Ogni voce canti!

Francesco ci invita a tenere insieme le diversità della nostra società

 di Fabrizio Zaccarini
della Redazione di MC

 Chi ha cantato in un coro polifonico sa che l’armonia delle differenze, proprio perché impegnativa e fragile, è entusiasmante.

Richiede allenamento, ascolto reciproco, apprezzamento del proprio e dell’altrui contributo, consapevolezza che non c’è pienezza armonica là dove una voce sola schiaccia tutte le altre.
Il capitolo XXIII della Regola non bollata (FF 63-71) è uno straordinario affresco di armonie polifoniche. Il movimento prende avvio dalla fonte più alta, cioè dalla comunione trinitaria, poi, preso atto dell’umana indegnità a nominare Dio a causa della comune, e alienante, condizione di peccato, non ci si rivolge al Padre a partire da sé, con la propria voce, ma a lui si chiede «che il Signore nostro Gesù Cristo Figlio tuo diletto […] insieme con lo Spirito Santo Paraclito ti renda grazie così come a te e a lui piace». Allo stesso atteggiamento di gratitudine sono invitati poi i servi del Signore, a partire dalla Madre di Dio per arrivare «ai beati Elia e Enoch, e tutti i santi che furono e saranno e sono».

 Un’unica richiesta

A questo punto arriva il brano che mi interessa direttamente. Comincio dalla richiesta finale: «tutti gli uomini d'ogni parte della terra, che sono e saranno, noi tutti frati minori, servi inutili, umilmente preghiamo e supplichiamo perché perseveriamo nella vera fede e nella penitenza». Una richiesta identica per tutti, al di là di ogni distinzione tra l’uno e l’altro. Le differenze, tutt’altro che censurate, sono il cuore del brano e, tuttavia, vengono introdotte come appartenenti ad una sola realtà: «tutti coloro che vogliono servire al Signore Iddio nella santa Chiesa cattolica e apostolica». Il tratto unitario che le ri-unisce è ciò che separa Francesco, il suo tempo, e questo brano, dal nostro tempo, che non vuole e non può cercare unità intorno a un’aspirazione religiosa e a un’appartenenza ecclesiale.
Una separazione che, tuttavia, non renda rottamabile il brano. A renderlo significativo non sarà certo l’elenco dei ministeri ecclesiali che segue, a tratti oscuro per il lettore di oggi e gerarchicamente ordinato, ma credo ci siano due buoni motivi per prenderlo in considerazione ugualmente. Intanto l’ordine gerarchico, così caro ai medievali e così ostico per noi, è relativizzato. Questi i ministeri ecclesiali elencati: «sacerdoti, diaconi, suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori, ostiari, e tutti i chierici, e tutti i religiosi e le religiose, tutti i conversi e i piccoli». L’ordine è gerarchico ma acefalo. Si parte infatti dai sacerdoti senza prendere in considerazione né il papa, né gli altri vescovi, ai quali ci si rivolge implicitamente, in quanto sacerdoti, nella forma più basica del loro ministero.
A tutte le categorie elencate viene proposto l’invito a penitenza, cioè a conversione che ho già citato. Ora, tale appello, rivolto al papa e ai vescovi, sarebbe risultato non solo inopportuno, ma decisamente incompatibile con quella minorità che, rigorosamente, resta lo stile ecclesiale di frate Francesco. Bastano poche righe del Testamento a ricordarcelo: «Il Signore mi dette e mi dà una così grande fede nei sacerdoti che vivono secondo la forma della santa Chiesa Romana, a motivo del loro ordine, che anche se mi facessero persecuzione, voglio ricorrere proprio a loro. E se io avessi tanta sapienza, quanta ne ebbe Salomone, e mi incontrassi in sacerdoti poverelli di questo mondo, nelle parrocchie in cui dimorano, non voglio predicare contro la loro volontà» (FF 112). Ciò gli permette di non contrapporre carisma e istituzione.
Francesco non si rifugia troppo passivamente in posizione subalterna rispetto ai pastori. Il suo atteggiamento è radicalmente evangelico. Non alza la voce contro papi e cardinali, ma neanche contro eretici e scismatici, e preferisce farlo cantando per invitare umilmente le creature e gli uomini a lodare Dio, per invitare tutti a conversione. Questa è la profezia più feconda che annuncia il vangelo senza accampare il privilegio di volersene appropriare.
Il secondo motivo di rilevanza di queste righe coincide con l’ultima coppia in elenco, «conversi e piccoli». Questa traduzione, proposta da fra Kajetan Esser, mi offre l’opportunità di rispondere a questa domanda: «ma Francesco in quale categoria del suo elenco si sarebbe collocato?». Francesco stesso ha risposto firmando il suo Testamento: al suo nome affianca lo stesso aggettivo latino parvulus, piccolino, che in forma plurale, parvuli, compare nell’elenco.

 Unire le tensioni opposte

Una volta chiamati in causa i piccoli l’ordine gerarchico viene abbandonato. Si assume uno sguardo più laico che consente di cogliere le differenze e le tensioni che attraversano le società di ogni tempo e cultura. La prima tensione chiamata in causa, quella più dura, avvicina i detentori del potere a chi di potere non ne ha o ne ha poco. Vengono infatti proposte quattro coppie: «i poveri e i miseri, i re e i principi, i lavoratori e i contadini, i servi e i padroni». Si osservi che le prime coppie sono formate con criterio di vicinanza, mentre l’ultima sfida servi e padroni a mettersi a stretto confronto. Risulta evidente: Francesco e i frati non chiudono gli occhi sulla natura conflittuale della società del suo e di ogni tempo, ma propongono la comunione delle differenze come possibile via di riconciliazione.
Subito dopo è il turno di «tutte le vergini e le continenti e le maritate, i laici, uomini e donne, tutti i bambini, gli adolescenti, i giovani e i vecchi, i sani e gli ammalati, tutti i piccoli e i grandi e tutti i popoli, genti, razze e lingue, tutte le nazioni». Prima di tutto devo sottolineare un’assenza: la suddivisione più utilizzata della società medievale prevedeva tre categorie: quelli che pregano (oratores); quelli che combattono (bellatores) e, infine, quelli che lavorano (laboratores). Nell’esortazione di Francesco mancano totalmente i bellatores. Non si chiede esplicitamente ai bellatores di rinunciare al bellum, alla guerra, cioè al loro mestiere. Un appello di questo genere sarebbe risultato impronunciabile, si poteva però evitare di nominare la categoria e rilanciare esplicitamente lo stesso appello entro i confini di famiglia.
Nel 1221, mentre la Regola non bollata trova la sua redazione definitiva, viene approntato anche il Memoriale propositi, la regola dei fratelli e delle sorelle della penitenza, i terziari, tanto per intenderci, i quali saranno tenuti a non prendere «contro nessuno armi da offesa, né le portino con sé» (FF 3364/7), ove l’abbandono della logica armata è individuato come espressione necessaria ad una scelta evangelica penitenziale. La guerra non può costruire comunione per il fatto che non tollera le differenze. Ogni campagna di guerra contro i propri nemici ne comporta un’altra, più o meno violenta, contro ogni forma di dissenso che si presenti tra i propri amici.

 Gli uni di fronte agli altri

Tra le altre tensioni elencate desidero sottolineare quella di genere, tra uomini e donne, quella sanitaria tra sani e malati, quella intergenerazionale e quella tra le culture, le lingue e le nazioni. Come si vede temi di grande attualità a otto secoli di distanza. Ogni gruppo nominato è sfidato a non assolutizzare sé stesso, la propria visione del mondo, ma a stare di fronte alla porzione di umanità che più sente altra da sé. Insomma, Francesco e i suoi frati ci propongono l’altro come occasione di apertura all’Altro, alla Sua opera che plasma le differenze per renderle sempre più capaci di comunione.
Se la sfida è mantenere la fede in Cristo Gesù, povero e servo (questa è la richiesta finale), allora il movimento di sequela si configura ogni giorno e per tutti come conversione, uscita dall’autoreferenzialità per mettersi in relazione di accogliente apertura con chi è diverso da noi. La polifonia difforme dei discepoli e delle discepole di Cristo, della Chiesa e delle Chiese, dell’umano, sempre riccamente e nuovamente plurale, è il sacramento della comunione trinitaria. Non la mono-tonia delle identità autocentrate e solo di sé soddisfatte.
Gli uni di fronte agli altri, raccogliamo la voce di frate Francesco, che, così lontano e così vicino, a noi si rivolge: «Tutti amiamo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutta la capacità e la fortezza, con tutta l'intelligenza, con tutte le forze, con tutto lo slancio, tutto l'affetto, tutti i sentimenti più profondi, tutti i desideri e la volontà il Signore Iddio, il quale a tutti noi ha dato e dà tutto il corpo, tutta l'anima e tutta la vita; che ci ha creati, redenti, e ci salverà per sua sola misericordia» (FF 69).