Tra i regali che questo tempo di trasformazioni incerte e spiazzanti ci sta facendo c’è anche questo: il ritorno, tra noi cattolici, delle opinioni e del dibattito. Per troppo tempo, abbiamo fatto finta che la comunione ecclesiale fosse un blocco monolitico, senza differenze, non bisognoso di dialogo o di approfondimenti ulteriori.
a cura della Redazione
Una Chiesa santa, apostolica e multipla
2 teologi + 5 dubbi + 4 perle = 1 assemblea
di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC
Il 29 gennaio scorso i frati cappuccini dell’Emilia-Romagna si sono seduti al cinema Cristallo di Reggio Emilia per confrontarsi tra loro e con due teologi, Andrea Grillo (liturgista) e Simona Segoloni (dogmatica).
Il tema erano i 5 dubbi proposti da 5 cardinali a papa Francesco e le relative risposte.
La Tradizione e lo stakanovismo
Il primo dubbio è anche la cornice entro cui può essere compreso tutto ciò che segue, e più in generale il momento ecclesiale che stiamo vivendo. Potrei formularlo in questo modo: cos’è per noi cattolici la Tradizione rivelata? Coazione a ripetere ciò che fu un tempo perché perduri nei secoli uguale a sé stesso o un tesoro prezioso che, grati, riceviamo da chi ci ha preceduto, per trasmetterlo vivo a chi vive oggi? Si può dire, all’ingrosso, che la prima posizione è quella dei cardinali, la seconda quella del Papa. La mia presentazione della questione mostra chiaramente che neutrale non sono, e se qualcuno troverà scomposta la mia vicinanza alla linea bergogliana, quasi da brizzolato papaboy, spero che vorrà perdonarmi: non sono abituato a sentirmi così spudoratamente in linea con i romani pontefici!
Per approfondire le questioni sul tavolo, consiglio di cercare su Youtube il canale dei frati cappuccini dell’Emilia-Romagna. Sotto il titolo “A domande… risposte” troverete la registrazione audio di quell’assemblea con i dubbi cardinalizi, le risposte delp, i commenti dei teologi e, perfino, le riflessioni e le domande dei frati. Ma, prima di tutto, mi concederete, per non soccombere sotto il peso di argomenti così densi e impegnativi, di alternare ai dubbi cardinalizi alcune perle di fantasia cappuccinesca.
Prima perla: fra Vittorio che, almeno nel cuore, non smette di essere ragazzo, con la costanza e la precisione di un orologio svizzero, l’entusiasmo e la curiosità dei ragazzi, interviene regolarmente con riflessioni e domande su ogni questione, senza mai concedersi riposo. Un vero e proprio stakanovista dalla curiosità irriducibile e appassionata.
La benedizione e i pantaloni corti
Il secondo dubbio riguarda l’opportunità di benedire le coppie, cosiddette, irregolari. Segoloni ha sottolineato che per tutti il discernimento sulle relazioni affettive è molto complesso. Ad esempio come considerare un rapporto sessuale che avvenga in un matrimonio, ma senza libero consenso del partner? Buono, non buono, legittimo o illegittimo? A noi oggi verrebbe facilmente da dire non buono e illegittimo ma non fu sempre così. Preso atto della complessità degli argomenti, non si può far ricaderne il peso sempre e solo sulle spalle di chi, divorziato e risposato, o coinvolto in una relazione omosessuale, sta già vivendo una condizione di oggettiva difficoltà. Come negare che Dio voglia comunque piegarsi sulle piaghe di chi soffre per dire e fare il bene dei suoi figli? Grillo ci ha aiutati a ricordare quanto la prassi sacramentale del matrimonio sia cambiata nel tempo. Sappiamo bene ad esempio che in molti casi, e per molto tempo, la libertà degli sposi non era, diciamo così, al centro dell’attenzione ecclesiale, mentre essa, per noi oggi, è assolutamente imprescindibile.
Seconda perla: lo sguardo incredulo dei teologi e dell’assemblea tutta mentre il nostro fra Gabriele (detto Gabrielone mica per scherzo) ai piedi del palco formulava le sue domande. Non si trattava della sua altezza e robustezza, degna di fra Giovanni dalle Lodi, neppure della generosità della sua esse romagnola. Il fatto è che, pur iniziando in quella data i famigerati giorni della merla, tradizionalmente i più freddi dell’anno, il nostro “big brother”, senza saio ma con sorprendente naturalezza, indossava t-shirt e pantaloni corti.
Il femminile e la nebbia
Terzo dubbio: sulla possibilità dell’ordinazione sacramentale delle donne al diaconato e/o al presbiterato, Grillo ha ricordato che l’ostacolo individuato da san Tommaso e dalla tradizione è la mancanza di autorevolezza della donna. Mancanza che, evidentemente, non è più sostenibile nella nostra realtà culturale e sociale. Non poche ormai sono le aziende e le nazioni governate da donne. Dunque anche domani le donne potrebbero sicuramente essere ordinate diacono. Segoloni invece ha proposto questa distinzione: è nell’autorità della Chiesa decidere se sia lecito o illecito ordinare una donna, e su questo non si può discutere, certo, ma perché considerarne invalida l’ordinazione? E rivolgendosi direttamente a noi frati in platea: «Riuscite a sentire come sia offensiva per noi donne quella definizione di invalidità?».
Penultima perla: gli sguardi annebbiati dei nostri sette postulanti (quattro italiani, due croati e un ungherese) che, in quella giornata, hanno faticato da bestie. Non trasportando tavoli, vettovaglie e bibite per l’accoglienza dei convenuti e la pausa di metà mattina (quella è stata una passeggiata), ma per la difficoltà dei temi trattati. Fra Valentino, loro formatore, mi aveva chiesto «Non sarà troppo farli restare tutto il tempo?». «Prima o poi dovranno pure affrontarli questi temi» ho risposto io, ma poi la nebbia nei loro occhi ha fatto vacillare la mia inossidabile certezza e il mio dubbio adesso è: io che vivo con loro nello stesso convento e ho confessato la mia colpa, a distanza di alcuni mesi, posso stare tranquillo o è il caso che vada un po’ in vacanza?
Il perdono e l’applauso sinodale
Quarto dubbio, sull’opportunità di perdonare tutti. Grillo ha sottolineato che, ovviamente, il pentimento rimane necessario per ricevere il perdono, ma che, d’altra parte, è difficile fare un discernimento autentico sul pentimento. Anticamente i confessori erano invitati a tener conto delle lacrime o del rossore sul volto dei penitenti. Il problema non era dunque se davvero avendo peccato e “offeso Dio infinitamente buono meritiamo i suoi castighi e molto più”. Non esistevano infatti formule per manifestare il proprio pentimento, esso era testimoniato a sufficienza dal penitente che, portando il peso del proprio peccato, chiedeva il perdono di Dio. Ha poi ricordato che papa Francesco diceva in Amoris Laetitia: «È meschino pretendere di giudicare una persona soltanto sulla base di una legge oggettiva». Segoloni ha affermato che i confessori possono sempre sbagliare, ma è certamente preferibile sbagliare concedendo il perdono che negandolo. Ha poi raccontato l’esperienza del suo parroco che in carcere ha incontrato un ergastolano divorziato e risposato. Gli disse che per questa sua condizione non poteva ricevere la comunione. E allora quello, che aveva commesso più di un omicidio, commenta: «L’avessi saputo l’avrei ammazzata mia moglie invece di lasciarla». Paradosso inquietante: poteva essere perdonato come pluriomicida, ma non come divorziato risposato. Nel frattempo qualcuno avrà la gentilezza di chiedere alla moglie quale opzione preferirebbe?
Quinto dubbio, sulla natura sinodale della Chiesa e, contemporaneamente, ultima perla: l’applauso divertito dell’assemblea, quando fra Dino ha letto l’inizio della risposta di papa Francesco ai cardinali. Scrive il Papa: «Sebbene riconosciate che l'autorità suprema e piena della Chiesa sia esercitata sia dal Papa a motivo del suo ufficio, sia dal collegio dei vescovi insieme al loro Capo, il Romano Pontefice (Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione dogmatica Lumen gentium, 22), con queste domande stesse manifestate il vostro bisogno di partecipare, di esprimere liberamente il vostro parere e di collaborare, chiedendo così una forma di "sinodalità" nell'esercizio del mio ministero». Lasciatemi dire: l’applauso ci stava tutto e pure il commento di fra Dino: «Papa Francesco ha anche humour».
Eccolo allora davanti a noi il sogno di una Chiesa sinodale, ove si possa ascoltare e parlare condividendo il proprio punto di vista. Una Chiesa in cui l’unità non si senta minacciata dalla diversità e questa non si illuda di salvarsi sbarazzandosi della prima, ma entrambe sappiano stare vicine per fare comunione. Una sola, infatti, «è la speranza alla quale siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (cf Ef 4,4-6).