Non ti scordar di me
Memoria e spiritualità nella prima nazione cristiana: l’Armenia
di Mariarita Napolitano
Responsabile di Area Cooperativa Sociale
Per raccontare i miei pellegrinaggi in Armenia, ritengo fondamentale ripercorrere brevemente le tappe del mio grande interesse per la Terra di Nairì, la“Terra di Noè” e del monte Ararat, l’Armenia straziata dal genocidio, l’Armenia del terremoto del 1988, l’Armenia indipendente, l’Armenia dei giorni nostri.
L’ho scoperta tanti anni fa, camminando nel quartiere armeno di Gerusalemme. Mi sono chiesta per quale motivo questa meravigliosa città, “la città della pace”, fosse suddivisa in quattro quartieri e per quale motivo in uno di questi risiedessero “a parte” gli Armeni, che sapevo essere cristiani. La presenza di cristiani, ebrei, musulmani era abbastanza chiara nella mia mappa concettuale, ma la presenza degli Armeni non riuscivo a spiegarmela.
La prima volta
Ho iniziato a fare qualche ricerca e soprattutto ho iniziato a leggere qualche romanzo storico sul genocidio, il Grande Male del 1915. Poi ho proseguito con un criterio storico-cronologico che prendesse in esame l’inizio della storia armena: “la prima nazione cristiana”. Ho visitato l’Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia e sono rimasta molto sorpresa nello scoprire che l’Armenia mi era cosi “vicina”. Prima di andare sull’isola ho partecipato ad una divina liturgia nella chiesa della Santa Croce degli Armeni situata vicino a piazza San Marco. Al termine della messa ho parlato con il padre che aveva celebrato, padre Grigoris Serenian, e ho chiesto se organizzavano pellegrinaggi in Armenia: la sua risposta è stata che preferivano chiamarli “itinerari di spiritualità, conoscenza e testimonianza”. Documentandomi meglio ho iniziato a comprendere l’importanza delle sue parole. Per il popolo armeno l’appartenenza alla croce di Cristo è fondamentale, così come lo è l’appartenenza geografica, anche se costretto a vivere nella diaspora, disperso tra le nazioni.
Il primo illuminante pellegrinaggio, intitolato Portami una candela dall’Armenia, l’ho vissuto insieme ad un piccolo gruppo di amici con la guida spirituale di padre Grigoris, oltre a Vahè, la guida locale. Fin da subito siamo venuti a contatto con la popolazione locale ed ho “riconosciuto” immediatamente il mio posto del cuore. Il pellegrinaggio era strutturato in modo da approfondire ogni giorno la spiritualità degli Armeni, la loro storia, ammirando paesaggi incontaminati e soprattutto incontrando realtà tanto diverse tra loro, ma unite da una fede profondissima e da un amore immenso per la loro terra. Osservavo con profonda ammirazione la preparazione del lavash (pane sottilissimo e delizioso) che riponevano all’interno del tonir (forno adagiato nel terreno), in pochi minuti estraevano un pane basso rotondo e molto buono. Donne gentili, capaci di sostenere l’economia anche nei villaggi più lontani e sperduti preparando il pranzo ai pellegrini, con tanto entusiasmo ci hanno accolto con il servizio da tavola, quello buono, quello per le grandi occasioni e forse l’unico che avevano: tavole apparecchiate in giardino con tanta cura e attenzione.
Una fiamma sempre accesa
La lingua armena è difficile se non hai l’opportunità di studiarla e praticarla, le lettere sono trentotto e le accezioni infinite, per non parlare della pronuncia; la comunicazione è sempre stata mediata dalle nostre guide, ma soprattutto dai gesti reciproci di vicinanza, di benevolenza, di accoglienza e dai sorrisi che ci hanno accompagnato per tutto il tempo. È stato bello degustare ogni pietanza e vedere la soddisfazione di mogli e mariti nel condividere questo piacevole momento; insolito per loro e molto gradito sedersi alla stessa tavola con noi pellegrini e non turisti. Penso ci abbiano messo a disposizione tutto e, per farci apprezzare ancora di più la loro accoglienza, ci hanno regalato fiori di campo. Nei giorni seguenti abbiamo incontrato i giovani novizi della Congregazione dei Padri Mechitaristi: molti di loro studiano l’italiano a San Lazzaro.
Si arriva quasi all’alba a Yerevan, si intravede la grande Piazza della Repubblica, alla sera si ritorna per ammirare le fontane danzanti al suono della musica classica. I luoghi da visitare sono tutti importanti, ognuno suggestivo, ognuno intriso di storia, di sofferenza e a volte di martirio. A Yerevan il Museo di Storia Nazionale, il Palazzo del Parlamento e su tutto svetta la grande statua della Madre Armenia. Indimenticabile il Matenadaran, la grande biblioteca di manoscritti, dove si conservano circa 16.000 volumi antichi, medievali e codici miniati. Poi sulla collina della Fortezza delle Rondini, arrivi in punta di piedi al Memoriale e al Museo del Genocidio Armeno. La fiamma, sempre accesa per ricordare tutte le persone che hanno perso la vita, è al centro dell’edificio, non ha il tetto, le pareti concorrono a farti immaginare che, anche nel dolore più atroce, si può alzare lo sguardo verso il cielo, come fanno le rondini con il loro peregrinare.
Sguardi e gesti
Nel 2015 ho avuto l’opportunità di tornare in Armenia per un altro pellegrinaggio e soprattutto per “ricordare” il centenario del genocidio. Un’esperienza unica che ancora custodisco nel cuore. Ho incontrato tante piccole comunità locali: tutte le persone avevano il desiderio di raccontare e di raccontarsi. Sono andata a Choratan, piccola località di confine con l’Azerbaijan, dove vivono circa mille persone. Ad accogliere la nostra piccola delegazione di sole tre persone sono stati gli alunni delle classi elementari e medie, i loro insegnanti, il sindaco ed altre autorità del piccolo villaggio. Avevamo percorso in auto quasi 300 km, la maggior parte dei quali in strade di montagna; eravamo provati, ma che gioia quando i bambini hanno cantato, danzato e preparato disegni per noi. È stato un momento di accoglienza speciale: non si possono dimenticare i bambini di quel villaggio e la capacità dei loro genitori di resistere in un luogo quasi sperduto a soli tre km dal confine, con tutte le problematiche che esistono tra gli Armeni e gli Azeri. Il fiore che hanno scelto per non dimenticare la loro storia è il Non ti scordar di me, piccolo fiore delicato e bellissimo con il suo color viola, colore anche della spiritualità e dell’interiorità.
I pellegrinaggi sono continuati nella “mia” terra del cuore negli anni successivi: ricorderò sempre la messa celebrata da padre Ivano e padre Dino nel villaggio di Noraduz. Era un giorno di novembre del 2019, sentivo il freddo avvolgere ogni nostro movimento, eppure eravamo lì nel suggestivo cimitero antico con centinaia di Khachkar (croci di pietra tombali). La messa offerta per il popolo armeno mentre un timido raggio di sole illuminava l’altare; intorno a noi signore anziane e alcuni bambini. Quanti pensieri rivolti ad un popolo che è riuscito a resistere nonostante tutte le avversità! Il pellegrinaggio in Armenia è davvero un itinerario di spiritualità: ogni pietra te lo racconta anche a Karahundj, il cosiddetto Stonehenge armeno, sito archeologico del IV-III millennio a.C.
Purtroppo l’Armenia è ancora costretta a difendere i suoi confini, in una grande incertezza geopolitica. Ogni pellegrinaggio è stato un percorso alla ricerca di qualcosa di più profondo; l’incontro con gli altri, attraverso i loro sguardi, volti e gesti è stato il vero fulcro delle mie esperienze che ora custodisco nel cuore. Tanti i testi da leggere per comprendere meglio chi sono gli Armeni, quali sono stati i padri spirituali della prima nazione cristiana, che prezzo straordinario di sofferenze hanno dovuto pagare per convertirsi e diventare così, grazie a san Gregorio, l’Illuminatore, la prima nazione cristiana nel 301. Non ti scordar di me, un piccolo fiore per una grande Nazione.
Segnaliamo il volume:
Pietro Kuciukian
Le terre di Nairì. Viaggi in Armenia,
Guerini e Associati, Milano 1994, pp. 166