Disperato mistico stop
L’illusione di un’originalità e il fascino seducente della massa
di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC
2 giugno, festività nazionale, autostrada del sole. È venerdì, perciò senza intaccare neanche un giorno di ferie, moltissimi si sono incamminati sul ponte verso la sicura conquista della libertà. Guido una Punto, funzionante, ma decisamente anzianotta.
Il sole già vigoroso picchia sull’infinita coda di auto-poco-mobili, ma quasi tutte più nuove della mia. Una dietro all’altra, allineate come soldatini, calpestano l’asfalto che ribolle.
Da parecchio non si procede di un metro. Sarà per l’anzianità dell’automezzo che guido o per la fragranza allucinogena dell’arbre magique appeso allo specchietto retrovisore, ma le auto intorno a me cominciano a parlarmi con voce adulatoria, anzi, seduttiva.
Le chiamavano seduttrici
La prima, elegantissima, nera, si presenta così: «Io sono il progresso che aspettavi». Cercando di essere delicato, la disilludo: «No, signorina, lei mi ha scambiato per qualcun altro. Io il progresso non so se lo aspetto, ma, se lo aspettassi, la prego di non offendersi, non sarebbe un’auto». Ma lei non molla e mi assicura che i suoi fari posteriori sono in grado di «mostrarmi il suo carattere». Fosse buio li vedrei addirittura accesi ‘sti fari, ma non dispero: al tramonto, tra circa 7 ore, forse ancora in coda, ne contemplerò l’audacia elettro(statica). Allora senza supporto di pasticche o acidi lisergici, guidato da provvidenziali led, potrò almeno intraprendere un viaggio epifanico nei misteri della psicomeccanica. Wow!
La seconda, satinata e mai vista prima, preoccupata dalla mia scarsa originalità, con voce ferma, usa l’imperativo: «Scegli di distinguerti» dice, infatti «ogni scelta conta». Io non dubito che sia così, ma mi sento costretto a chiederle: «Lei sa di essere uno status symbol non abbordabile per me?». Mi chiedo: noi che disponiamo di un potere economico non protetto da vetri oscurati siamo condannati ad essere insignificanti? Per noi le scelte che contano sono irraggiungibili? Sob!
La terza, verde militare, un vero prodotto d’avanguardia, suggerisce che «per raggiungere l’ispirazione basta affidarsi alla tecnologia». Sarà deformazione personale di vecchio laureato in lettere, ma non posso evitare di protestare: «La devo informare che non mi risulta un solo poeta che abbia scritto le sue opere con chatgpt». Tra me e me: come potrebbe mai bastare (a chiunque!) la tecnologia per raggiungere la profondità e l’altezza dell’ispirazione? Evidentemente la mia interlocutrice soffre di scarso contatto con la realtà, visto che ordina: «accelera verso il futuro!». Io mi accontento del presente, accelerando in qualsiasi direzione, potrei indurre uno dei miei colleghi di coda a dispiacersi e manifestarmi il suo disappunto con il cric tra le mani. Ahi!
Continuavano a chiamarle seduttrici
La quarta, beige, mi fa l’occhiolino sussurrando «non siamo fatti per i confini di una vita ordinaria ma per seguire le strade che rendono il nostro viaggio unico e straordinario. Everyday extraordinary». Facile controbattere: «Cosa ci fa allora qui lei, signorina, in mezzo a queste auto così banalmente e ordinariamente incolonnate?». Che roba: viviamo ogni giorno la nostra condizione di lavoratori stipendiati come una umiliante condanna all’ordinarietà, perché ora veniamo qui a caccia della nostra libertà, dove tutti la cercano e nessuno la trova? Mah!
La quinta, amaranto, usa l’inglese per internazionalizzare la cerchia degli adepti, ma di fatto sfoggia sfacciato nazionalismo: «Excitment: on. Passion: on. Life: on. Noi italiani ovunque andiamo… boom: tutto si accende». Sbrigativamente: scuoto la testa e le mostro le auto in coda, tutte radicalmente spente per non avvelenarci gli uni con i gas di scarico degli altri. Off!
La sesta, non per niente gialla, vorrebbe acciuffarmi con l’esca dell’anticonformismo: «Rompi i tuoi schemi. Va’ oltre le mode. Segui il tuo tempo. In cosa credi? Nella popolarità? Nei modelli? Negli stereotipi? Credi in te stesso!». Ma allora, stanco di mostrarmi gentile, esco dalla mia vecchia Punto, e lo grido in faccia a tutte: «Siate maledette! Siate maledette, sì, voi che ci teleguidate a dilapidarci in banca e in concessionaria. Voi che ci illudete di poter finalmente rompere gli schemi e credere in noi stessi. Su di voi noi ci auto-condanniamo a incastrarci immobilizzati gli uni nelle auto-condanne degli altri. Voi, maledette, siete la gloria dello schema più ripetitivo e banale, voi siete lo specchio esattamente sagomato della nostra mediocrità, voi catalizzate la disistima di noi stessi che continua ad arrugginirci e perforarci da dentro». Yesss!.
Liberi o forse no
Mi sono sfogato ben bene, posso togliere la maschera alla narrazione imbizzarrita: no, quella delle auto parlanti non erano voci da visita psichiatrica. Erano testi di spot pubblicitari realmente esistenti e scovati su youtube. Tenuto conto della siderale distanza tra quelle promesse e la realtà, c’è poco da stupirsi se ogni tanto qualcuno si confonde e pensa di essere Niki Lauda in una formula uno, invece che il ragioniere sul suv. Là le auto corrono libere e sole, su strade senza autovelox, completamente deserte e immancabilmente panoramiche. Chi ha fatto un investimento importante per comprarne una, ora si trova, per la maggior parte del tempo, soffocato dalle spire avviluppanti del traffico urbano ed extraurbano, costretto a vagare senza meta e senza speranza in cerca di un parcheggio, bloccato in autostrada dal proprio desiderio di libertà che in nulla si distingue dai desideri altrui.
“Libero” è il tempo in cui non si fa quello che si deve (lavorare) e si dà spazio a ciò che si vorrebbe. Allora, se da una parte il lavoro quotidiano ci rende schiavi, dall’altra, il tempo libero ci rende anonimi, potendo contare sulla nostra supina connivenza che ci trascina qui in autostrada per ore auto-sequestrati dall’asfalto e dal solleone. Intanto, io potrei stupirmi. Di queste delusioni, infatti, buona parte della gente riesce a portare il peso, senza dar di matto oltre ai limiti consentiti dalla pubblica decenza e dal codice penale. Ancor di più: ben pochi di quelli che ora maledicono l’idea di essersi messi in viaggio in questo giorno si ribelleranno all’imperativo categorico della partenza al prossimo ponte. Sanno bene a cosa andranno incontro, eppure… Misterioso fascino della sacra gita fuori porta che deve salpare per poter naufragare e annodarsi nella coazione a ripetere dello stesso imperituro ed eterno nodo autostradale.
Qual è il significato di questo enigma? Elias Canetti, con il suo Massa e potere, ce ne propone un’interpretazione ante-litteram: «fenomeno enigmatico quanto universale è la massa che d’improvviso c’è là dove prima non c’era nulla. D’improvviso tutto nereggia di gente. Da ogni parte affluiscono altri; sembra che le strade abbiano una sola direzione. La meta esiste prima che le abbiamo trovato un nome ed è là dove il nero è più nero- il luogo dove la maggioranza si è radunata». L’ingorgo non sarebbe affatto un ostacolo impediente il nostro viaggio, ma meta in sé e per sé. Altro che libertà e originalità: noi ammalati di individualismo narcisistico vorremmo liberarci e assolverci dal peso della nostra unicità, fragile e precaria, dissolvendoci nella massa.
Del resto: non è un caso se i fenomeni aggregativi che funzionano sono grandi eventi come concerti, rave o GMG. Cosa tiene insieme fenomeni così diversi se non la forza attrattiva della massa in sé stessa? E poco importa allora se aspetterò il vaporetto a Venezia, se cercherò una via d’accesso dal mio ombrellone al bagnasciuga fra i corpi sul litorale romagnolo o se, invece, salirò sul pullman della parrocchia in pellegrinaggio verso Fatima, Lourdes o Medjugorie in compagnia rosariante.