 Se penso alla fine

«Perché siamo partiti da qui?» chiede Maura allo spegnersi dell’ultima nota e prosegue: «Tutti noi abbiamo passato momenti in cui abbiamo benedetto e altri in cui abbiamo maledetto la vita, magari pensando pure di farla finire lì. Mi son tornate in mente le parole di Giobbe che addirittura nella Bibbia apre la bocca e dice: “Perisca il giorno in cui nacqui!” o quelle del profeta Geremia che dice “il giorno in cui mi partorì mia madre, non sia benedetto!”. Insomma persino ai personaggi della Bibbia, capita di disperare. Ma come può essere il cammino della vita?». Maura si alza di spinta, agguanta un pennarello e comincia a tracciare una serie di linee orizzontali sul cartellone: «Ecco: queste linee rappresentano le nostre vite: non dobbiamo poi dimenticare che anche chi ci sta intorno dà il suo contributo alla direzione che prendiamo».
 «Se penso alla fine» interviene Ivano «non posso dimenticare un episodio vissuto in ospedale, quando il signore a cui facevo da badante e consideravo come un secondo papà era ricoverato. Io ero accanto a lui in una stanza con più malati. Al nostro fianco c’era un uomo tanto anziano, che sicuramente stava morendo. Le infermiere verso sera sono venute a tirare la sua tenda, come a proteggerlo. Noi lo sentivamo ansimare. Ad un certo punto nella notte, è passata una ventata gelida, la tenda si è mossa, ancora un ultimo grande respiro e nulla più. Io sono corso ad abbracciare il mio secondo papà. Era terrorizzato e gli ho detto: “Stai tranquillo, stanotte non era qui per te”. Ecco, quell’esperienza mi ha insegnato che, se siamo ancora qui, c’è sempre un perché, un senso e che la vita va proprio vissuta così: fino all’ultimo respiro».
«Io non ho mai detto che volevo morire» dice Robert sventolando il foglio con le parole della canzone come fosse una bandiera. «Quando tu dici: “È impossibile!” io dico “No!” e quando anche io vedo che è impossibile, comunque ci provo. Spero sempre che va meglio. Sono caduto e mi sono rialzato, il 90% delle volte da solo, poi vado avanti. Questa è la vita».

 Questa, l’altra, comunque vita

«Ripenso a quando morì il mio papà, a cui ero attaccatissimo» ricorda Maurizio. «Lo andai a vedere dopo perché non avevo potuto stargli accanto nel momento cruciale: mi sono accorto subito che non era più lui! Ho pensato che quell’esperienza fosse proprio un regalo di Dio: ho pensato che volesse darmi la prova che la vera vita è quella dell’anima e senza anima non c’è vera vita. No, non sono spaventato all’idea della morte, proprio perché sono convinto che la vita più bella e vera non riusciamo a vederla da qui».
«Per me invece la vita bella è proprio questa» si fa avanti Biagio, convinto. «Nessuno è mai venuto dalla morte a qui per dirmi come è di là. Eh sì, io l’ho molto maledetta la vita, perché non fa tutti uguali. Non è mica giusto che c’è chi nasce per avere tutto e chi nasce per non avere niente, senza poter cambiare le sue condizioni. Poi certo: mi sono anche divertito alla grande e la vita allora era “benedetta”, ma poi mi guardavo intorno e maledicevo la vita di quelli che avevano tutto, senza dover far niente».
«Se la mia vita fosse una linea» prende la parola Carla «sarebbe una retta semplice: ho vissuto anche momenti di grande depressione. Il fatto è che nella vita si viaggia da soli e si deve anche pagare il biglietto, ma a volte la vita sa anche essere generosa e ci permette di viaggiare con quattro o cinque amici: saranno loro a parlare bene di noi nel giorno del giudizio! Questa secondo me è la più grande forza: non essere soli».
«Lavorando in un ambulatorio per senza dimora, io non ho mai sentito maledire la vita» è Carlo che prende la parola. «Magari c’è rabbia per cose contingenti: sembra strano, ma tutti hanno fretta e non vogliono attendere in sala d’aspetto, oppure pretendono le medicine senza voler farsi visitare… ma dimostrano un grande attaccamento alla loro vita, benché si trovino oggettivamente in gravi difficoltà. È un insegnamento per me!».

 Secondo gli occhi

«Io credo che la vita è bella e benedetta, oppure ingiusta e maledetta a seconda degli occhi che la guardano» ed è la voce di un’altra Carla che sentiamo. «Ho avuto una vita molto difficile e sofferente soprattutto da piccola, ma ho sempre cercato di imparare qualcosa. Proprio come se fosse una palestra, ogni giorno cercavo di migliorarmi nel riconoscere il bello ed ora che sono grande, sento di saper coglierlo anche quando la vita mi pone davanti a delle fatiche».
«Per me la vita è un’opportunità ed ognuno nasce due volte» interviene il giovanissimo Bob. «La prima volta, quando nasci veramente e la seconda quando trovi il tuo scopo. Allora, io non sono ancora nato in questo senso, perché sono un ragazzo, ma cerco di cogliere tutte le opportunità e ho capito che la vita si fa più bella e lieve quando riesci ad aiutare qualcuno. Vedere nell’altro emozioni positive è una grande gratificazione nel lavoro e nella vita».
«Il mio nome è Anthea. Sono nata in Grecia, ma da genitori albanesi che erano emigrati lì. Poi però mia madre mi ha portata via da quella casa dove era pericoloso per noi restare. Così, quindici anni fa, siamo arrivate qui in Italia. Sono ancora molto giovane, è vero, ma ho vissuto molti momenti bui. Se oggi sono qui, lo devo soltanto a mia madre che ha avuto coraggio anche per me. Quindi nei momenti più bui, quando senti che stai proprio affondando nelle tenebre, è importante avere qualcuno che ti prende per i capelli e ti dice: “ora tu resti qui!”».
«Io so di essere stata molto fortunata, perché i miei mi hanno portata in montagna fin da piccola» confessa Sara. «In montagna è così: guardi da lontano e la cima ti sembra irraggiungibile, poi ti avvicini e scopri che ci sono tanti appigli per andare su. Uno dopo l’altro li vedi e procedi, pian piano. La montagna mi ha lasciato questa impronta: in certi momenti le cose mi sembrano insopportabili, ma poi mi avvicino e capisco che posso affrontare tutto, con i miei tempi, cercando appoggi. La cosa importante però è non chiudersi, non spaventarsi e rimanere aperti alla vita che accade».
«La vita è complicata» riflette Giusy «ed io l’ho affrontata dando tanta importanza all’amore. Così ho vissuto tanti momenti positivi. Poi però l’amore mi ha anche spesso delusa e quindi ho sinceramente pensato che la vita facesse schifo. Ora che non sono più una ragazzina, sperimento che l’amore resta molto importante, ma è fondamentale nutrirlo verso me stessa. Solo così posso ritrovare un equilibrio giusto per vivere bene».
«Non so, io sono arrivata ad un certo punto della mia storia nel quale non percepivo proprio più alcun senso» interviene ancora Carla. «È stato allora che mi sono attorcigliata su me stessa. A volte giravo attorno ad un sassolino piccolissimo che io stessa facevo diventare una montagna mostruosa. Eppure, è in quei momenti che devi avere il culo di incrociare qualcuno: un amico, un parente, chiunque… anche il Tè delle tre va benissimo, perché ti fa ritrovare la forza e la volontà di guardare le cose da un’altra prospettiva. È così che anche io ho capito che basta solo alzare il piede, per superare il maledetto sassolino». 
Il pomeriggio è terminato e bisogna andare. Con gioia scopro di avere il passo più leggero.