Cammina cammina

L’esperienza da pellegrino del Custode della Terra Santa

 di Francesco Patton
frate minore, Custode di Terra Santa

 “Come un pellegrinaggio: i miei giorni in Terra Santa”, ho voluto dare questo titolo al libro intervista scritto con l’amico Roberto Cetera, dell’Osservatore Romano, per descrivere i quasi nove anni trascorsi a Gerusalemme a servizio della Custodia di Terra Santa e dei cristiani (ma non solo) che vivono in Medio Oriente.

Il mio è stato realmente un pellegrinaggio, e all’inizio mi sono sentito un po’ come Abramo, chiamato a uscire dalla propria terra per andare verso una realtà nuova e ignota, che contiene una promessa di vita. Questi quasi nove anni sono stati un pellegrinaggio da molti punti di vista: il primo e più ovvio, un pellegrinaggio ai luoghi santi della nostra fede. La presenza francescana in Terra Santa risale al 1217, questa missione è diventata ufficialmente Custodia di Terra Santa con il mandato di papa Clemente VI dato al nostro Ordine a partire dal 1342 di vivere e pregare nei luoghi santi cristiani come fraternità internazionale. Perciò arrivare nella realtà che custodisce il più grande numero di luoghi santi cristiani (82) che permettono di entrare concretamente in contatto con la fisicità del mistero dell’incarnazione e della redenzione non può essere vissuto come un viaggio qualsiasi ma principalmente come un pellegrinaggio. L’incontro coi luoghi richiede una relazione quotidiana con la Parola di Dio che in quei luoghi si è rivelata ed incarnata e di quei luoghi spiega il senso così come quei luoghi aiutano a coglierne la concretezza e il contesto.
Per me è stato un assoluto privilegio (e non avrei potuto viverlo diversamente che con un cuore da pellegrino) il poter visitare regolarmente i luoghi santi, leggere la Parola di Dio nei luoghi ai quali la Parola fa riferimento, pregare in quei luoghi e celebrare i misteri dell’anno liturgico nel “qui” in cui il Figlio di Dio si è fatto uomo, è nato, è cresciuto e ha imparato a lavorare, poi in quelli in cui ha predicato e compiuto i segni che pian piano ce lo rivelano come nostro salvatore, e i luoghi nei quali lui stesso si è donato a noi nel pane e nel vino benedetti, ha pregato, sudato sangue, si è lasciato processare e crocifiggere, è entrato nel mistero della morte e ci ha aperto le porte della vita in Dio con la sua risurrezione.

 Popoli, culture, religioni

La categoria del pellegrinaggio però ben si applica anche all’atteggiamento con cui ho cercato di accostarmi ai popoli, alle culture, alle religioni, ma soprattutto alle persone concrete che il Signore mi ha fatto incontrare nel corso di questi anni. Infatti il pellegrino cammina fiducioso verso una realtà ignota perché si fida di Dio che chiama e manda, ma il pellegrino deve anche fidarsi delle persone che incontrerà, vincere la categoria della paura, del sospetto, del pregiudizio e dello stereotipo. Fidarsi di Dio e fidarsi delle persone non sono due atteggiamenti contrapposti, ma complementari, proprio come amare Dio e amare il prossimo.
Lo stesso Francesco d’Assisi, nel suo pellegrinaggio in Terra Santa nel 1219-1220, ci ha insegnato proprio questo, ad andare disarmati, cioè senza paura, verso gente di altra cultura e religione. Ci ha insegnato che Dio si prende cura di noi sempre e dovunque e attraverso persone che noi non conosciamo. La scoperta della Terra Santa è stata per me non solo la scoperta dei luoghi santi, ma la scoperta di una fraternità multietnica e multiculturale (siamo frati di 60 nazionalità diverse), è stata la scoperta di cristiani di chiese e riti diversi (Greco Ortodossi, Armeno Apostolici, Copti e Siriaci, Anglicani e Luterani, Maroniti e Melchiti e molti altri) ma anche la scoperta di persone che praticano l’Ebraismo o l’Islam. La conoscenza della fede degli altri mi ha portato ad apprezzare la ricerca religiosa e al tempo stesso mi ha portato a scoprire sempre più il cuore del Cristianesimo nella dimensione del perdono e della riconciliazione con un’apertura e un orizzonte universali.

 Il buio e la luce

Questi anni sono stati un pellegrinaggio anche perché, come in ogni pellegrinaggio, ci sono stati ostacoli da superare e fatiche da assumere. Al mio arrivo in Terra Santa, nell’estate del 2016, la guerra in Siria era all’apice; Aleppo era considerata la città più pericolosa al mondo, ed era letteralmente l’anticamera dell’inferno. Condividere con i frati quella situazione, in una visita in Libano e Siria nel corso della mia prima estate da Custode mi ha portato a toccare con mano la sofferenza di un popolo, quello siriano, al quale il Cristianesimo deve molto in termini di missionarietà e evangelizzazione, di sviluppo rituale e teologico e di testimonianza di martirio. Negli anni successivi siamo stati toccati, come tutti, da eventi naturali, come la pandemia da Covid-19, che ci ha isolati completamente dal resto del mondo, impedendo ai pellegrini di venire in Terra Santa ma rendendo anche molto difficile la nostra missione, sia nei santuari, sia nelle attività pastorali parrocchiali, sia nelle scuole. I territori provati dalla guerra e dalla crisi economica (Siria e Libano) si sono impoveriti ancora di più e il pellegrinaggio mio personale mi ha fatto spesso toccare il senso di impotenza e la necessità di sostenere a tutti i costi la speranza. Poi è arrivata la guerra scatenatasi dopo il 7 ottobre 2023, una guerra deflagrata come un’esplosione, e come ogni esplosione frutto anche di una situazione per troppi decenni messa sotto pressione.
In questa situazione, più ancora del fuoco delle armi, mi ha colpito l’esplosione dell’odio, del desiderio di vendetta, della quasi totale incapacità di poter anche solo parlare di pace e di riconciliazione senza venire fraintesi e dichiarati anime belle e ingenue, o – peggio – collaterali ai terroristi. In tanto buio, in questa tappa del cammino, la luce è arrivata da una madre, la signora Rachel, madre di un ostaggio di nome Hersh. Questa donna ha avuto il coraggio di dire che la sofferenza dei palestinesi e degli ebrei non va messa in concorrenza, ha avuto il coraggio di non ripiegarsi sulla propria sofferenza e sul desiderio di vendetta, ma di trasformare la sofferenza personale in empatia per dire che il riconoscimento reciproco della sofferenza da parte dei membri dei due popoli è l’unica via per poter arrivare a riconoscere reciprocamente il diritto di esistere e di convivere in pace. 

Terra di segni e di fede

Negli incontri personali con i pellegrini che in tempo di pace vengono da ogni parte del mondo ho visto poi quanto questa terra sia importante per la crescita nella fede e per fondare la fede su qualcosa di concreto. È ben vero che Gesù Risorto dice a Tommaso «Perché hai veduto hai creduto, beati quelli che crederanno senza aver bisogno di vedere» (cfr. Gv 20,29). Ma è anche vero che i luoghi santi con la loro fisicità aiutano i fedeli a fare l’esperienza di Giovanni, che è quella del “vedere dei segni” e “credere” in Gesù (cfr. Gv 20,8). I luoghi santi aiutano ad approfondire la fede facendo fare esperienza della dimensione storica dell’incarnazione e portando poi a scegliere di approfondire la propria personale relazione con Gesù. Ho visto pellegrini piangere davanti alla grotta di Nazareth o di Betlemme, così come sul Calvario o al Sepolcro. E a Tabga, lungo la riva del lago, ho avvertito quanto sia personale la domanda che Gesù rivolge non solo a Pietro ma a ciascuno di noi: «Mi ami più di tutto e più di tutti?» (cfr. Gv 21,15).
Giunto ormai quasi alla fine del mio servizio, sento che il dono ricevuto in questi anni continuerà ad accompagnarmi, come continueranno ad accompagnarmi i volti dei frati con i quali ho condiviso questi nove anni di missione; mi accompagnerà sempre la memoria dei luoghi, ma mi accompagneranno anche i profumi e i sapori della Terra Santa. Soprattutto so che, qualsiasi cosa il Signore mi chiederà nelle prossime tappe della mia vita, dovrò semplicemente continuare a fidarmi e continuare a camminare, cercando di crescere nella capacità di credere, di sperare e di amare, fino al termine del pellegrinaggio, cioè fino all’incontro definitivo con Lui.

 

 

 

Dell’Autore segnaliamo:
Come un pellegrinaggio. I miei giorni in Terra Santa
Terra Santa Edizioni 2025, pp. 160