Povero di tutto, ricco di domande
Il percorso di Francesco, fra dubbi e disponibilità ad agire
di Maria Giovanna Cereti,
clarissa nel Monastero di Forlì
La parola dubbio non gode di grande popolarità nel nostro tempo: tempo insicuro che cerca certezze, tempo che fatica a stare nelle domande ed è tentato di vantare risposte certe anche là dove ci sono solo opinioni.
Ma il dubbio non è solo un problema di conoscenza certa: ben più in profondità è una dimensione dell’esistenza, che può essere svalutata o sentita come pericolosa. Se dubiti non sei performante, disperdi energie che dovresti investire al meglio per perseguire i tuoi obiettivi. Confesso che mi impressiona e un po’ mi rattrista avvertire talvolta in qualcuno, specie se giovane, questa voglia di eliminare ogni dubbio…
Amo i santi che non hanno avuto timore di mostrarsi incerti e fragili. E in modo particolare amo Francesco, che sembra aver avuto una speciale familiarità con dubbi e domande aperte. Chissà che ripercorrere alcuni momenti della sua vicenda non possa offrirci qualche suggerimento su come abitare questa dimensione dell’esistenza.
La ricerca come relazione
Sappiamo dalle biografie che il giovane Francesco visse una lunga fase di ricerca incerta: una profonda inquietudine lo aveva allontanato da una vita “senza domande”, in cui viveva di godimento spensierato e fuggiva ciò che gli era amaro; tuttavia non approdò rapidamente ad una scelta definita, come egli stesso ricorda nel Testamento. Si mosse piuttosto quasi procedendo a tentoni, da un indizio all’altro, da una intuizione all’altra, da una rivelazione all’altra. Ma la cosa più interessante è che Francesco non si rinchiuse nel suo dubbio come in una ruminazione o un monologo senza fine. Egli visse la sua ricerca come un evento di relazione, così il dubbio divenne dialogico: «Signore, che vuoi che io faccia?» (FF 1401). Prendendo sul serio i propri dubbi, ascoltandoli, Francesco ha scoperto un interlocutore, anzi, “l’Interlocutore” per eccellenza, il Signore Gesù Cristo, nel rapporto con il quale la sua vita troverà direzione e consistenza.
Fu un dialogo serrato, che prendeva la forma di una insistente invocazione: così Francesco divenne sempre più attento a cogliere segni che indicavano un cammino: e furono di volta in volta incontri (i lebbrosi, il cavaliere povero,…), sogni, parole ascoltate nel cuore oppure offerte dalla liturgia, o ricevute interrogando la Scrittura (cfr. FF 1431). Ogni segno apriva la possibilità di un passo, talvolta piccolissimo. Proprio in questo troviamo un’altra caratteristica peculiare del modo in cui Francesco vive le sue domande: la sua prontezza a muoversi, quando gli sembrava di intuire qualcosa, anche se non aveva capito tutto con chiarezza o poteva addirittura aver frainteso il senso di quanto aveva udito (è noto a tutti il senso letterale che attribuì in un primo tempo alle parole udite dal Crocifisso «Va’, ripara la mia casa che è tutta in rovina» cfr. FF 1411). Può farci sorridere, ma anche questa è una indicazione preziosa: rimboccarsi subito le maniche, come fece accingendosi a riparare i muri della chiesetta di San Damiano, mettersi subito in gioco, dice una disponibilità a fare sul serio con la realtà … e la realtà accolta diventa essa stessa rivelazione.
Un dubbio lungo una vita
L’interrogarsi di Francesco non si limitò ai primi tempi dopo la conversione. Anzi, si può affermare che l’esperienza del dubbio lo abbia accompagnato in tutti gli snodi più significativi della vita: segno di quella attitudine a non ritenersi arrivato, a non pensare di aver capito o fatto tutto, che si esprime in modo luminoso nelle parole rivolte molti anni dopo ai suoi frati: «Cominciamo, fratelli, a servire il Signore, perché finora abbiamo fatto poco» (FF 500).
Nel Testamento Francesco racconta: «E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità, e il signor Papa me la confermò» (FF 116). Descrive così l’incertezza su che forma dare all’avventura di itineranza povera e fraterna che aveva iniziato a vivere con i primi compagni, e su come consegnarla alla Chiesa perché fosse approvata: il cammino di stesura e di approvazione delle Regole, iniziato allora, fu lungo e talora faticoso; esso offrì a Francesco lungo tutto il corso della vita molte occasioni di sperimentare dolorose incertezze e di vivere esperienze di confronto, anche vivace, con i suoi fratelli e con la Chiesa come istituzione.
Esperto di domande, Francesco non aveva paura neppure di farsi carico dei dubbi e della ricerca di altri, come attesta il racconto degli incontri con i primi compagni … e come testimonia soprattutto la relazione con Chiara: dopo un tempo di incontri personali, in cui «le predicava che si convertisse a Gesù Cristo», egli la accolse dopo la fuga dalla casa paterna, pur non sapendo quale forma avrebbe potuto prendere il desiderio della giovane donna assisiate di servire il Signore in una vita povera e priva di certezze simile a quella già vissuta da lui e dai compagni. Anche in questo caso Francesco non si lasciò però paralizzare dagli interrogativi: cominciò e si mise in ascolto di ciò che la realtà gli rimandava. Lo attestano i primi tentativi di trovare casa per Chiara presso il monastero benedettino di San Paolo delle Abbadesse o il convento di Sant’Angelo in Panzo (cfr. FF 3171-3175), fino all’approdo a San Damiano dove “la pianticella” potrà finalmente mettere radici.
La vita di Francesco ci offre poi un altro esempio interessante riguardo al suo modo di abitare il dubbio. Lo racconta ampiamente Bonaventura nella Leggenda Maggiore (FF 1204-1205), descrivendo l’incertezza di Francesco di fronte alla scelta se dedicarsi totalmente all’orazione o andare a predicare. Scoprendosi fortemente angosciato da questo dubbio, Francesco scelse di ricorrere alla preghiera e al consiglio di frate Silvestro e di sorella Chiara, per conoscere la volontà di Dio: «Non aveva rossore di chiedere a quelli più piccoli di lui», commenta quasi sorridendo Bonaventura. La risposta fu unanime: «Dio non lo aveva chiamato solo per se stesso». E pronta fu l’obbedienza di Francesco: «Andiamo, al nome di Dio». Ci suggerisce qualcosa: nel dubbio non arroccarsi nella propria presunta autosufficienza, ma chiedere aiuto e accogliere il contributo del confronto con altri.
L’amore per il Crocifisso
Infine, in questo anno in cui si fa memoria dell’evento delle Stimmate, non si può non ricordare la grande tribolazione che Francesco attraversò negli ultimi anni della sua vita. I rapporti con molti dei frati attraversavano una fase di grande tensione e di disaccordo su come vivere da frati minori, la riscrittura della Regola non aveva appianato i contrasti. Forse qui i dubbi di Francesco raggiunsero il livello più profondo e doloroso: ne era valsa la pena? Era questo che aveva desiderato e sognato con i primi compagni? Cosa era giusto fare adesso: far sentire il peso della sua autorità o farsi semplicemente da parte, cercando magari con pochi fedelissimi di ricominciare? Il suo turbamento era così profondo da rendergli persino difficile la vicinanza degli altri. Era tempo di applicare anche a sé quello che aveva spesso raccomandato ai fratelli: «Il servo di Dio quando è turbato da qualcosa, deve perseverare davanti al Padre Sommo sino a che gli restituisca la gioia della sua salvezza». Francesco dunque cercò la solitudine aspra del monte della Verna e qui la sua preghiera si fece supplica appassionata, sostenuta dalla penitenza: «Chi sei tu, o dolcissimo Iddio mio? Che sono io, vilissimo vermine e disutile servo tuo?». Qui Francesco, in quella fine estate del 1224, ritrovò il volto luminoso del Crocifisso, il suo sguardo di misericordia che gli donò, attraverso le sue ferite, nuovo coraggio di guardare i suoi fratelli senza volersi imporre e senza voler fuggire. Le parole delle Lodi di Dio altissimo, sgorgate dal cuore di Francesco dopo questo travaglio, esprimono proprio la gioia del Volto ritrovato …
Un Francesco che conosce l’esperienza del dubbio e la attraversa ci risulta senz’altro più “prossimo” di certe immagini stilizzate di santità e di perfezione che ci parlano poco: anche in questo la sua umanità ci appare autentica e credibile, plasmata dall’amore per il Crocifisso povero che ha conosciuto – anche lui! – le nostre umanissime domande.