La strada in cui riconoscersi

Le traiettorie della ricerca dentro e fuori di noi possono incrociarsi

di Andrea Peruffo
Docente di Psicologia presso lo Studio Teologico del Seminario di Vicenza

Image 100La felicità è reale se condivisa

Ho incontrato qualche giorno fa un’amica che, con un’apparente leggerezza e con quella spregiudicatezza tipica dei giovani, mi ha posto una delle domande più insidiose della vita: «Ma tu sei felice?» seguita, mentre stavo pensando alla forza di quelle semplici parole, da una seconda questione: «Ma come si fa ad essere felici?». Sentivo che erano domande autentiche che nascevano da un cammino di ricerca interiore che la mia amica stava facendo e che non si sarebbe accontentata di risposte banali o scontate, fossero anche religiose.

Mi stava esprimendo un suo desiderio, ma che riconosco essere il desiderio che ciascuno di noi porta nel cuore e che in occasione delle feste o degli auguri per una qualche ricorrenza assume una carica ancora più incisiva e profonda. Potremo ritradurre il tema così: vorrei essere felice ma non so come si fa! Hai qualche idea in proposito?

Una volta, prima dell’avvento di internet, se volevi cercare qualcosa, ti prendevi il vocabolario o una buona enciclopedia e da lì iniziavi le tue consultazioni. Oggi invece apri un motore di ricerca, scrivi la parola e clicchi e quasi per miracolo trovi migliaia di rimandi. Ho provato ad inserire la domanda dalla quale è partito questo articolo – si può essere felici da soli? – così, quasi per gioco. Quante risposte! Alcune a dire di sì, che si può essere felici da soli magari accompagnando la risposta a partire da una loro testimonianza, altri a confessare candidamente che non era possibile e che solo insieme si può essere veramente felici. Trovo un commento ad una foto con scritto “Happy” e una freccia dritta. Leggo: «Dopo millenni non siamo ancora riusciti a capire cosa sia la felicità. Sentirci completi? Impossibile perché ci sarà sempre qualcosa che ci manca: una carezza, un sorriso o un semplice oggetto». Nella sua semplicità la trovo una bella riflessione…

Mi viene in mente il film Into the wild (2007) dove il protagonista, un giovane inquieto, si mette alla ricerca della felicità. Vive diverse esperienze ma nulla sembra riempire davvero la sua vita.

Scappa dal mondo per arrivare in quelle terre selvagge dove capirà il segreto di una vita felice. «La felicità è reale solo se condivisa», non si può essere felici da soli. Quella è la sua conclusione che ci interpella soprattutto in un contesto in cui la spinta a fare tutto da soli, all’individualismo, sembra quanto mai accentuata e tradotta in regola di vita.

Sempre nella stessa direzione trovo una frase che mi fa riflettere e che sembra rivelare una sapienza vissuta più che ragionata: se cerchi di essere felice, fai felice qualcuno. Si capisce che la felicità non è qualcosa di mio, qualcosa da possedere, ma è un’esperienza che nasce da una relazione, da un essere con gli altri in un certo modo, di una cura per l’umanità che c’è nel fratello, nell’amico, nel povero, nel compagno di scuola.

C’è però un altro aspetto che ritengo importante per evitare che il prendersi cura dell’altro serva per compensare i propri vuoti. Esser felici vuol dire anche fare verità con se stessi, perché il dono che si vive non sia fuga o nascondimento dalle proprie ferite ma incontro accogliente di se stessi e degli altri.

Il percorso da compiere

Allora si potrebbe sintetizzare il percorso verso la felicità in un cammino duplice: dentro di sé e allo stesso tempo fuori, verso gli altri. Solo se si riesce a tenere insieme queste due traiettorie si potrà trovare quello di cui è assetato il nostro cuore. Dentro di sé per scoprire quello che si è davvero, quella che è la dimensione più ampia della propria vita, quell’oltre, quel di più che si può immaginare, sognare e sentire.

Fuori di sé per scoprire che anche tu, pur con tutte le fragilità, puoi condividere un sorriso, un pianto, un sogno, un desiderio, una fatica; detto in altri termini, puoi condividere un pezzo della tua vita, della tua ricerca e delle tue scoperte e così scoprire il segreto della felicità.

Dal punto di vista più psicologico ed evolutivo, credo che sia quanto mai interessante l’esperienza del bambino, che può servirci da “modello” interpretativo delle diverse situazioni che si ripresentano nel corso dell’esistenza.

Le ricerche più recenti in relazione al bambino ci dicono che uno dei suoi bisogni centrali non è tanto il cibo o le diverse forme di accudimento pur necessari. Il bambino per vivere ha bisogno di sentire la presenza e la relazione amorevole dell’altro e in particolare dei suoi genitori. È felice, vive una sorta di paradiso non solo quando ha la pancia piena, ma quando a questa si affianca il contatto fisico e visivo con i suoi genitori. L’essere con l’altro è la condizione che ne permette lo sviluppo armonico e fiducioso sia dal punto di vista fisico che psicologico.

Sembra che questa chiave interpretativa non si esaurisca con l’infanzia ma in modalità nuove si ripresenti in ogni passaggio della vita: il ragazzo che impara a giocare con gli amici; l’adolescente che vive il suo cambiamento psico-fisico come una possibilità (e una minaccia) per le sue relazioni e che per questo passa tempi infiniti con l’amico/a del cuore; il giovane che cerca nella relazione con l’altro nuove prospettive di vita; l’adulto che dopo una giornata passata al lavoro spera di trovare qualcuno a casa che l’accolga e lo ascolti; l’anziano che spera di non essere dimenticato in una pur bella casa di riposo… Gli esempi si potrebbero moltiplicare ma questo ci basta per intuire la ricchezza e la centralità della dimensione relazionale come fatto del divenire umano.

Farsi trovare

Per poter vivere queste dimensioni con consapevolezza c’è però un passaggio da fare, uno sguardo nuovo da maturare che nella nostra realtà ipertecnologica e frenetica rischiamo di perdere: si tratta di saper rallentare il passo, alzare gli occhi per cogliere tutti i doni che ci sono messi tra le mani, piccoli magari, ma importanti in una vita che non può solo essere vincolata agli eventi eccezionali. Ma questo sguardo nuovo ci è utile anche per guardare a se stessi e trovarvi l’unicità della vita che, detto in altri termini, è la propria “vocazione” come pensata e sognata dal Padre.

Non credere che sia poco! Se essere felici non è solo uno stato emotivo ma la conseguenza di un incontro, la sfida è quella di mettersi in cammino, di uscire da se stessi, di farsi trovare. Mi viene in mente un piccolo testo dove si parla di Gesù come uomo che cammina. Nei vangeli lui è sempre in movimento e in questo suo andare incrocia gli sguardi degli uomini e delle donne del suo tempo che si sentono riconosciuti dal Maestro. La pienezza di umanità di Gesù incontra la nostra umanità e ci sentiamo riconosciuti, accolti, stimati, amati. Lo stesso può avvenire anche nei nostri incontri; ecco la condivisione che porta alla felicità. Nell’altro riconosci un frammento della tua vita (quella vita che tu hai trovato dentro di te) e l’altro si sente a sua volta riconosciuto, accolto e non giudicato. Ci si riconosce come uomini e donne che a volte scappano e hanno paura ma che portano in sé un desiderio infinito di vita e questo ci mette insieme sulla strada della felicità.