Custodisci il pozzo, bevine la luce

La disperata necessità del sacro nel nostro cupo tempo 

di Franco Arminio
poeta e paesologo

 Spiritualità e poesia, due parole vaghe, un connubio altrettanto vago.

Se ne può parlare in tanti modi, se ne può parlare solo in modo confuso, con passi che somigliano a quelli di un cielo in un bosco fitto.
Io posso dire di aver sempre tenuto con me la parola poesia. Mi sono interrogato su cosa fosse. L’ho letta, ho provato a farla. La poesia mi ha salvato la vita o forse me l’ha rovinata, in ogni caso è una presenza indiscutibile nella mia mente e nella mia carne: la poesia che non ha a che fare col corpo è un’ingegneria letteraria che non ho mai amato.
Io posso dire di avere avuto poche confidenze con la parola spirito, con la spiritualità. Mi sembrava di viaggiare in altre zone. Poi a un certo punto, un punto che ho intravisto pochi anni fa, questa parola ha cominciato a zampillarmi intorno. Mi è sembrato di capire che la questione del mondo più che economica era teologica. Mi è parso di sentire che l’eclissi del sacro aveva creato nell’umanità una pericolosa condizione di miseria spirituale.
E qui forse si è prodotto il tentativo di innestare il sacro nella mia poesia. Il primo tentativo è stato un libro che si chiama Cedi la strada agli alberi. Poi ne sono venuti altri, poi è arrivato Sacro minore e infine Canti della gratitudine. Siamo nel cuore dell’intreccio, del travaso dallo spirito della poesia alla poesia della spiritualità.

 Serve una spiritualità

Non mi sono posto il problema se credo o non credo in Dio, mi sono posto il problema che il mondo non può andare avanti se persiste e si accentua il divorzio dal divino. Il materialismo brutale e nichilista in cui siamo immersi non solo accentua le ingiustizie sociali e danneggia la salute del pianeta, ma è anche un’implacabile assicurazione sull’infelicità: le nazioni più avanzate economicamente sono piene di depressione e solitudine. Non è un caso che il responsabile della sanità degli Stati Uniti qualche mese fa ha elaborato un documento in cui si parla di pandemia di solitudine e in cui si invoca la riconnessione sociale come via d’uscita.
La questione è che non ci possiamo riconnettere se rimaniamo quello che siamo adesso, animali spaventati, incapaci di affidarci e di credere. Prima della riconnessione è cruciale la rigenerazione dell’umano. Serve tornare alla vita profonda se vogliamo tornare alla vita con gli altri. In superficie c’è solo fuga e conflitto. Il bene esiste ancora, ma va scavato e portato alla luce con un lungo esercizio. Il bene non è un esercizio di stile, non è una vernice, ma un fuoco che sale da sotto e bisogna liberare le vie per farlo salire in alto e farlo incontrare col fuoco degli altri.
Se vogliamo abitare degnamente il mondo dobbiamo dare grande spazio alla poesia e alla spiritualità nella nostra vita. E questo gesto non è un gesto riposante, non ci mette in salvo. Ci rende più agili e vasti, ci fa sentire che confiniamo con l’infimo e con l’immenso. Siamo animali che possono farsi delle gentilezze, siamo un niente che affratellandosi a un altro niente diventa qualcosa: la stella della nostra vita è la relazione, tutto il resto è un pericoloso equivoco che ci porta alla rissa perenne dell’io, alla solitudine dell’individuo che vede gli altri individui come ostacoli alla sua realizzazione.
È chiaro che è necessario un radicale ripensamento dell’umano e un suo allargamento agli animali e alle piante: siamo tutti abitanti del piccolo pianeta del respiro, l’unico che per ora conosciamo in giro.
La poesia e la spiritualità forse vanno pensate come strumenti di un nuovo umanesimo, non come feticci di cui farci mercanti. Sono strumenti preziosi in questo tempo, proprio perché ci mancano. Magari in un tempo ulteriore avremo bisogno d’altro. Non riesco a scollarmi da un’idea di provvisorietà quando penso alle cose che incontriamo. Noi con la poesia e con lo spirito possiamo avere solo delle intimità provvisorie. Il resto, per chi ci crede, si trova in paradiso.

 Parola alla poesia

Sacro è costruire una casa
e prevedere la camera
dei profughi.

 Sacro è quando ti senti cosí ricco
che chiedi a Dio se gli serve qualcosa.

 Sacro è curare qualcuno
guardandolo.

 Sacra è la poesia,
ma solo quando è ladra,
quando ruba un poco di miseria al mondo.

 Sacro avanzare indifesi,
indietreggiare quando siamo forti.

 Sacro è chi sente l’urgenza
di allontanarsi da tutto
e di avvicinarsi a tutto.

 Sacro se ti metti in ginocchio
anche se non credi a niente.

 Sacre le cose minute, minutissime,
le sorelle dell’invisibile.

 Sacra la devozione
a qualcosa, a qualcuno.

 Sacro tornare dalla morte
come si tornava dalla campagna.
Restando qua, ogni tanto andare
a coltivare le terre dell’aldilà.

 Sacro
è scrivere
la frase che Dio
non ha scritto.

 Sacro è il nostro corpo.
È lui che scrive gli amori,
gli incidenti, la maniera di camminare,
di parlare.

 Sacra la perfezione
di un filo d’erba,
il passo di un cavallo.

 Sacro l’universo sulle tue spalle,
uno sciame di stelle, uno scialle.

 Sacro
è affondare il rancore,
allearsi coi coralli,
coi rami degli alberi.

 Sacra è la grazia della vita ordinaria
di cui ci accorgiamo solo quando arriva
una brutta notizia.

 Sacro è che siamo tutti appesi a un filo
e il filo non è appeso a niente.
Da Sacro minore, Einaudi, 2023) 

 

Prometto di restare fedele
alla luce, di benedirla ogni giorno,
di aspettare dopo la notte
il suo ritorno.
Prometto di dedicare il tempo
ai morti,
accarezzargli la fronte,
stendermi accanto a loro.
Prometto di combattere ancora
perché i paesi non muoiano.
Prometto di leggere ogni giorno
le parole di un poeta.
Prometto di andare ogni tanto
in un ospedale a visitare
ammalati che non conosco.
Prometto di non lamentarmi
e di non recriminare, di dare di più
e pretendere di meno.
Prometto che se arriva una dolcezza
non ci metto dentro il mio veleno.
(da Canti della gratitudine, Bompiani, 2024)

 

Stamattina ho aspettato la luce
come uno sposo aspetta
la sua sposa.
Staremo insieme oggi,
non la tradirò per niente
e per nessuno.
Se entrerò in un negozio
so che lei mi aspetterà là fuori
e dopo ce ne andremo in giro
fino a tarda sera.
Non so dove mi conduce,
ma la mia strada è questa:
adorare la luce.
(da Canti della gratitudine, Bompiani, 2024)

 

Preghiamo per i corpi, per il cuore
mai fermo in mezzo al petto,
preghiamo per il rancore ed il rispetto.
Preghiamo per la gioia e l’inquietudine,
preghiamo che ogni giorno
sia la festa della gentilezza,
della gratitudine.
Preghiamo che il pensiero di noi stessi
sia meno opprimente,
che la mente ogni tanto vada via,
preghiamo per tutto quello che induce
alla vicinanza, alla poesia.
(da Canti della gratitudine, Bompiani, 2024)

  

Mettila al muro
la piccola ombra della tua vita,
pensa ai contadini e alle loro albe,
pensa ai fucilati,
pensa al cuore tremante dei soldati,
al freddo, ai vetri rotti, al fumo nero.
Sequestra il tuo lamento,
il giro corto dei tuoi interessi,
continua a dire mille volte al giorno
no alle armi, no alle armi, no alle armi.
(da Canti della gratitudine, Bompiani, 2024)

  

Dio non è morto.
Dio ci ha licenziato.
La poesia lavora
per farci riassumere.
La poesia
è il nostro sindacato.
(da Canti della gratitudine, Bompiani, 2024)

 

Chiudi il tribunale
con cui ogni giorno ti condanni.
Non puoi recuperare il tempo perduto,
non puoi rianimarlo,
devi solo accettare di abitare
in questa striscia sottilissima di tempo
dove soffia il vento
e dove viene il giorno e la notte
e niente è tuo, nessuna casa,
nessun luogo, nessuna persona.
Non c’è niente da pretendere,
da conservare, da aspettare.
Sei molto più vicino di quel che pensi
alla luce, all’acqua, a una foglia.
Ecco, ti sei fatto neve, sonno, abbraccio,
non ti puoi proteggere,
non ci sono tane, non ci sono direzioni obbligate,
esci dalla tua testa,
vai a trovare i morti.
Continua a credere
che non andrà sempre così,
ci sono tanti miracoli in giro
in attesa di essere visti,
raccontati.
(da Canti della gratitudine, Bompiani, 2024)