Una storia di guerra e di pace
Il desiderio di pace, con le sue contraddizioni, percorre la Bibbia e la storia dell’uomo
di Dino Dozzi
biblista
Shalom riassume l’universo desiderato dal popolo dell’Antico Testamento sia nell’ordine personale e intimo sia in quello interpersonale e di gruppo.
Shalom è l’augurio che ci si scambia in qualsiasi circostanza e riguarda tutto il bene: la buona salute, i figli, la stima degli altri, il benessere, l’armonia in famiglia e tra i popoli. Il Shalom dell’AT è il progetto in cui confluiscono tutti gli altri progetti: non è un mezzo, ma lo scopo. La pace dell’AT ha sempre a che fare con Dio, è sempre dono di Dio ed esige sempre un cuore filiale e fraterno.Il profeta Isaia così descrive la pace desiderata e attesa: «Ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre» (9,5-6). Quel bambino unirà giustizia e misericordia, potere e pace. L’attesa del Messia è attesa della pace, in ogni pagina biblica: «Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi, che annunzia la pace, messaggero di bene che annunzia la salvezza, che dice a Sion: “Regna il tuo Dio”» (Is 52,7).
Il prezzo della pace
Ma non è tutto così semplice, anche la pace ha un prezzo. Quattro pagine dell’AT - i quattro Carmi del Servo di Jahvè - ci parlano di una figura che accetta di pagare per tutti: «Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). La liturgia cristiana utilizza questi testi il venerdì santo.
Numerose sono anche le pagine bibliche in cui Israele prega il suo Dio per vincere i nemici. Ma ecco che il profeta allarga l’orizzonte e ricorda come dall’alto vede le cose Dio: «In quel giorno Israele sarà il terzo con l'Egitto e l'Assiria, una benedizione in mezzo alla terra. Li benedirà il Signore degli eserciti: “Benedetto sia l'Egiziano mio popolo, l'Assiro opera delle mie mani e Israele mia eredità» (Is 19,24-25). Inizia il cammino biblico da un popolo eletto – motivo di qualche dissidio e pregiudizio - a tutti i popoli eletti.
E il profeta Geremia ricorda che le radici della pace sono nel cuore di ognuno: «Purifica il tuo cuore dalla malvagità, Gerusalemme, perché possa uscirne salva. Fino a quando abiteranno in te i tuoi pensieri d'iniquità?» (4,14). Forte è la sua denuncia: «Essi curano alla leggera la ferita del mio popolo, dicendo: “Pace! pace!” ma pace non c’è. Dovrebbero vergognarsi dei loro atti abominevoli, ma non si vergognano affatto, non sanno neppure arrossire. Per questo cadranno vittime come gli altri, nell'ora in cui li visiterò crolleranno”, dice il Signore» (6,14-15).
Per una pace vera con Dio e con gli altri – con tutti gli altri - servono una nuova alleanza e un cuore nuovo: «Vi darò un cuore nuovo, metterò dentro di voi uno spirito nuovo, toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne. Porrò il mio spirito dentro di voi e vi farò vivere secondo i miei statuti e vi farò osservare e mettere in pratica le mie leggi. Abiterete nella terra che io diedi ai vostri padri; voi sarete il mio popolo e io sarò il vostro Dio» (Ez 36,24-28). E nel capitolo successivo (37,26) il profeta riporta la promessa di Dio: «Farò con loro un'alleanza di pace, che sarà un'alleanza eterna».
L’insegnamento di Paolo
Questa terminologia – alleanza eterna – come anche la figura del Servo di Jahvè vengono riferite nel Nuovo Testamento a Gesù Cristo, che Paolo chiama «nostra pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando, per mezzo della sua carne, la legge fatta di prescrizioni e di decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace, e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia» (Ef 2,14-16).
La grandezza di Paolo consiste nell’aver creato – quando ancora non c’era alcun altro scritto del NT – la terminologia per dire Gesù Cristo, l’incarnazione, la redenzione, la Chiesa, la salvezza. Un piccolo esempio di questa preziosa creatività è l’espressione “fare la pace”, che dall’uso quotidiano viene da lui trasferito alle altezze teologiche della nuova creazione che si attua in Cristo, che ci libera dalle tre grandi paure dell’uomo: la paura di Dio, del peccato e della morte. Ora è possibile vivere in pace con Dio da figli, con gli altri da fratelli, con sé stessi da salvati. «Pace a voi» sono le prime parole del Risorto ai discepoli. Il dono di Cristo risorto è la pace, sintesi di molti doni: pace con Dio, frutto della misericordia di Dio; pace con noi stessi, frutto della giustificazione di Cristo tramite la fede; pace con gli altri, come accoglienza fraterna e riconoscente delle diversità.
Spesso sono proprio le diversità a provocare invidie, gelosie, competizione, guerra. San Paolo ricorda ai cristiani di Efeso che il “vincolo della pace” si fonda sulla vocazione a costituire “un solo corpo” dato che abbiamo «un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (cfr. Ef 4,1-7). Da questa visione di fede delle diversità umane viste come complementari deriva la grande e fondamentale legge della carità cristiana (cfr. 1Cor 13).
La pace e la spada
La pace annunciata, promessa e donata da Gesù ha come conseguenza e segno rivelatore la pagina delle beatitudini di chi è povero e perseguitato, di chi piange e aspetta giustizia da Dio. È davvero una pace dell’altro mondo, che però Gesù consegna ai suoi già da ora: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore» (Gv 14,27). È la serenità di Gesù che affida la propria vita nelle mani del Padre, è la pace fiduciosa dei martiri che affrontano serenamente la morte.
«Se tu conoscessi il dono di Dio!» aveva esclamato Gesù al pozzo di Samaria di fronte a quella donna con una storia famigliare piuttosto complicata e paure e domande più grandi di lei… Il Messia? «Sono io che parlo con te!». E la donna lascia lì la brocca e l’acqua, per correre a dirlo a tutti, ha trovato un tesoro da condividere… (cfr. Gv 4). Paolo lo dirà in termini più teologici e universali: di fronte al dono straordinario comune della fede e del battesimo diventano quasi insignificanti tutte le altre diversità per le quali tanto spesso ci facciamo guerra: «Tutti voi infatti siete figli di Dio mediante la fede in Cristo Gesù, poiché quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è Giudeo né Greco; non c'è schiavo né libero; non c'è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,26-28).
Eppure nella Bibbia non troviamo solo pace. Il “Dio degli eserciti” dell’AT (anche se l’espressione va riferita alle costellazioni celesti più che alle truppe terrestri) è spesso impegnato in campi di battaglia. E nel NT agli apostoli inviati in missione Gesù ricorda le persecuzioni che anch’essi come lui incontreranno: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; sono venuto a portare non pace, ma spada. Sono infatti venuto a separare l’uomo da suo padre e la figlia da sua madre e la nuora da sua suocera; e nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Non sono venuto a portare la pace ma la spada» (Mt 10,34-36).
Gesù e il suo vangelo continuano ad essere, oltre che “nostra pace”, anche segno di contraddizione e di divisione. La Bibbia parla di noi, di ciò che ci unisce e di ciò che ci divide, delle nostre guerre quotidiane e del nostro sogno di pace. Vuole aiutarci a riconoscere le strumentalizzazioni del sacro e a bonificare quei terreni ancora minati da scritte oscene come “Gott mit uns” o “In God we trust”. Che lampada vogliamo utilizzare per il nostro cammino e chi vogliamo far vincere in quel campo di battaglia che è il nostro cuore? Perché a guerra e pace non si gioca solo in Medio Oriente o in Ucraina, ma anche nelle riunioni di condominio, nei luoghi di lavoro e in famiglia.