Profeti del forse

Il dubbio come esperienza necessaria e salvifica nella Scrittura

 di Angelo Reginato
pastore della Chiesa battista di Lugano

  Prima ancora di aprire il libro delle Scritture e iniziare a leggere, occorre fare un'operazione preliminare di pulitura dei nostri occhiali.

Chi legge è l'altra metà del testo; e molto dell'atto di lettura dipende dagli occhiali che indossa. Occhiali che mettono a fuoco alcuni aspetti del racconto e ne lasciano in ombra altri. Occhiali che, sovente, risultano appannati rendendo faticosa la lettura. Questa operazione, che bisognerebbe svolgere ogni volta che ci accingiamo a leggere un testo biblico, a proposito del tema che vogliamo affrontare risulta indispensabile e decisiva.
I nostri occhiali hanno lenti di fabbricazione occidentale, la cui caratteristica principale consiste nel mettere a fuoco la realtà secondo un'opposizione binaria, una netta distinzione tra opposti. Sono lenti che promuovono uno sguardo soggetto al principio di non contraddizione: se una cosa è bianca, non può essere al contempo anche nera. I nostri occhiali tendenzialmente scorgono una netta opposizione tra la fede e il dubbio, colti come atteggiamenti opposti, antitetici. Oltre al tipo di fabbricazione, la qualità delle nostre lenti dipende molto dall'usura del tempo, dalla luminosità delle diverse stagioni storiche. E una caratteristica del nostro tempo è quella di aver dichiarato la fine dei grandi racconti di senso, delle ideologie, dei progetti a tutto tondo. In questa stagione di smarrimento, i nostri occhiali sono particolarmente sensibili a mettere a fuoco qualcosa di stabile, che resista all'urto decostruttivo del presente.

 C’è dubbio e dubbio

Chi si misura con la fede cristiana, sovente lo fa per trovare sicurezze, apprezza una comunità ecclesiale con certificazione antisismica, è alla ricerca di un'ideologia rassicurante. Mentre chi non si misura con questa esperienza ritiene che il dubbio non consenta nessuna fede, giudicata una creduloneria non più accettabile. Capite bene che, se vogliamo affrontare come credenti la questione del dubbio, i nostri occhiali faticheranno a cogliere nel panorama biblico questa presenza, giudicandola come avversa e problematica. È possibile pulire le nostre lenti? Probabilmente sono rigate, segnate inesorabilmente dal tempo; però vale la pena provare a passarci sopra uno straccio pulito, come quello che dispone i nostri occhi a scorgere non solo conferme di quanto riteniamo giusto, il “così fan tutti” tra credenti, ma anche il panorama inedito di una parola altra, divina.
Una parola attestata in una Scrittura che si avvale di un linguaggio diverso dal nostro. Non solo perché l'ebraico e il greco non sono l'italiano. Più radicalmente, perché la parola biblica non è sottoposta al principio di non contraddizione. Invece che distinguere gli opposti, li tiene in tensione, come facce differenti del medesimo prisma. La Bibbia parla della vita un po' come fa la poesia, che legge la realtà come un simbolo dai molteplici significati. E così nel mondo delle Scritture, a differenza del nostro, fede e dubbio non necessariamente si oppongono.
Certo, anche lì troviamo un dubbio che mina la fede, come quello insinuato in modo strisciante dal serpente nel giardino di Eden, quando spinge la donna e l'uomo a dubitare della buona fede del Creatore, dipingendolo come un Dio geloso, che in modo arbitrario impedisce all'essere umano di vivere la sua vita. C'è un dubbio che spezza i legami, spegne la fiducia e ci lascia nudi. Quando si dubita di tutto, persino della bontà della vita, e si legge la realtà come un tremendo inganno orchestrato da avversari umani e divini, quando cioè il dubbio ha il colore della sfiducia totale, del cinismo altrui e della disperazione propria, allora la parola biblica funziona come anticorpo per contrastare questa patologia, sollecitandoci a non essere increduli ma credenti, a scegliere la vita e non la morte.

 Fare i conti con la storia

Ma al di là del dubbio mortale, nella narrazione biblica scorgiamo un dubbio necessario e persino salvifico. Necessario, innanzitutto. A che cosa? A fare i conti con la storia, a non vivere e pensare una fede sottovuoto spinto, al riparo dalle tempeste delle vicende umane. A differenza dell'idolo, sempre uguale a se stesso, presenza statica, non scalfita dallo scorrere del tempo, il Dio biblico lo si incontra nella storia. Di Lui la Scrittura mette in guardia dal farsi un'immagine stabile, comprendendolo entro un nome che lo definisca una volta per tutte. La famosa rivelazione del nome divino a Mosè, che le nostre bibbie traducono con “Io sono colui che sono”, esprime l'idea che Dio si farà presente nei diversi momenti storici, che sarà al fianco del suo popolo, e che dunque sarà possibile scorgerne l'identità guardandolo di spalle, una volta passato.
Con Dio il credente ha una storia, fatta di esperienze luminose e momenti oscuri. Il popolo d'Israele, che aveva sperimentato la potenza liberatrice di quel Dio che lo aveva strappato dalla schiavitù in terra d'Egitto, ad un certo punto si sente abbandonato nel deserto. E si domanda: «Ma il Signore è in mezzo a noi, sì o no?» (Esodo 17,7). E se rispetto a quella sensazione di abbandono il narratore ci sollecita ad un giudizio negativo nei confronti di un popolo recalcitrante, che si lamenta e mormora, quando apriamo il libro di Giobbe siamo invece portati a simpatizzare per questo uomo giusto che vede crollare di colpo la sua vita. Ed è proprio a partire da quello che gli è successo, dalla sua storia personale, che Giobbe osa esprimere il proprio dubbio: com'è possibile che Dio mi tratti così? Tu sei diventato un nemico, un duro avversario (cfr. Giobbe 30,21).

Il finale sorprendente di quel libro mostra che a parlare bene di Dio è stato Giobbe, col suo dar voce ai dubbi che lo assalivano e non quegli amici che si reputavano gli avvocati difensori di Dio. Se la fede non degenera in esperienza di mistificazione, che smette di fare i conti con la storia per ritirarsi nello spazio protetto dell'anima, allora non può che essere esposta ai dubbi suscitati da una storia imprevedibile e perlopiù crudele. Il dubbio sollecita la fede a non essere fuga, a tenere gli occhi aperti sulla realtà, a fare della relazione con Dio non un duetto teatrale dal copione già scritto, ma un vero dialogo, che a volte sarà persino lotta, combattimento, come è successo a Giacobbe, a Giobbe ed anche a Gesù.

 La forza del forse

Oltre che una necessità storica – per chi prende sul serio la storia e non dimentica quel “principio dell'incarnazione” che è proprio della fede cristiana – il dubbio fa capolino nelle Scritture anche come esperienza salvifica. Sono soprattutto i profeti a mostrarne la funzione decisiva. Non tessono un elogio del dubbio ma con una parola strategica smontano la pretesa di avere comunque Dio dalla propria parte, così che al posto della pretesa si faccia spazio al cambiamento di vita. La parola-chiave – una parolina quasi sussurrata! - è questa: “forse”, “chissà”. La troviamo, ad esempio, in Amos: «Odiate il male, amate il bene e, nei tribunali, stabilite saldamente il diritto. Forse il Signore, Dio degli eserciti, avrà pietà del resto di Giuseppe» (5,15). Ovvero: guardati dal pensare che Dio agisca in automatico, che la tua fede ti assicuri il risultato sperato. Il pentimento non può essere ritenuto un automatismo, che costringe Dio ad agire di conseguenza.
Lo sanno persino i niniviti, gli spietati nemici d'Israele a cui viene inviato Giona, il profeta recalcitrante e risentito: «Forse Dio si ricrederà, si pentirà e spegnerà la sua ira ardente, così che noi non periamo» (Giona 3,9). Forse: col beneficio del dubbio. Altrimenti la fede si riduce a ideologia, che spinge alla presunzione quanti la fanno propria. La fede, invece, è esperienza di incontro. È ricerca dell'Amato che non si possiede.
C'è un dubbio che ci aiuta a non snaturare la fede, a vivere come discepoli e discepole della verità, e non come suoi possessori. E a farlo in una storia che muta continuamente e che ci pone domande sempre nuove, perlopiù inedite e spiazzanti, che assumono la forma del dubbio. Non è questione di inventare una fede amletica, facendo il verso a questo nostro tempo che non crede più a niente. Si tratta piuttosto di percorrere le strane vie di quel Dio che viene come un ladro, a rubarci le nostre false certezze e ad aprirci alla novità del suo Regno. 

 

 

Segnaliamo
Lidia Maggi-Angelo Reginato,
Camminare sulle acque. Leggere la Bibbia in tempi di crisi,
Claudiana, Torino 2022.