Quando verrà il giorno

Un articolo, un sogno, una vita

 di Pietro Casadio
della Redazione di MC

 Nel mezzo del cammin della mia vita, mi ritrovo seduto su una sedia, fissando lo schermo con aria smarrita.

La situazione, nonostante le banali rievocazioni dantesche, è tutt’altro che culturalmente stimolante: le palpebre pesano sugli occhi, stanchi per una notte non proprio indimenticabile; la data di consegna dell’articolo si avvicina inesorabilmente; ho un leggero raffreddore e oltre la porta del mio studio, così diversa dalla siepe di leopardiana memoria, non mi immagino né sovrumani silenzi, né tantomeno una profondissima quiete, bensì un figlio piccolo malato e una moglie che cerca di badarlo e, contestualmente, di imbastire una lavastoviglie. La voce di Valeria che esclama «Oh mio Dio, Francesco!» me ne dà una conferma: quel piccolo furfante si deve essere di nuovo arrampicato in cima alle scale. E mentre cerco affannosamente di tornare con la testa all’articolo, obnubilato e realmente “pien di sonno”, incrocio le braccia sulla scrivania, chino la testa e sprofondo in un torpore carico di sogni.

 La fila

Una luce bianca e abbagliante mi avvolge. Un alito d’aria, fresca e leggera, mi batte sul volto. Ne gusto una boccata piena. Poi mi guardo attorno e davanti a me vedo una lunga lunga fila di persone. Tutti vanno nella stessa direzione, o meglio, tutti andiamo nella stessa direzione perché anche alle mie spalle la fila continua e io non trovo nulla di meglio da fare che adeguarmi all’itinerario. Qualcuno si lamenta del male alle gambe, qualcuno insiste perché sia fatto passare, perché ha tante altre cose di cui occuparsi, lui. I più aspettano con pazienza che la fila proceda. E la fila procede, in effetti, tanto che sono già capace di scorgere il punto di arrivo: questo lungo serpente umano sembra giungere davanti a un portone dorato e sulla soglia, ad accogliere i pellegrini, un uomo dalle candide vesti.
«È Gesù!» esclama una vocina accanto a me, quasi leggendomi nella mente. Trasalisco, poi mi rendo conto che un bambino sta camminando al mio fianco. Saltella convinto, tirandosi dietro un carretto pieno di giochi. Adocchio subito la pista delle macchinine, così simile a quella che avevo io da piccolo. Certi giochi non tramontano mai, penso. «Ciao!» dico educatamente. «Ciao» fa quello di rimando. «Dici che quello è Gesù?». «Al 100%, signore, è Gesù che parla con le anime dei morti prima di accoglierle in paradiso».
Curiosamente la scoperta di essere morto non mi turba affatto, ma l’idea di poter essere sottoposto a un giudizio mi desta qualche preoccupazione che cerco subito di esorcizzare con una battuta: «Caspita, mi sono dimenticato di ripassare la Bibbia!». «Mannò, sciocco» dice il bambino ridendo «non funziona mica così». «Ah no? E come funziona?». «In effetti è piuttosto semplice. Quando arrivi davanti a Gesù, lasci qualcosa di tuo. Poi Gesù ti guarda e ti ricorda una cosa di te. Cioè, non una cosa qualunque, una cosa davvero importante. È il tuo tesoro. Tu devi tenerlo bene a mente mentre oltrepassi la porta, perché è quello che ti porti dietro nell’aldilà».
«Ehi, aspetta un secondo» lo interrompo preoccupato «Io non ho nulla da lasciare a Gesù!».
«Se fossi in te non mi preoccuperei» dice il bambino facendo spallucce «Tutti hanno qualcosa da lasciare». Lo guardo con tenerezza e stupore: «E tu come fai a sapere tutto questo, scusa?».
«Oh beh, i bambini le sanno queste cose» dice lui. «Ora, scusami, mi ero fermato a raccogliere un gioco che mi era caduto, bisogna che riprenda il mio posto nella fila. Ci vediamo!» e così dicendo, trotta qualche posto davanti a me.
Mentre continuo a camminare, inizio a rimuginare su quello che potrei lasciare a Gesù, ammesso che le cose stiano davvero come le ha descritte quel bambino. Faccio un po’ di attenzione e subito mi accorgo che il bambino aveva ragione su tutto: il figlio di Dio in persona si occupa dell’accoglienza, prendendo ciò che il morto-nascituro ha da lasciare e parlandogli, guardandolo fissamente negli occhi.

 Il giudizio

Ecco, è proprio il turno del bambino. Invidio la naturalezza con cui si appresta a vivere questo momento grandioso, che a me invece sta mozzando il fiato! Il bambino corre incontro a Gesù, lo abbraccia: «Ti ho portato tutti i miei giochi» dice lasciando la corda del carretto. «Grazie davvero!» risponde dolcemente Gesù «Io invece ti consegno questo tesoro prezioso: ricorda quando ti abbandonavi senza remore tra le braccia della tua mamma. È questa la memoria che ti guiderà oltre la soglia». E così dicendo dà un bacio sulla fronte del bambino che subito corre verso la porta, quasi volando, attraversandola senza voltarsi indietro.
Subito dopo arriva un ragazzotto, sui quattordici, neanche un pelo sul mento e dei buffi capelli dritti ingellati. Il ragazzo avanza con il volto intimorito e, un po’ impacciato, si caccia le mani in tasca per tirarne fuori due oggetti che dà a Gesù: uno piccolo specchio e un diario, di quelli usati un tempo per scriverci i propri pensieri segreti. Lui non apre bocca, Gesù invece gli dice: «Per te ho un tesoro potente: ricorda il febbricitante desiderio di amore che ti lasciava insonne la notte e, diciamolo pure, ti faceva fare un sacco di scemenze! Era vero e profondo». Poi apre un braccio per mostrare la porta e il ragazzo va.
È il turno di un giovane, tipica aria da universitario un po’ saccentello, con uno zaino nero gonfio di libri sulle spalle che posa con sicurezza ai piedi del Signore. Questi lo guarda con gioia e furbizia e fa: «Grazie, so quanto ti è costato lasciare tutto questo. Sono cose preziose, ma non ti serviranno oltre la porta. Fai memoria di questo, invece: l’odio verso tutte le ipocrisie del mondo che ti imponeva di guardare negli occhi i tanti poveri che incontravi per strada. Va’ e sii fedele fino in fondo a questi occhi». Il giovane sorride commosso, abbraccia Gesù e cammina sicuro oltre la porta.
Ho solo due persone davanti a me e non ho ancora pensato a nulla. Fatti venire un’idea, fatti venire un’idea, mi dico. Ecco, l’uomo che sta avanzando avrà su per giù la mia età, cerchiamo ispirazione. Quello si apre il giaccone blu e da una tasca interna sfila quattro pezzi di carta: «Signore, ti lascio questi biglietti aerei, pagati e mai utilizzati. Il solito imprevisto del giorno prima della partenza. Non sono sempre stato bravo ad accogliere le sorprese che mi riservavi, ora capisco che è stato molto meglio così». «È uno dei vantaggi del rileggere la storia dopo averne conosciuto il finale» replica Gesù «E anche il tesoro che ti consegno ha a che fare con questo: ripensa attentamente alle tante ore che hai passato a giocare con i tuoi figli e a tutte quelle volte che hai lasciato che essi fossero diversi da te. Ora va’, qualcuno ti sta aspettando». E l’uomo andò, abbozzando una piccola corsa.
Solo ora mi rendo conto che l’ultima persona che mi divide dal giudizio è un ottuagenario canuto che si tira dietro un malandato trolley per la spesa. Quasi non riesce ad alzare gli occhi e la sua voce suona come un profondo mormorio: «Padre, io…» «Non dire nulla» lo ferma Gesù «Non c’è più bisogno di dire nulla. Sai già qual è il tesoro che puoi portarti dietro: non esitare». L’anziano alza lo sguardo, poi apre la mano per lasciare il carrello e si lascia prendere sotto braccio da Gesù, che lo conduce fin oltre la soglia.
Beh, pare davvero che sia giunto il mio momento e sono piuttosto sicuro di non essere pronto. Deglutisco, mi faccio coraggio e mi avvicino alla porta dorata dietro alla quale è sparito Gesù. All’improvviso mi colpisce uno strano suono, acuto e graffiante, come quando i miei figli più grandi disegnano coi gessi colorati in cortile. Mi volto di scatto, per capire la fonte di quel disturbo, del tutto fuori luogo in un momento catartico come quello che mi appresto a vivere. Ma voltandomi cado indietro, nel tempo e nello spazio, e sfuma via tutto ciò che mi avvolgeva.

 Il ritorno

Mi ritrovo seduto sulla mia sedia, ancora davanti allo schermo del mio computer, stanco come prima e più confuso. Sento un rumore di unghie che raschiano la porta grigina del mio studio. Poi sento una voce squillante: “Babbbo!”. Ecco, la vita chiama, il cammino, quello vero, va ripreso. Al di là di quella porta mi aspettano un figlio malaticcio, una moglie un po’ più santificata, giochi da inventare, problemi a non finire, debolezze, bellezza, paura, speranza, Dio. La vita, insomma.