Sacre frontiere e sconfinamenti ispirati
Una Chiesa straniera e pellegrina può infrangere i muri e accogliere tutti
di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC
Anno di grazia 1984 o giù di lì. Le crepe che avrebbero fatto crollare il muro di Berlino non sono ancora visibili.
Siamo appena tornati dal campo estivo della parrocchia e, diversamente da ogni consolidata abitudine, abbiamo la schiena appoggiata ad un altro muro, quello del parco della città. Nell’aria corre la musica ribelle di Eugenio Finardi, ospite al Festival dell’Unità. Il nostro parroco non ritiene opportuna la presenza dei suoi catechisti a quel Festival “tra i nostri nemici e la loro ideologia sbagliata” e noi non entriamo nel luogo incriminato, ma ci fermiamo lì, dove la musica poteva comunque raggiungerci.
Da 30 anni, volendosi molto bene, Peppone e don Camillo facevano a cazzotti sugli schermi di tutta Italia, eppure tra la comunità ecclesiale e il mondo di Peppone, agli occhi del nostro parroco, i confini erano e dovevano restare netti. Noi cristiani non dovevamo superarli di un passo, perché la verità, che è Cristo, era dalla nostra parte, e dalla loro non c’era altro che menzogna. A me questa presa di posizione confondeva le idee invece di chiarirmele: in quanto cattolico figlio di padre comunista, dovevo considerarmi nemico del mio babbo? Quale distanza dovevo prendere da lui per non perdere la fede? E per la parrocchia che riconoscevo mia comunità di fede io cos’ero?
L’incontro con don Milani, durante gli anni dell’università, mi aiutò a rintracciare piste di una riflessione più attenta alle sfumature e meno facile da maneggiare, ma decisamente più feconda. Quando i ragazzi della Scuola popolare protestavano perché lui a volte dava ragione a quelli della D. C. e a volte a quelli del P. C. I, il priore rispondeva: «bischeri, la verità non è come le sigarette: sopra non c’è il monopolio». Esisteva, dunque, un modo diverso di mettere in relazione la Chiesa, il resto del mondo e la verità di Cristo, che poteva essere cercata in modo più cauto e coraggioso allo stesso tempo.
Il Popolo chiede pluralità
Nel 1989 il muro di Berlino cadde e fu evidente in modo più esplicito: le ideologie politiche e la fede in Cristo erano rette che conoscevano intersezioni, ma non correvano sempre sullo stesso piano. Di quell'errore però sarebbe ingeneroso caricare soltanto le spalle di un parroco. Nella Chiesa imperiale i concili venivano convocati dall’imperatore. Quella medievale era guidata da papi che più o meno duramente erano in lotta contro il potere politico dello stesso imperatore. Ben presto la Chiesa è riuscita a radicarsi così bene nella porzione di mondo che chiamiamo occidente, da identificarsi quasi totalmente con l’impero, prima; da entrare in conflitto frontale con esso, dopo, e non tanto per difendere i poveri, quanto per garantirsi il proprio spazio di autonomia. Sembra del tutto legittimo, perciò, definire quella chiesa patriottica e residenziale più che “straniera e pellegrina”.
In età moderna per diversi anni fu chiesto ai cattolici di non votare dopo l’unificazione italiana; poi siamo stati invitati a raccoglierci tutti sotto la bandiera dello scudo crociato. Si poteva votare senza troppi patemi d’animo e di coscienza. Ma nel 1974, con il referendum abrogativo sul divorzio, scoprimmo che la stagione delle bandiere era entrata nel suo crepuscolo. Molto prima che affondasse la “balena bianca”, il popolo di Dio aveva ufficialmente ripreso in mano la libertà d’essere plurale. Qualcuno dirà che per questo abbiamo perso, ma io, qui, voglio pormi su un altro piano per affermare che, evidentemente, già allora, il popolo di Dio non poteva trovare la sua identità compattandosi in sé stesso. Già allora, ma quanto più oggi, abbiamo bisogno di ritrovare noi stessi rendendoci di nuovo disponibili a incontrare l’altro che ci sta di fronte e, contemporaneamente, a riconoscere che dentro alla nostra stessa comunità di fede dobbiamo quotidianamente ri/costruire comunione accogliendo, non cancellando, le differenze.
Accettare gli scandali
Ripensando a quella sera del 1984, o giù di lì, sorrido e penso che l’eccesso di staticità pastorale, che si manifestava in quell’episodio, si è trasformato oggi in un eccesso di disorientante fluidità. Abbiamo bisogno di riferimenti certi, ma non credo che possiamo trovare soluzioni lasciandoci rapire dalla nostalgia per la Chiesa e per il mondo che era. Sono convinto si tratti, invece, di guardare a Cristo. Lui ci invita a sconfinare verso l’altro, riconosce alla donna siro fenicia (straniera!) una fede abbastanza umile e grande da convincerlo a condividere il pane dei figli con lei straniera che per molti non doveva nemmeno, come i cagnolini, stare sotto la tavola del padrone in attesa delle briciole. Lui ci chiede di prendere esempio dal samaritano, eretico, che si fa prossimo e si prende cura dell’uomo incappato nei briganti, senza chiedergli carta di identità, permesso di soggiorno o quale sia la sua fede. La Provvidenza stessa ci indica la strada di una Chiesa straniera ad ogni potere costituito su questa terra e di essere in cammino con ogni persona verso il Regno di Dio che è in mezzo a noi e ancora deve venire.
Perciò, a suo tempo, io trovai davvero poco evangelica la scelta di rifiutare il funerale cattolico a Piergiorgio Welby. Trovo che quella scelta fosse frutto di un eccesso di paura e rigidità che, pur di salvare la distinzione della nostra dottrina dall’ideologia della “dolce morte”, ci intrappolò in una grave mancanza di carità. Quanto profumo di vangelo vero invece nella visita del papa a Emma Bonino, gravemente ammalata. Qualcuno si è scandalizzato, ma se Gesù ha regolarmente accettato di scandalizzare i benpensanti, non dovremo anche noi evitare di lasciarci paralizzare dal timore dello scandalo?
Oltre ogni categoria
Altra applicazione: la solidità inamovibile dei confini interconfessionali è stata messa in questione dal movimento ecumenico. Riguardo a questo, l’unico mio desiderio è che l’intercomunione, cioè la possibilità, non solo di condividere la stessa Parola tra cristiani di confessioni diverse, ma anche di nutrirsi dello stesso pane e dunque dello stesso Cristo, diventi prassi legittima e consolidata. Non riusciremo certo ad avvicinare la riconciliazione piena che speriamo attraverso il dialogo dottrinale tra teologi e vescovi. Quanto più fecondo di sviluppi sarebbe riconoscere reciprocamente il diritto ai fedeli di tutte le chiese impegnate nel cammino ecumenico, almeno durante la settimana di preghiera per l’unità di tutti i cristiani, di sedere alla stessa mensa per accogliere lo stesso dono di Dio. Sarebbe un primo piccolo/grande seme/segno che il nostro desiderio di unità e riconciliazione è per noi più importante dell’inalterabile demarcazione dei confini ecclesiali.
Nella quotidianità, per altro, essi sono così spesso superati, ad esempio, dalle badanti ortodosse che non raramente, con grande serenità e devozione, pregano, si confessano e comunicano nelle chiese cattoliche. Se è possibile per noi ministri cattolici accogliere questo loro desiderio, i loro ministri non potrebbero, stando alle posizioni ufficiali, accogliere un cattolico che chiedesse altrettanto in una chiesa ortodossa. Così come noi cattolici, non potremmo accogliere i cristiani protestanti che chiedessero di ricevere la comunione da noi. Violare queste limitazione porgendo l’un l’altro il pane del perdono che è Cristo, ci metterebbe, credo sulla strada giusta.
Insomma, io trovo che Papa Francesco sia stato profetico a molteplici livelli, invitandoci, così ripetutamente, ad uscire verso le periferie, a non accontentarci di ragionare per categorie (conviventi non sposati; divorziati risposati; omosessuali) ma a far discernimento su ciascuno e ad aver la generosità sufficiente ad abbracciare i fratelli tutti con la benedizione di Dio che non esclude nessuno, mai, e sa far fiorire il bene presente nella storia di ognuno.
PS Se qualcuno avesse notato qualche sospetta analogia tra il mio parroco e quello di Monica Catani, sappia che… ha ragione: io e Monica eravamo da ragazzi nella stessa parrocchia faentina e padre Cristoforo era il nostro parroco. Così ringrazio il Signore, perché, anche attraverso la testimonianza del nostro parroco, il volto di Cristo mi si è stampato nel cuore. Poi, grazie ad altri, Gesù ha potuto rivelarsi come centro vivo che attrae a sé per renderci capaci di farsi prossimi ad ogni persona, così com’è, senza paura dei confini che ci separano, visto che tutti siamo stranieri e pellegrini.