Un articolo solo, questa volta, nella rubrica “In Missione”, ma un articolo di peso. È infatti il ricordo di fra Vittore che ci ha lasciati pochi mesi fa, dopo una vita dedicata al lavoro per le missioni e alcuni anni ad un riposo forzato nella nostra infermeria provinciale,

a cura di Saverio Orselli

 Ricordando fra Vittore Casalboni

Dotato di forza erculea, ha lavorato un’intera vita per le missioni

 

 

  

Cesena, 9 marzo 1942
† Reggio Emilia, 16 agosto 2024

  

 

Con quelle sue mani enormi

Non deve essere stato facile, nemmeno in paradiso, trovare il materiale per insonorizzare l’officina preparata per accogliere fra Vittore, con la sua raccolta di mazze e martelli con cui separava e continuerà a separare tutti i materiali riciclabili a suon di martellate.
Una vocazione religiosa, quella di fra Vittore, nata, costruita e vissuta tutta attorno alle missioni, a cui ha dedicato tutto il suo impegno, perché sentiva che con il suo lavoro poteva contribuire concretamente all’opera portata avanti dai suoi confratelli in Etiopia, quei missionari e le comunità da loro guidate che gli stavano profondamente a cuore.
Fra Vittore è stato, per anni e anni, l’anima e il corpo (con quelle sue mani enormi) della raccolta di materiali usati da rivendere per le missioni, prima nel convento di Bologna e poi a Imola, dove gli spazi erano più adeguati alla sua forza ed esuberanza. E dove le lavatrici, i frigoriferi, i condizionatori in attesa di essere demoliti e separati, potevano aspettare accatastati il proprio turno, prima di finire dentro i cassoni in cui, di tanto in tanto, lo stesso Vittore cadeva, sperando che qualcuno lo aiutasse poi a uscirne in tempo, prima che qualcun altro vi lanciasse altri pezzi demoliti.
Aveva degli aiutanti con cui si trovava particolarmente bene – alcuni l’hanno preceduto per preparare l’officina – di certo per la vigoria con cui affrontavano il lavoro, ma soprattutto per il fatto che erano di poche parole; gli piaceva molto lavorare anche con i ragazzi del campo di lavoro, coi quali si fingeva burbero soprattutto la notte, quando li sorprendeva a chiacchierare sotto la sua finestra, per poi riuscire a coinvolgerli in operazioni impensabili, come andare a scaricare cassette ai mercati generali alle quattro di mattina, per avere in cambio verdura fresca per tutti i volontari e non solo.

 Iniziava pregando, lavorando proseguiva

Nell’unica intervista concessa alla rubrica missionaria di Messaggero Cappuccino (MC 05/2008) – Vittore non aveva tempo da perdere con attività che non gli parevano del tutto “lavoro” – registrata mentre colpiva con la mazza quel che restava di un motore di frigorifero, alla domanda «Che posto ha avuto il lavoro nella tua vita?«, rispose: «Nessun dubbio: il posto principale, perché il Signore mi ha dato in dono tanta forza perché la utilizzassi. Poca testa, ma tanta forza e mi trovo proprio a mio agio a lavorare. Non temo neppure il freddo, per cui posso stare qui fuori a smartellare senza problemi, scalzo estate e inverno, come se niente fosse. Ma la mia vita non è solo lavoro, sono prima di tutto un religioso. La sveglia continua a suonare presto la mattina e pregare dalle 4 alle 7 e mezza per me è l’ideale per cominciare bene la giornata».
L’importante era trovare poi qualcosa da mettere sotto i denti, per sostenere tutti quei muscoli in movimento, una delle ragioni questa che mandò in crisi la sua esperienza missionaria in Etiopia, condivisa con padre Raffaello Del Debole che, dal canto suo, aveva una dieta da fringuello, decisamente incompatibile con il risultato degli sforzi fisici di fra Vittore. Dopo aver perso diversi chili, al rientro in Italia – e dopo essersi fatto una spaghettata passata alla storia – riprese a lavorare per le missioni senza sosta e senza risparmiarsi, come disse nell’intervista: «Penso che tra noi frati conti molto il rispetto che si prova per chi lavora con impegno, senza guardare al tipo di lavoro che fa… Devo fare i conti con le botte, tra cadute, sforzi e operazioni, prese in questi ultimi anni. Ci sono movimenti che faccio fatica a fare, sempre che ci riesca ancora. A dar retta ai medici, dovrei stare a riposo!».
Ora è arrivato il momento del riposo vero, ma è solo questione di tempo: fra Vittore senza fare niente non è capace di stare e in paradiso sono avvisati.

 Le tappe di una vita missionaria

Fra Vittore Casalboni nasce a Cesena il 9 marzo 1942 da Natale e Giuseppina Ambroni e viene battezzato con il nome di Urbano. Fa parte di una grande e laboriosa famiglia rurale originaria della frazione di San Vittore nella quale vive e lavora fino al 1960, anno in cui chiede di entrare nel noviziato di Cesena (una vocazione “adulta” per l’epoca) sotto la guida del maestro venerabile padre Guglielmo Gattiani.
Dopo i primi voti, emessi l’8 dicembre del 1961, è destinato al convento di Lendinara in Veneto per completare la sua formazione di “fratello laico”. Lì impara l’arte del tipografo che poi mette a frutto negli anni trascorsi presso il convento di Castel Bolognese (1963-1973).
La sua vocazione era nata sentendo i racconti dei missionari cappuccini. Le sue grandi e possenti mani erano poco adatte a trafficare con i caratteri a stampa, per questo chiede di divenire un collaboratore del segretariato per le missioni che si trova a Faenza. In quello stesso anno 1973 parte per la missione nella regione etiope del Kambatta-Hadya dove rimane nove mesi a lavorare insieme a padre Raffaello Del Debole. Fra Vittore ha sempre confessato che si lavorava tanto ma si mangiava troppo poco (chi ha conosciuto padre Raffaello può capire…) e anche per questo rientra in provincia, pur continuando il suo impegno per le missioni attraverso il Centro Raccolta (carta, stracci, ferro, ecc.).
Con il capitolo del 1975 viene trasferito a Bologna come responsabile dell’Opera recupero sempre a favore delle missioni, iniziata da fra Giancarlo Ciccioni, divenuto portinaio. Qui dal 1978 si occupa anche di aiutare fra Crispino Mescolini nell’infermeria provinciale; in particolare svolge con una cura tutta particolare il compito di preparare i confratelli defunti per la sepoltura.
Dopo il capitolo del 1981 viene nominato Delegato provinciale dei fratelli laici e l’anno seguente sarà a Roma come addetto ai servizi fraterni durante il capitolo generale. Nel 1989 viene istituito ministro straordinario dell’eucaristia a Bologna nella cappella dell’Infermeria da padre Corrado Corazza, allora ministro provinciale.
Un grave incidente stradale lo riduce quasi in fin di vita e nel 1996 la sua lunga esperienza bolognese giunge al termine e viene trasferito nel convento di Imola che nel frattempo è divenuto sede del Segretariato per le missioni. Lascia quindi l’incarico presso l’infermeria provinciale e ricomincia a occuparsi a tempo pieno dell’Opera recupero. Nella fraternità di Imola da poco è venuto a mancare fra Gioacchino che per decenni era stato questuante amato e indimenticabile tra la popolazione, e fra Vittore lentamente ne incarna lo spirito, con il suo carattere all’apparenza burbero ma capace di schietta amicizia; con la sua presenza imponente di lavoratore indefesso, sempre pronto a correre con il suo furgone dove qualcuno aveva del materiale da donare per le missioni; con la sua discreta ma fervente preghiera, soprattutto mattutina nelle ore sottratte al sonno ma non al lavoro. Tante sono le testimonianze di confratelli e volontari che lo hanno conosciuto, tra loro spiccano i vari obiettori di coscienza che svolgevano servizio presso il centro missionario e che in lui hanno trovato una figura paterna e un esempio di dedizione.
La vita e il lavoro nel convento di Imola vanno avanti fino al 2017 quando, a causa dell’aggravarsi dei sintomi di una malattia degenerativa che lo ha colpito, viene ricoverato definitivamente in Infermeria Provinciale a Reggio Emilia. Qui trascorre gli ultimi anni sempre più imprigionato in un corpo che non corrisponde più al suo ardore missionario e al desiderio di lavorare, che sono stati l’asse portante della sua vocazione autenticamente cappuccina.
Gli rimangono la fede e la preghiera che lo hanno accompagnato attraverso l’isolamento del covid (che tanto ha limitato la possibilità di fargli visita da parte di amici e parenti) e l’affievolirsi dell’intelletto, fino all’ultimo ricovero durante il quale si spegne la notte del 16 agosto 2024.
Pare che si sia faticato alquanto in questi giorni nel trovare una delle sue immancabili tute da lavoro da porre come simbolo vicino alla bara. Un nostro confratello ha scritto che forse se l’è portata con sé quale lasciapassare per il paradiso, come un indumento identificativo e costitutivo…

Saverio Orselli e fra Michele Papi

 Il rito funebre si è svolto nella nostra chiesa di Imola il 21 agosto, proprio durante il campo di lavoro missionario, alla presenza di tanti confratelli e di molti volontari dei campi di lavoro degli anni passati, richiamati attorno alle spoglie di questo francescano, descritto perfettamente dalle parole del canto con cui è stato accolto in chiesa: «Ogni uomo semplice, porta in cuore un sogno, con amore e umiltà potrà costruirlo. Se con fede tu saprai vivere umilmente, più felice tu sarai anche senza niente. Se vorrai ogni giorno con il tuo sudore, una pietra dopo l’altra alto arriverai»…  
La salma è stata poi trasportata nel pomeriggio a San Vittore di Cesena per un secondo rito funebre e la cremazione.