La vittoria del cavaliere sconfitto

La spiritualità francescana si riassume nell’accoglienza dello stigma e nel dono delle stimmate

 di Dino Dozzi
Direttore di MC

 Come riassumere la spiritualità di san Francesco? Nell’ottavo centenario dell’impressione delle stimmate sul monte de La Verna,

potremmo dire che la sua spiritualità si gioca tra stigma e stimmate, tra lo stigma che toglie ai lebbrosi, al corpo e alla natura, e le stimmate che riceve come “bolla” di approvazione divina ad una vita autenticamente evangelica.
Partiamo da tre premesse che rappresentano la teoria, l’insegnamento, il dover essere che Francesco ha imparato dalla sua meditazione evangelica e dalla sua sequela del Signore e che ci immettono nell’orizzonte di Francesco, aiutandoci anche a comprendere il significato delle sue stimmate.
La prima premessa è nell’Ammonizione XIII (FF 166) dove leggiamo che «Il servo di Dio non può conoscere quanta pazienza e umiltà abbia in sé finché gli si dà soddisfazione. Quando invece verrà il tempo in cui quelli che gli dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà ha in questo caso, tanta ne ha e non più».
La seconda premessa è nell’Ammonizione III (FF 150) dove Francesco scrive che «chi sostiene la persecuzione piuttosto che volersi separare dai suoi fratelli, rimane veramente nella perfetta obbedienza, poiché sacrifica la sua anima per i suoi fratelli».
La terza premessa la troviamo nella lettera che scrive ad un ministro (FF 234-239) dove gli ordina fermamente «che quelle cose che ti sono di impedimento nell’amare il Signore Iddio, ed ogni persona che ti sarà di ostacolo, siano frati o altri, anche se ti coprissero di battiture, tutto questo devi ritenere come una grazia… E ama coloro che agiscono con te in questo modo, e non esigere da loro altro se non ciò che il Signore darà a te. E in questo amali e non pretendere che diventino cristiani migliori».

 Dalla teoria alla pratica

Questa la teoria. Vediamo ora come si comporta concretamente Francesco quando viene a trovarsi nelle circostanze sopra descritte.
Lo Specchio di perfezione 99 (FF 1798) ci dà una notizia che fa grande meraviglia: «Mentre dimorava nel luogo di Santa Maria, gli fu mandata una gravissima tentazione dello spirito, a profitto della sua anima. E di ciò era tanto afflitto nella mente e nel corpo, che molte volte si sottraeva alla compagnia dei fratelli, poiché non era in grado di mostrarsi loro lieto come al solito… Essendo vissuto in tale angoscia per oltre due anni…».
La grande tentazione nasce dalle difficoltà relazionali con i suoi frati, che si aggiungono alle tante e gravi sofferenze fisiche del proprio corpo. La grave tentazione è quella di lasciare che i suoi frati seguano la loro strada e di correre da solo verso la perfezione. Sale sul monte de La Verna per la quaresima di san Michele e, dopo digiuni e preghiere, sceglie di restare con i suoi fratelli. Bella la perfezione, ma ancor più bella la fraternità. Francesco mette in pratica quello che aveva scritto per i suoi frati.
Dopo le testimonianze di frate Leone (rubrica nella cartula della benedizione e delle “Lodi di Dio Altissimo” (FF 249-250) e la comunicazione ufficiale a tutto l’Ordine nella lettera di frate Elia (FF 309), anche Tommaso da Celano (1Cel 94-95: FF 484-485) racconta l’impressione delle stimmate, sottolineando «lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava».
Quello sguardo del Serafino richiama lo sguardo del Crocifisso di San Damiano e quella sua “dolcezza” ricorda a Francesco il cambiamento che si operò in lui tra i lebbrosi, quando «usai con essi misericordia. E, allontanandomi da loro, quello che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo» (cfr. Testamento: FF 110). Importante e significativo è quel ponte di dolcezza.

 

Accettare la logica della croce

La conversione di Francesco fu caratterizzata da un ribaltamento generale: dal sogno di ascendere alla grandezza e alla gloria, ammirato e onorato da tutti, alla scelta della discesa, giù nella valle, accanto a coloro che giacevano soli sulla nuda terra, ai margini della strada, dentro al lebbrosario, per “fare misericordia” a quegli abbandonati. Abbracciando quelle ferite Francesco scopre un sapore nuovo della vita. Al termine della vita a Francesco accade qualcosa di simile: deve nuovamente spogliarsi di tutto, anche del suo sogno, anche dei suoi fratelli, per collocarsi di nuovo a terra, nudo. Anch’egli, come Cristo, imparò l’obbedienza da ciò che patì (Eb 5, 7-9).
La casa del Signore da riparare perché in rovina (cfr. 2Cel 10: FF 593) non è solo la chiesetta di san Damiano e neppure solo la Chiesa con la C maiuscola, ma forse anche l’umanità disprezzata e scartata, visibile nell’emarginazione dei lebbrosi e, infine, anche quella “casa comune” costituita da fratelli e sorelle nella creaturalità, in quel tempo giudicata cattiva.
Bonaventura (LegM,  XIII: FF 1225-1226), nel racconto delle stimmate, suggerisce l’idea dell’alter Christus, dicendo che «l’amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l’incendio dello spirito. (…) Così il verace amore di Cristo aveva trasformato l’amante nella immagine stessa dell’amato».
Quanto alla storicità delle stimmate, gli storici non hanno seguito l’ipotesi di Chiara Frugoni.
(Francesco e l’invenzione delle stimmate, Einaudi, Torino 1993), in quanto il fatto delle stimmate è comunicato in modo storicamente univoco; divergente è semmai il significato spirituale delle stimmate, di fondamentale importanza, collegato con la sua scelta di fraternità, in continuità con la “condiscendenza” e l’incarnazione del Figlio di Dio; con la sua scelta della logica della croce in ideale continuità con le stimmate del Crocifisso che ha preso su di sé le sofferenze e i peccati dell’umanità, e nell’orizzonte teologico di san Paolo che ha scritto: «Io porto le stimmate di Gesù sul mio corpo» (Gal 6,17).

 Abbracciare lo stigma

Francesco opera un ribaltamento nel segno delle beatitudini (cfr. inizio di Rnb XXII, FF 56-57: i veri nemici li abbiamo dentro di noi; le difficoltà e le persecuzioni sono nostri veri amici). Da qui deriva una rivalutazione dello stigma, fino a ritenerlo un dono. Francesco medita profondamente sul significato dell’incarnazione, della dimensione corporea del sacro. Francesco toglie lo stigma/la maledizione ai lebbrosi (ritenuti inavvicinabili) abbracciandoli e toglie lo stigma/la maledizione al corpo e alla natura (ritenuti cattivi) chiamandoli fratelli, cantandone le lodi e riconoscendoli strumenti di rivelazione divina e di preghiera riconoscente; toglie lo stigma che il tentatore vorrebbe suggerirgli per i suoi fratelli che non accettano il suo radicalismo evangelico, riabbracciandoli pur se diversi da lui.
Francesco fa la scelta dello stigma, dell’escluso, del diverso, della vulnerabilità, del sine proprio, del senza alcun potere, pecora in mezzo ai lupi, obbediente a tutti perfino agli animali feroci. Francesco è l’uomo delle stimmate, sale sulla croce con Cristo, fattosi per noi maledizione (cfr. Gal 3,13). Francesco prima abbraccia gli stigmatizzati e poi riceve il dono delle stimmate di Cristo, riconoscimento divino di una vita autenticamente evangelica.
Nella parabola della “vera e perfetta letizia” – la pagina più francescana di tutte le fonti francescane – l’invito finale ad andare dai “crociferi” richiama le stimmate del Crocifisso, ma anche il luogo dove di notte dovevano stare rinchiusi i lebbrosi e dove Francesco era andato all’inizio del suo cammino di conversione per togliere loro lo stigma emarginante, e dove viene provocatoriamente invitato a ritornare alla fine della vita (magnifica inclusione!).
Le stimmate rappresentano la “bolla” del Signore alla scelta di Francesco, che scende da La Verna riconciliato con i suoi fratelli (diversi da lui) e con la sua umana sconfitta (senza nulla di proprio, neppure il ‘suo’ ordine), pur non rinunciando alle sue idee (cfr. il Testamento). Perché ora ha scoperto che si può essere tutti fratelli senza la pretesa di essere tutti uguali (cfr. “Fratelli tutti” di papa Francesco).
La statua nel prato antistante la basilica – un cavaliere sconfitto – esprime bene lo stadio finale del cammino di Francesco verso la vera gloria e la vera e perfetta letizia. Le ferite proprie e degli altri, se abbracciate, possono guarire. È per aver abbracciato, e quindi tolto, lo stigma, che Francesco riceve in dono le stimmate.
La spiritualità di Francesco d’Assisi credo sia da queste parti, in questo cammino.