Durante tutta la giornata del 23 agosto il cielo gradualmente si chiude a Trapani. Quando, al tramonto, la nave Mare Jonio della ONG Mediterranea salpa, piove leggermente, ma è caldo e il vento da nord est è di circa 6 nodi. Dietro la nave si muove anche una piccola barca a vela.

a cura di Gilberto Borghi

 I pescatori di uomini sono tornati

Una diocesi, una barca, una speranza

 Si chiama Migrantes, in affitto per circa una decina di giorni, fino al 30 agosto. Sopra ci sono 14 persone:

i due direttori dell’ufficio Migrantes delle diocesi di Fano (don Sandro Messina) e di Caltanissetta (Donatella D’Anna) assieme ad altri volontari e personale medico, oltre a un mediatore culturale e a un piccolo gruppo di giornalisti che ha risposto all’invito. Si sono formati per quattro mesi: «C’è tutta una preparazione minuziosa dei soccorritori e delle procedure. Impressiona il grande lavoro, la professionalità dei volontari che concretamente vanno in mare sui gommoni a prestare soccorso e del personale sanitario, volontari anche loro, che si sono imbarcati con noi – precisa don Sandro».

 Per capire davvero

È la prima volta che una barca finanziata dalla Chiesa italiana ha un ruolo così diretto nel soccorso di migranti nel Mediterraneo. Ci sono voluti 17.000 euri, coperti in parte da Fondazione Migrantes e dalla diocesi di Fano Fossombrone Cagli Pergola, da cui è nata l’idea e la promozione iniziale del progetto. «L’obiettivo di questo viaggio è quello di conoscere e comprendere meglio ciò che avviene nel Mare Nostrum, così da poter avere maggiore consapevolezza e cognizione in vista di una documentazione completa e di una testimonianza autentica. Vogliamo favorire una migliore informazione sul fenomeno migratorio, scevra da pregiudizi e polarizzazioni. Troppa disinformazione caratterizza ancora l’azione dell’ong, che sono dei “samaritani in mare” come ha detto il Papa e non dei “criminali”, come qualcuno afferma e scrive», spiega mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara-Comacchio e presidente italiano della Fondazione Migrantes.

In realtà negli ultimi anni diverse piccole organizzazioni umanitarie e “no profit” hanno messo in mare barche simili, di dimensioni ridotte, per agevolare i soccorsi delle navi più grandi delle ong. Distribuiscono giubbotti di salvataggio, controllano che le imbarcazioni di migranti non affondino, e osservano eventuali intercettazioni della cosiddetta Guardia costiera libica. Perciò non si tratta solo di osservare, ma di partecipare, anche se indirettamente, al soccorso dei migranti in mare.
Finora la Chiesa più impegnata nel soccorso in mare è stata quella protestante tedesca, che da anni è fra i maggiori finanziatori della ong Sea-Watch, fra le più esperte nel soccorso di migranti nel Mediterraneo. Ormai da anni nel dibattito pubblico italiano il soccorso in mare da parte delle ong viene molto osteggiato dai partiti di destra, e non era scontato che la Chiesa cattolica decidesse di fare qualcosa in maniera così concreta. 

In mare da pastori

Ma le motivazioni non sono solo umanitarie, si tratta di una vera azione pastorale. Su questo chiarisce mons. Perego: «Il Papa ricorda ai cristiani che lasciar morire in mare le persone è un peccato grave». Il termine “speranza” è quello che emerge soprattutto dalle storie dei migranti in mare o arrivati via terra, in fuga da guerre, cambiamenti climatici, miseria e sfruttamento. Questa cultura dell’indifferenza e dello scarto genera paura,            La lettera autografa che il papa
rifiuto, discriminazioni, respingimenti. La comunità cristiana non può ignorarlo. Come ha detto Francesco: «La tragedia è che molti, la maggior parte di             ha inviato a don Mattia Ferrari                    
questi morti, potevano essere salvati», ricordando, inoltre, i «troppi morti nei mari e nei deserti» delle rotte migratorie. Per Francesco è necessario «non
dimenticare ciò che dice la Bibbia», ovvero «Non molesterai il forestiero né lo opprimerai».
La Fondazione Migrantes, nata nel 1987 e voluta come strumento pastorale, il cui statuto è stato rivisto e approvato dalla Cei nel 2012,  ha tra i suoi compiti istituzionali, proprio quello di «accompagnare e sostenere le Chiese particolari nella conoscenza» del fenomeno migratorio e nella «cura pastorale» dei migranti (art.1) che avviene attraverso  quattro aree di impegno: «l’Area informazione e stampa; l’Area ricerca e documentazione; l’ Area formazione; l’Area coordinamento e progettazione pastorale (art.5), che riguardano tutti i volti della mobilità umana».
Sarebbe interessante allora immaginare che questo tipo di azioni pastorali possano diventare non occasionali, ma ordinarie. Mons. Perego non lo esclude: «Anzitutto valuteremo questa iniziativa, anche nella Cemi (Commissione episcopale per le migrazioni) e nel Consiglio amministrativo della Migrantes, organo decisionale della Fondazione, dopo che avremo raccolto e diffuso tutta la documentazione e i riscontri di tutte le nostre Migrantes diocesane. Vedremo anche l’evolversi della situazione nel Mediterraneo, soprattutto dei morti in mare e se ci sarà un impegno europeo. Non escludo a priori missioni promosse da altre Migrantes diocesane e regionali, con il sostegno della Fondazione Migrantes».

 Il papa benedice

«Siamo partiti da Trapani ieri sera e ora siamo più o meno nella zona dell’isola di Lampedusa. Stiamo navigando». Mentre don Sandro parla al telefono con un sostenitore in Italia, tutt’intorno è calma piatta, sia come mare che come segnalazioni di intervento dalla Mare Jonio. E continua: «Qui siamo tutti di provenienza diversa, di religioni e credi differenti, ma ci accomuna il desiderio di vivere un’umana fraternità. Quindi lo spirito è molto bello, collaborativo e partecipativo. Mi sento veramente fortunato di poter partecipare anche io a questa iniziativa». E spiega un po’ meglio come è nata l’idea: «È Migrantes Fano che ha fatto richiesta alla Migrantes nazionale di poter finanziare questa barca a vela di appoggio. A marzo ho partecipato ad un’iniziativa di raccolta fondi del gruppo Mediterranea di Pesaro. C’era Luca Casarini (l’attivista, capo della missione Mediterranea) e gli chiesi di partecipare. Il mio era un desiderio personale, ma essendo anche direttore Migrantes, la cosa si è allargata e questo desiderio è diventato un progetto della diocesi di Fano. Il mio vescovo Andrea infatti si è mostrato subito entusiasta e la cosa ha preso il volo».
Poi, mentre la nave sta entrando nella zona delle ricerche, don Mattia Ferrari, un sacerdote pioniere di queste azioni pastorali, che collabora da molti anni con Mediterranea, gira alla barca un messaggio – saluto di papa Francesco: «Cari fratelli, vi auguro il meglio e invio la mia benedizione all’equipaggio di Mediterranea Saving Humans e a Migrantes. Prego per voi. Grazie tante per la vostra testimonianza. Che il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. Fraternamente, Francesco».
Alla fine della missione, lunedì 26 agosto, la nave Mare Jonio dell’ONG Mediterranea ha effettuato tre operazioni di soccorso nel tratto di mare tra la Sicilia e il Nord Africa, salvando 182 persone, di cui 82 sbarcate nel porto di Pozzallo. Un piccolo contributo, ma ancora troppo poco per tutti quelli che muoiono cercando la vita.

 

 

 

 

 

 

Dell’Autore segnaliamo:
Il male negli occhi dell’amore. Cinquanta risposte sul peccato e dintorni,
Edizioni Messaggero, Padova 2024