La rubrica si allarga questa volta, dai conventi cappuccini dell’Emilia-Romagna, fino al convento di Camerino nelle Marche (anticipiamo così probabili fusioni future) dove il 3 luglio si sono ritrovati una sessantina di frati per ricordare la scintilla cappuccina del 1528. Arriva perfino ad includere un pellegrinaggio di duecento “padri” (quelli cappuccini solo una decina). E ricordiamo infine fra Daniele Zanni, che ha raggiunto la casa del Padre. Di fra Vittore Casalboni parliamo nella rubrica “In missione”.

a cura della Redazione

 La festa della scintilla

Vicino alla scaturigine del carisma

 di Sergio Lorenzini
Ministro provinciale dei frati cappuccini delle Marche

 Bisogna tornare indietro al 1528, precisamente al 3 luglio di quell’anno, e bisogna quasi immaginarla la scena dei due baldi e vigorosi frati che se ne uscivano festanti dalla curia papale di Viterbo, con in mano una pergamena sbandierata ai quattro venti.

Dai gesti di gioia sprizzante era chiaro si trattasse per loro di un documento di indicibile preziosità e, per chi conosce la storia dei cappuccini, quanto mai agognato e sospirato dopo le mille traversie affrontate per ottenerlo. Era la bolla Religionis zelus con la quale papa Clemente VII sanciva la nascita della nuova famiglia francescana, all’inizio detta Frati minori della vita eremitica e che poi assunse il più popolare nome di Frati cappuccini. I due frati, Ludovico e Raffaele Tenaglia da Fossombrone, scortati dalla duchessa Caterina Cybo – la cui autorità fu decisiva per l’ottenimento della bolla – se ne tornarono subito a Camerino, nel ducato che li aveva accolti e protetti, e da lì quella particolare spinta di rinnovamento dello spirito francescano, che la riforma cappuccina aveva di colpo rinvigorito, iniziò a propagarsi in ogni dove, tanto che ad oggi si conta la presenza dei cappuccini in 114 paesi con più di 10.000 religiosi.

 Appuntamento a Camerino

Per questo, proprio il 3 luglio, i cappuccini dell’Emilia-Romagna, della Toscana e delle Marche si sono dati appuntamento a Camerino, in quello che è il primo convento dell’Ordine, per celebrare insieme La festa della scintilla, vale a dire la festa delle origini in cui si commemora la nascita della riforma francescana. Tornare all’inizio, infatti, non è solo un esercizio (che pure è utile) di memoria storica, ma significa anche voler scovare la scaturigine di una così forte esperienza spirituale perché diventi fonte di rinnovamento per l’oggi. In tal senso, la relazione sulla storia delle origini dell’Ordine che fra Fabio Furiasse, archivista e bibliotecario dei cappuccini delle Marche, ha offerto ai frati partecipanti è stata quanto mai preziosa nel fornire le corrette coordinate di lettura in cui inquadrare l’essenza della riforma cappuccina. Essa si collega al filone sottile, ma continuamente presente nei secoli di storia dell’Ordine francescano, di quanti desideravano tornare all’esempio di san Francesco e dei suoi primi compagni e alla sua intenzione di vita, così come era stata espressa non solo nella Regola, ma anche nel Testamento, dettato dal Santo poco prima di morire per manifestare con chiarezza ai suoi frati come dovevano approcciarsi alle parole della Regola. Diceva, infatti, san Francesco nel suo Testamento: «A tutti i miei frati, chierici e laici, comando fermamente, per obbedienza, che non inseriscano spiegazioni nella Regola né in queste parole dicendo: “Così devono essere intese”; ma come il Signore ha dato a me di dire e di scrivere con semplicità e purezza la Regola e queste parole, così voi con semplicità e senza commento cercate di comprenderle, e con santa operazione osservatele sino alla fine».

 Cercavano l’ancora dal margine

Nel corso dei tre secoli che separano la morte del Santo di Assisi dalla nascita dei cappuccini, la linea di quanti volevano ancorarsi alla vita di Francesco e dei suoi compagni, alla sua intenzione, al suo desiderio di un’osservanza non giuridica ma spirituale della Regola (cioè nello Spirito del Signore) fu sempre minoritaria e fin quasi marginale. Come un rigagnolo rispetto al grande fiume di quella che fu poi comunemente detta “via media”, essa continuò a fluire nei secoli dapprima tramite i compagni stessi di Francesco d’Assisi: frate Bernardo, frate Egidio, frate Leone, frate Masseo e poi altri che, morto Francesco, vissero ai margini dell’Ordine, rifugiandosi negli eremi a custodire le memorie degli inizi. Questa eredità fu in seguito raccolta da frate Giovanni da Parma, frate Corrado da Offida, fra Ubertino da Casale, fra Angelo Clareno e altri (i cosiddetti “spirituali”). Dal ruolo giocato dagli eremi si comprende il desiderio rinascente agli inizi del XVI secolo dei cappuccini di condurre vita eremitica, da non intendere tanto come anelito alla vita eremitica in senso stretto, ritirata e lontana dagli uomini, quanto piuttosto come stile di vita che si riallacciasse all’esperienza primitiva di Francesco e soci che aveva continuato a ripresentarsi in maniera genuina negli eremi.
A conclusione di un lungo processo storico sulla scia degli spirituali, del Clareno e della prima Osservanza, con fra Ludovico da Fossombrone si giunse al convincimento che la vita imposta dalla strutturazione dell’Ordine rendeva di fatto impossibile ripresentare l’ideale francescano nella sua purezza, per cui l’unica alternativa possibile, per chi ad esso voleva rifarsi, era di porsi fuori di questa struttura. Da questa persuasione nacque la fuga di fra Matteo da Bascio nel gennaio del 1525 dal convento degli Osservanti di Montefalcone e nella tarda estate-primo autunno dello stesso anno quella di fra Ludovico e di fra Raffaele dal convento dell’Annunziata di Fossombrone. I tre anni seguenti furono pieni di avventurose peripezie che portarono fra Ludovico all’ottenimento della bolla papale grazie al decisivo supporto della duchessa di Camerino Caterina Cybo.

 Una scintilla rinnovata

A questo luogo, Camerino, e a questa storia, perciò, tanti frati e da più parti sono tornati per attingere al medesimo spirito che mosse i primi cappuccini a un salto rischioso in un tempo non semplice. Lo stesso salto, forse, che ci attende nell’odierna situazione, che pure in condizioni storiche differenti presenta un’analogia ispiratrice con quella della nascita dei cappuccini. Stando a quanto scrive Giovanni Miccoli (Problemi e aspetti della vita religiosa nell’Italia del primo Cinquecento e le origini dei cappuccini in Ludovico da Fossombrone e l’Ordine dei Cappuccini), l’inizio del Cinquecento presentava «un quadro che dal punto di vista della vita e della pratica cristiane è difficile non definire desolante», ed è proprio in risposta a tale desolazione che emersero «gruppi, forze, movimenti, esperienze individuali e collettive, che si muovevano con altri intenti e con diverse prospettive», per cercare cioè, per dirla in estrema sintesi, una religiosità autentica che prorompesse da una fervida vita interiore.
Così oggi, senza forzare similitudini tra contesti storici alquanto diversi, il cambiamento d’epoca segnalato da papa Francesco nel suo discorso alla Curia Romana del 21 dicembre 2019 provoca la Chiesa intera, e in essa la vita consacrata, a un profondo ripensamento che le permetta di vivere l’attuale crisi non come nostalgia di un passato che non c’è più, ma come l’opportunità di una rinnovata vitalità in forme ancora da scoprire, avanzando con coraggio e con fiducia nell’azione dello Spirito del Signore. Si tratta, per noi cappuccini come per tutti, di vivere la fedeltà creativa, che se per un verso è chiamata a tornare all’ispirazione originaria del fondatore, per l’altro la attualizzi continuamente nelle mutate condizioni dei tempi. In questo 3 luglio abbiamo voluto anzitutto ritornare alla scaturigine del nostro carisma francescano-cappuccino per ridirci la fedeltà a una storia; di questo incontro sarà da auspicare un secondo tempo focalizzato sulla dimensione creativa che susciti quella sana inquietudine che ci permetta ancora oggi di essere «sale della terra e luce del mondo», con lo stile di Francesco d’Assisi che i cappuccini da sempre perseguono in un incessante moto di riforma.