Al termine di un anno di campi in missione – in Turchia, in Romania e a Imola – dal 26 dicembre all’11 gennaio si è ripetuto il campo in Etiopia, a cui hanno partecipato una quindicina di volontari, con attività rivolte ai ragazzi ospiti del centro Smiling Children Town di Soddo, come scopriamo in questo diario di viaggio.
a cura di Saverio Orselli
Come prendersi il ben d’Africa
E cambiano le luci e le ombre
di Martina Spaggiari
volontaria di Guastalla (RE)
Aeroporto di Bologna, 26 dicembre. Tra primi timidi saluti e ripasso dei nomi, inizia il nostro viaggio verso l’Etiopia.
Siamo ancora un gruppo di estranei, ma siamo pronti per incontrare insieme questa terra così lontana. Dopo varie ore di volo ecco Addis Abeba, dove troviamo Berhanu col suo bellissimo pulmino su cui inizia a caricare le valigie sul tettuccio legandole solo con una corda: ecco il nostro benvenuto in Africa. Dormiamo nella capitale, ospiti della comunità locale dei frati cappuccini: ancora è difficile realizzare dove siamo, tra grattacieli e luci abbaglianti.
Orsù andiamo a Soddo
Il 27 partiamo per Soddo e circa nove ore dopo eccoci allo Smiling Children Town: il centro dove vengono accolti ragazzi di strada tra gli otto e i diciotto anni. Qui i ragazzi scoprono uno stile sano di impegno nella società e di rispetto per il grande valore della propria vita. Sono guidati alla scoperta di chi possono essere e al tempo stesso accompagnati a un ricongiungimento con la famiglia di origine per poter tornare un giorno nella casa in cui sono nati. Il progetto è nato nel 2009 dall’iniziativa di abba Marcello che voleva che i bimbi dimenticati dalla città potessero ricevere affetto, protezione, cibo, vestiti, educazione civile e scolastica; ad accoglierci è Wondwosen, oggi direttore del centro e nostro punto di riferimento.
Sistemati nelle camere, pensiamo quali possano essere i giochi più adatti per la nostra prima interazione con i ragazzi che vivono qui e fissiamo alla sera l’unico momento in cui avremo accesso al wi-fi, per custodire questo tempo insieme e vivere pienamente il qui e ora in modo speciale col nostro gruppo. Finalmente sabato mattina conosciamo i ragazzi che ripetono tutti in coro i nostri nomi e da subito qualcuno viene storpiato: da oggi Pietro si chiama Pedro. Divisi su due campi iniziamo a spiegare i primi giochi grazie all’aiuto dei traduttori e alle doti comunicative e mimiche di Giovanni: solo alcuni ragazzi capiscono l’inglese e altri persino qualche parola d’italiano. Tra una corsa e l’altra si iniziano ad incrociare sguardi e a strappare saluti e presentazioni. Certo molti loro nomi sono difficili da ricordare, mentre loro hanno una memoria migliore della nostra e un forte spirito di accoglienza. Il ghiaccio è rotto…
Quanto è bella la vita!
La domenica mattina facciamo un giro in città che ci porta fuori dalla realtà speciale del centro, scoprendo i volti della povertà lungo la strada, ma anche il calore dell’accoglienza. Nel pomeriggio, al centro, decidiamo di proporre ai ragazzi un contest di ballo che accettano volentieri, organizzandosi in gruppi per mostrare il loro talento: ogni squadra ha un suo stile, ma tutti si scatenano quando alcuni pensano di vestirsi con le frasche ricavate dalle piante del giardino, riproponendo la tradizione di una tribù etiope. Che meraviglia osservare i più appassionati sorridere nel loro viaggio verso un altro mondo, nel corso di questa danza che sembra una preghiera di lode e parla di quanto è bella la vita! Finita la gara balliamo anche noi, seguendo i passi che i bambini ci suggeriscono. È così difficile allontanarsi da loro: sono magnetici nel loro insegnarci semplicemente ad amare la vita.
Nei giorni successivi iniziano i laboratori, preparati a lungo prima di partire e per i quali abbiamo portato valigie piene di materiali. Tutta questa organizzazione si scontra però con i mezzi realmente a disposizione e con le inclinazioni dei ragazzi, fino a trovare una nuova direzione di adattamento. L’esperienza diventa preziosa quando ci si è preparati ma si è anche disposti con serenità a scossoni e sconvolgimenti: dal filo per le collane che finisce alla luce che salta e si spengono i computer e subito si riparte con una nuova idea. Forse noi non siamo abbastanza abituati a fare con ciò che abbiamo o, meglio, a starci con ciò che siamo. Per fortuna i ragazzi di Soddo ci fanno da maestri mettendosi in gioco con coraggio, anche se le condizioni non sono ideali. Per qualche giorno alterniamo i giochi ai laboratori: pittura con Teresa e Marica, computer in inglese con Chiara e Pedro, biscotti con Manuel e Martina, musica con Clara e Fra Matteo, stampa con Alice, Letizia e Luca, collane e braccialetti con Chiara ed Elisa e teatro con Letizia e Giovanni. Alla sera troviamo ristoro nella Messa fra di noi e nella condivisione delle sensazioni della giornata.
Festeggiamo Capodanno tra noi, e il giorno dopo saliamo insieme a tutti i ragazzi su uno dei monti di Soddo: ognuno di noi è aiutato da uno o due bambini, che continuano a camminare con uno sforzo minimo. Sulla cima incontriamo tantissimi bimbi che abitano su questi monti e sono incuriositi dalla nostra presenza. Visitiamo la loro scuola, una scuola con solo qualche banco e una lavagna. Qui i ragazzi del centro ci insegnano i numeri nella loro lingua: basta così poco per sentirci vicini a loro e così, avvolti in una semplicità estrema, a volte si è persino più felici.
Le donne che abbracciano forte
Dopo questa bella giornata, ci spostiamo a Gassa Chare per conoscere qualcosa in più sulla missione dei cappuccini in Etiopia. Visitiamo la scuola cattolica aperta a Tarcha, dove in cortile veniamo circondati da bimbi al loro ultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie. Tutti vogliono sapere il nostro nome, ci chiedono di scriverlo sui loro quadernini un po’ consumati o su qualche foglio sfuso e fanno quasi a gara per prenderci per mano. Vorremmo avere più tempo per imprimere nella nostra memoria quei sorrisi, ma al pomeriggio ci attende, poco fuori dal villaggio, la realtà del carcere, così diversa da quella che conosciamo in Italia: gli spazi aperti sono sconfinati, la recinzione fragile, le guardie poche. Certo sotto il sole c’è caldo e manca veramente tutto, ma almeno i detenuti sono liberi di spostarsi su ampi spazi.Qui incontriamo Afras, un signore di mezza età del sud Etiopia – dentro da tredici anni dopo averne combattuto nove in Tigrai come soldato di leva obbligatoria – in carcere per una brutta storia in zona di guerra, per cui lui si professa innocente. Ora gli mancano pochi mesi alla fine della pena e ci chiede di pregare per lui, per il suo futuro da uomo libero. Nella sezione femminile, che è più protetta e molto più verde, diverse donne ci abbracciano commosse e, in particolare le più anziane, mostrano un’immeritata riconoscenza per questa visita nella vigilia del loro Natale. Eppure noi non stiamo facendo davvero nulla: non siamo abituati a questo calore, a questi abbracci stretti e dimentichiamo di domandarci quale potrebbe essere il passato di queste persone.
Il 7 gennaio rifesteggiamo il Natale, dividendoci in due comunità seguite dai frati di Gassa Chare, sperimentando di nuovo l’accoglienza estrema di questo popolo, con alcuni invitati in una famiglia a gustare la tipica enjera. Infine siamo alla clinica di Duga, gestita da Tamrat con l’aiuto del dott. Stefano Cenerini, il medico di Baccio: due uomini con origini tanto diverse, accumunati dalla scelta di vivere in villaggi dispersi nel nulla, per dare, pur nelle possibilità limitate e con i pochi strumenti a disposizione, un supporto sanitario a chi è troppo lontano dalle città.
In Dawro Konta l’incontro con gli abitanti e in particolare con i bimbi è più complesso, a volte difficile da comprendere fino in fondo in tutte le sue sfaccettature. Tante mani che sfiorano le braccia e i capelli, tanti occhi fissi che cercano di incrociare i nostri, tanti volti che sperano solo di essere visti. Così simili a noi nella loro diversità: facciamo tutti parte della stessa umanità ferita che ha così bisogno di un gesto d’amore.
Questo viaggio ha gettato nuove luci e nuove ombre sulla vita di ciascuno di noi, ma ora come custodirle nella frenesia di ogni giorno?