Carrozzine supersoniche e altri oggetti fantastici

L’educazione intergenerazionale in un’iniziativa di Piacenza

 di Elisabetta Musi
Docente di Pedagogia generale all’Università Cattolica di Piacenza

 Il contesto di vita è il luogo in cui l’individuo scopre le origini della propria storia, le radici, le proprie capacità e bisogni.

È il luogo in cui desideri e progetti assumono il loro volto sociale e la loro identità personale. Le persone si incontrano, interagiscono, inventano nuove possibilità di futuro. Ma quali capacità e saperi circolano, in un ordine sociale che ha separato, disgiunto le diverse età della vita relegando bambini, giovani, anziani in spazi distinti e irrelati?

 Frammentati e impoveriti

Nidi di infanzia, scuole, case di riposo, ma anche ospedali, carceri, luoghi di lavoro, rifugi di accoglienza…: in nome di un principio d’ordine che si appella alla razionalità, le città di oggi sono strutturate secondo “contenitori sociali” che concentrano i soggetti in spazi di fruizione per “omologhi”, rigidamente distinti: una rete fatta di incasellamenti che trasformano la convivenza in collocazioni formalizzate. Si affievoliscono così le possibilità di dirsi, di ascoltarsi e si afferma la tendenza ad allontanarsi, a fare dell’indifferenza reciproca la cifra della convivenza. Si incrinano le possibilità di interazione e condivisione tra le persone, si disperdono saperi, risorse, si limitano la socialità e le possibilità di coesione, di reciprocità e solidarietà spontanea tra i soggetti.
Frammentando infatti le diverse stagioni dell’esistenza, riducendo l’incontro e l’interazione tra soggetti di differenti generazioni, questa organizzazione sociale ostacola, nei fatti, le condizioni da cui trae origine quell’attenzione solidale che in teoria è auspicata. La solidarietà è una pratica relazionale in cui avviene il riconoscimento dell’alterità come parte della propria identità: se riduco l’altro al silenzio, perdo il contatto anche con una parte di me. Al deficit di comunicazione con gli altri si aggiunge così un deficit di rapporto con sé stessi. Si affievolisce per il soggetto la possibilità di rappresentarsi nella propria interezza; in un rapporto di continuità tra le diverse età della vita, nel dialogo con le generazioni che lo hanno preceduto e che lo seguiranno.
La carenza di spazi di contaminazione e di condivisione tra soggetti con provenienze – anagrafiche, generazionali, culturali – diverse, diminuisce tra le persone la disponibilità alla mobilitazione che fonda l’etica della responsabilità, quale realizzazione della vocazione relazionale alla base dell’umanità di ognuno.

 

 Ridurre le distanze

Mancano spazi di incontro e frequentazione tra vecchi e bambini, un tempo naturalmente insieme e ora a malapena reciprocamente implicati nei ruoli di nonni e nipoti. Eppure le inclinazioni dei bambini ben si intonano con quelle degli anziani: dei bambini come dei vecchi è lo stupore, i bambini assaporano il tempo che pure gli anziani vivono come un distillato di vita, i vecchi hanno tanto da raccontare, i bambini rimangono incantati ad ascoltare… ma soprattutto gli uni per gli altri sono un monito, un appello con cui l’esistenza invita ad un felice sbilanciamento verso l’altro: il vecchio è per il bambino la vita che verrà, l’immagine tangibile della sua consunzione che rende prezioso ogni istante; il bambino è per l’anziano un richiamo alla testimonianza, l’attestazione che le proprie parole e i gesti germineranno in altre vite, fecondando la mente e il cuore di chi li porterà avanti nel tempo.
L’équipe è composta da educatori, operatori sociali e professionisti che hanno il compito di «porsi come veri e propri mediatori culturali, facilitando il dialogo, l’ascolto e l’interazione tra soggetti».
Racconta una mamma: «Mia figlia è entusiasta degli anziani del nido. Se li incontriamo fuori li saluta, li riconosce, come fossero amici della sua età». Perché a contatto con i “grandi vecchi” i piccoli imparano a non avere paura di rughe e disabilità, spiega Valentina Suzzani, responsabile pedagogica del nido. «Così il deambulatore diventa un triciclo da spingere, la carrozzina del nonno una macchina sportiva, e se per gli anziani i piccoli sono una ventata di gioia, i bambini attingono alla saggezza e all’ironia di chi ormai non ha più fretta».
Questa esperienza costituisce per i bambini l’opportunità di imparare a socializzare con persone di età differenti, scoprendo la vecchiaia attraverso una conoscenza attiva, quotidiana, che dovrebbe consentire loro di essere domani adulti aperti, rispettosi della diversità e liberi da pregiudizi. Inoltre l’incontro con i bambini dà l’opportunità agli anziani di sentirsi ancora utili nel presente e di riscoprire la gioia dell’attesa del futuro più immediato, contrastando la pigrizia e mantenendo una visione positiva della vita anche nella sua fase più avanzata.

 

 Dell’Autrice segnaliamo:
Educare all’incontro tra generazioni. Vecchi e bambini insieme