Zipline e altre avventure di pace

Educare alla pace con coraggio, coerenza e fantasia

 di Elena Monicelli
Coordinatrice della Fondazione Scuola di pace di Monte Sole

  La Scuola di Pace di Monte Sole ha sede nel Parco Storico di Monte Sole, area protetta che include i 115 luoghi dove, tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, reparti nazisti hanno operato la più grande strage di civili in Europa Occidentale durante la Seconda Guerra Mondiale.

In seguito alla strage, il luogo è stato abbandonato e ha subìto un processo di deantropizzazione. Solo a partire dagli anni ‘80 tornerà sui luoghi la Chiesa di Bologna, riaprendo  le strade e ripristinando le condizioni minime per permettere alle persone di visitare alcuni dei luoghi e per poterli, in qualche caso, riabitare.
Negli anni Novanta si avvia, da diverse associazioni che si confrontano per anni, un progetto che prevede la nascita di un’istituzione educativa che svolga interventi di educazione alla pace su un luogo di memoria. All’inizio questi interventi riguardavano soprattutto la gestione dei conflitti e si lavorava principalmente in ambito internazionale, con persone provenienti da aree di conflitto o situazioni di post-conflitto, come Israele/Palestina e il Kosovo. Col tempo ci si è però resi conto che il lavoro sulla pace doveva necessariamente riguardare anche altri ambiti e situazioni.
La definizione di “educazione alla pace” ha via via assunto una dimensione di “ombrello” o contenitore per altre educazioni: educazione alla cittadinanza o alla cittadinanza globale, educazione alla differenza, educazione alle relazioni, educazione al pensiero critico… Questi altri specifici ambiti educativi in alcuni periodi storici sono stati preferiti, almeno nella terminologia, quasi come se della parola pace ci si vergognasse, forse perché viene ritenuta una utopia o perché per qualcuno è legata a contesti religiosi o new age.

 Ma la pace cos’è?

A ben vedere la parola pace viene utilizzata nei periodi in cui più se ne sente bisogno e in generale quando ci sono guerre che attirano l’attenzione dei media e quindi diventano rilevanti anche per chi non ne è apparentemente coinvolto.
Dando per scontato che le guerre ci sono anche quando non riscuotono l’attenzione mediatica, è interessante però provare a capire come mai la pace diventa pensabile e pronunciabile quando percepiamo il pericolo e l’orrore della guerra e non quando siamo invece in periodi apparentemente pacifici. O perché, similmente e paradossalmente, la guerra, le soluzioni militari, per alcuni sono pensabili e possibili quando non si ha una guerra sotto gli occhi. Questo probabilmente ha a che fare con uno dei molteplici significati della parola pace, ossia con quello di assenza di conflitto, non-guerra.
A Monte Sole, teatro del massacro efferato di civili nell’autunno del 1944, spesso tentiamo di proporre una riflessione sul concetto di pace, proprio perché crediamo che non si limiti ovviamente all’assenza di conflitto armato, ma ad una più ampia visione del coesistere con altri esseri umani, con la natura, basata sul rispetto dei diritti umani di ciascun individuo.
L’anno scorso siamo stati invitati al Festivaletteratura di Mantova e, in uno dei laboratori che abbiamo proposto, abbiamo invitato bambini e bambine a realizzare un modellino dell’“isola della pace”. C’è stata una contrattazione iniziale su cosa e come realizzarla e in quella fase è stato deciso che non ci sarebbero state strade, perché le strade avrebbero comportato l’esistenza delle auto e quindi inquinamento, e l’inquinamento non è pace. Si è quindi optato per la costruzione di zip-lines per spostarsi da una parte all’altra.
Questa soluzione più che far sorridere dovrebbe far riflettere. Le zip-lines come mezzo di trasporto sono un’utopia? Certamente. Ma l’utopia è utile e non deve essere accantonata, perché è un’indicazione della direzione del nostro lavoro per la pace.

 Unire forma e sostanza

Una collega israeliana nel 2002, anno della prima edizione del campo con adolescenti israeliani/e, palestinesi, tedeschi/e e italiani/e, descrisse così l’educazione alla pace: «È un lavoro, a volte non vorresti alzarti dal letto e affrontare le difficoltà che questo lavoro presenta, eppure lo fai. Ti alzi e vai a lavorare, perché devi».
L’educazione alla pace presenta una grande difficoltà intrinseca: forma e sostanza devono essere coerenti. Il modo in cui si svolge la pratica educativa deve coincidere con il contenuto. A partire dal setting: il cerchio, dove nessuno è escluso, dove siamo tutti ugualmente importanti, è la forma base imprescindibile che utilizziamo a Monte Sole. Di conseguenza, svolgere educazione alla pace in ambienti educativi formali, come le scuole, è complicato.
La scuola è un ambiente dove i ruoli sono differenti, dove ci sono contenuti e nozioni da apprendere e dove ci si trova anche a dover reprimere le proprie opinioni per la cosiddetta “pacifica convivenza”. Tutto ciò ovviamente non è una cosa negativa in assoluto, ma chiaramente interventi educativi in cui improvvisamente la performance non è più rilevante, e ciò che diventa rilevante è il processo, rischiano di perdere di efficacia e di confondere i/le partecipanti se svolti in un contesto in cui la performance, e di conseguenza il giudizio, in genere hanno invece importanza. Gli/le alunni/e e gli/le studenti potrebbero faticare a non farsi condizionare da ciò che, secondo loro, non solo gli/le insegnanti ma anche i/le loro pari si aspettano da loro e questo potrebbe dunque compromettere l’autenticità del loro apporto al lavoro educativo.

 Per una pace mainstream

Fare educazione alla pace su un luogo di memoria è al tempo stesso più complesso e più semplice. La complessità consiste nel fatto che ogni essere umano entra in risonanza con un luogo e le sensazioni che ne ricava sono un ulteriore elemento di cui tenere conto nella pratica educativa. Il luogo di memoria svolge funzione di sfondo integratore degli interventi educativi, fornendo senso e motivazione.
Nel caso di Monte Sole, il luogo di memoria è un’area naturalistica e la natura non è elemento neutro, ma attore vero e proprio dell’intervento educativo. Quando si fanno attività in natura lo stato d’animo dei partecipanti si modifica e chi conduce l’attività cerca di lasciare il tempo a tutti di entrare in connessione con il luogo, di destrutturare le attività in modo da lasciare tempo e spazio per esperirlo pienamente.
In altre parole, non si può pensare all’educazione alla pace - ma nemmeno all’educazione civica propriamente intesa - come ad un intervento una tantum in cui si consegnano contenuti a un gruppo di alunni/e, ma dovrebbe essere pensata come un intervento che potremmo definire olistico, in cui l’educazione alla pace diventa mainstream, ovvero diventa il filo conduttore, e tutte le azioni educative, le relazioni, i discorsi ne sono permeati.
In breve, l’educazione alla pace non può seguire il “fai come ti dico” ma il “fai come faccio”. Anzi, il “fai come facciamo”.