China il capo e diventa re!
L’annuncio di pace è una delle cifre della predicazione francescana
di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC
No, la pace non è una maschera che noi sovrapponiamo sul volto di Francesco per alterarlo e renderlo più vicino alla nostra sensibilità.
Qui c’è qualcosa di originale e solido che ha lasciato molte tracce nella tradizione francescana. Disegno un abbozzo di mappa dei luoghi e degli eventi.
A Gubbio Francesco si interpone personalmente tra la città e un lupo famelico (FF 1858). Altrettanto fa a Montecasale, dove la situazione di crisi è tra i briganti e il guardiano dell’eremo (FF 1852) che dovrà scusarsi con loro per averli cacciati in malo modo. Ad Arezzo Francesco coinvolge fra Silvestro mandandolo alle porte della città. Lì egli si rivolge così ai demoni: «“Da parte di Dio e per ordine del nostro padre Francesco, andate lontano di qui”. La città poco dopo ritrovò la pace e i cittadini rispettarono i vicendevoli diritti civili con grande tranquillità» (FF 695). Francesco, rivolgendosi alla gente di Arezzo, commenterà così: «Siete stati liberati per le preghiere di un povero». Il santo chiede aiuto a Silvestro e Silvestro dà il suo ordine ai demoni contando sulla volontà salvifica di Dio e sull’autorevolezza di Francesco.
Ad Assisi il podestà e il vescovo sono in lite, per loro viene aggiunta una strofa al Cantico di frate sole, quella sul perdono. Saranno i frati a cantare il Cantico per entrambi. Dopo l’ascolto il podestà si dichiara pronto a perdonare il vescovo che, a sua volta, ammette di avere un temperamento inadatto al ministero che gli è stato affidato essendo troppo orgoglioso e iracondo. Così essi aprono il cuore ad un nuovo percorso di reciproca riconciliazione (FF 1616).
Le famiglie nobiliari di Bologna ritrovano vie di pace tra loro dopo la predicazione di Francesco in piazza. Tommaso da Spalato nella sua cronaca ci offre una preziosa testimonianza: «non aveva lo stile di un predicatore, ma piuttosto quasi di un concionatore. In realtà, tutta la sostanza delle sue parole mirava a spegnere le inimicizie e a gettare le fondamenta di nuovi patti di pace» (FF 2252).
Il dono fraterno
A questo punto si possono trarre alcune prime conclusioni. L’annuncio di pace di Francesco ha un respiro largo, coinvolge i singoli senza preclusioni morali o ideologiche (i briganti sono considerati destinatari degni tanto quanto il podestà e il vescovo), ma anche le comunità cittadine frammentate da lotte intestine, e si spinge a cercare, e trova, comunicazione perfino con un lupo. A Bologna è l’arte oratoria di Francesco ad ottenere pace, ad Arezzo la preghiera di un fratello poi definito “povero”, ad Assisi la poesia di Francesco cantata dai suoi fratelli, a Gubbio l’impegno collettivo che la città si assume di prendersi cura del lupo. Vengono messi a servizio dell’annuncio di pace ogni dono di cui si disponga, ma, tra tutti i doni, quello più proprio e proficuo, e perciò più spesso e più variamente utilizzato, sono i fratelli.
Se si vuole la più radicale delle conferme si può seguire Francesco che fa incursione, in tempo di crociate, nell’accampamento dei nemici. Secondo testimonianza quasi unanime delle cronache, Francesco non va solo dal sultano, ma si fa accompagnare da un frate di cui Bonaventura ci dice il nome, Illuminato (FF 1172/3). Sia chiaro: non voglio sostenere che lo scopo di quella incursione fosse la fine del conflitto armato, ma rimane il fatto che i due frati entrano disarmati in un contesto decisamente ostile e ben armato, e così, di fatto, se pure lo scopo consapevole è certamente l’annuncio evangelico della salvezza in Cristo, evidentemente esso richiedeva un atteggiamento, e dunque un’esplicita, anche se non verbale, proposta di pace.
Sarà ora utile scorrere gli scritti di Francesco per mettersi in ascolto, per così dire, della sua stessa voce, e verificare se e quanto la pace e gli atteggiamenti ad essa connessi vi prendano spazio. Ai frati che vanno tra i “saraceni”, prima di annunciare il vangelo come unica via di salvezza quando sarà gradito a Dio, Francesco raccomanda: «Non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani» (FF 43). In un contesto culturale e religioso particolarmente delicato come erano, e sono, i paesi di religione islamica, all’annuncio evangelico più esplicito, Francesco chiede di premettere quella che potremmo chiamare prassi esistenziale di pace.
Esploratori di pace
L’annuncio di pace, del resto, era così vicino al suo cuore da entrare tra le cose di cui ha voluto fare memoria grata nel suo Testamento: «Il Signore mi rivelò che dicessimo questo saluto: Il Signore ti dia la pace» (FF 121). Non si tratta soltanto di una formula gentile e ben educata. Nella Regola non bollata, stesso capitolo, XIV, in cui si raccomanda ai frati di salutare in quello stesso modo, si prosegue così: «Non resistano al malvagio; ma se uno li percuote su una guancia, gli offrano l’altra. […] Diano a chiunque chiede; e a chi toglie il loro, non lo richiedano» (FF 40). Si tratta, evidentemente, di una scelta evangelica radicale che vorrebbe spingere i frati minori ad esplorare un territorio inedito, situato oltre le due colonne d’Ercole del nostro convivere civile: legittima difesa e proprietà privata.
Si veda poi la conclusione del Saluto alle virtù: «La santa obbedienza / confonde tutte le volontà corporali e carnali / e ogni volontà propria, / e tiene il suo corpo di ciascuno / mortificato per l’obbedienza allo spirito / e per l’obbedienza al proprio fratello; / e allora egli è suddito e sottomesso / a tutti gli uomini che sono nel mondo, / e non soltanto ai soli uomini, ma anche a tutte le bestie e alle fiere» (FF 258). Come si vede, benché in questo passo non compaia la parola pace, l’atteggiamento di non resistenza al male, e dunque di nonviolenza, è chiaramente espresso. Il brano smaschera, implicitamente, il maggior nemico della pace: la volontà di potenza. L’obbedienza diventa tutt’altro che lo scarico delle proprie responsabilità su spalle d’altri. Si tratta piuttosto dell’offerta di sé, incondizionata e sovrana, in favore della costruzione della fratellanza in ogni dimensione creaturale ed umana.Offerta che però non può essere compresa quando si prescinde dal riferimento a Cristo. Il tema non è dunque esattamente quelllo di un’azione riformatrice della Chiesa o del mondo. «Quella di Francesco è una missione e una proposta che rifugge dagli strumenti del potere e della forza, da ogni forma di coercizione, di polemica, di controversia […]. Non ricerca una qualche affermazione in proprio, delle proprie idee e dei propri giudizi, lasciando soltanto a Dio e alla sua grazia di operare» (Giovanni Miccoli).
Il re sostiene
Vorrei concludere tornando alla strofa sul perdono del Cantico di frate sole: «Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo Tuo amore / et sostengo infirmitate et tribulatione. / Beati quelli ke ’l sosterrano in pace, / ka da Te, Altissimo, sirano incoronati» (FF 263). L’uomo che perdona e soffre entra nel coro delle creature lodanti, e il verbo che descrive il loro atteggiamento, sostenere, come ci ricorda il prefisso latino sub (sotto), allude ad un porsi sotto all’altro per portarne maternamente il peso. Ecco il paradosso: la corona viene posta sul capo di chi sta sotto e non sul capo di chi sta al di sopra. Non solo: perdonare e soffrire non basta, bisogna farlo in pace.
Una beatitudine, cioè pienezza sovrabbondante di gioia e di vita, che è possibile per tutti: non dipende da esclusivi perfezionismi estetici o da accumulo di ricchezze e di potere. È la sovrabbondante pienezza che Cristo riceve dal Padre, quella che ha condiviso con noi svuotandosi di sé (Fil 2,4) e abbattendo il muro di separazione che ci divideva (Ef 2,14). Ora, finalmente, possiamo riconoscerci come figli amati, fratelli e custodi gli uni degli altri e di tutto ciò che da Dio riceve vita. Questa felicità, non più nemica della fragilità di ciascuno, sarà il contributo più fecondo che ognuno potrà dare per la pace di tutti.